Son d’accordo con Giuseppe Manfridi quando alla fine del suo Il discorso del Capitano ci dice: <<Che gioco meraviglioso è il calcio quando si dimentica di essere solo calcio!>>. A me, romanista dalla nascita come Manfridi, lo ha insegnato un non romanista, un vecchio, antico tifoso innamorato degli Alabardati, cioè dei calciatori della Triestina, Umberto Saba, a mio parere, e non solo mio, il più grande poeta italiano del Novecento!
Infatti così scrisse Saba, nella prima delle Cinque poesie per il gioco del calcio, pubblicate nei primi anni Trenta del ‘900, Squadra paesana: <<Trepido seguo il vostro gioco. // Ignari / esprimete con quello antiche cose / meravigliose / sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari // soli d’inverno.>>.
Antiche cose meravigliose! E difatti anche l’esempio e le scelte di Francesco Totti, il mitico capitano della Roma, riporta a un tempo che non c’è più, a un calcio, a un’idea e pratica del calcio, che stanno sparendo.
Occorre un “aedo”, un raccontatore poetico di storie e di imprese epiche, che da un palcoscenico narra di un eroe del calcio, all’antica, ma che è stato per 28 anni fino “all’altro” ieri il nostro condottiero, almeno per chi crede che il calcio non sia solo e semplicemente un gioco.
Bravissimo Manfridi, nell’aver scritto e nel raccontare al vivo il testo che ha sapientemente imbastito, riferendosi a un altro testo, quella lettera che il giorno dell’addio al calcio, alla fine dell’ultima partita di campionato Roma-Genoa vinta dalla prima per miracolo, ha letto Francesco al microfono, piangendo e facendo commuovere e piangere tanti di noi.
Bravissimo Manfridi, che, da gran drammaturgo quale è, evita qualsiasi retorica. Qualsiasi inutile tono melenso. Tutt’altro. Se il calcio non è solo un gioco, possiamo aprire il nostro pensiero e la nostra mente verso dimensioni culturali di grande apertura, che abbracciano svariati campi sia del vivere popolare e sia dell’elaborazione del pensiero che crea e immagina. Allora la vita, le gesta, le imprese del Capitano danno luogo, grazie all’immaginazione scintillante di Manfridi, ad un esercizio di numerologia che arricchisce il movimento drammaturgico della pièce. E anche la letteratura, da Leopardi a Ungaretti a Montale, va ad incrociarsi soprattutto con quel testo del Capitano, letto coi lucciconi agli occhi, quel tardo pomeriggio del 28 maggio 2017. E anche la Storia, con alcuni grandi eventi accompagna il racconto del rapsodo Manfridi.
Naturalmente quella sera allo stadio Olimpico si è compiuto una sorta di rito di passaggio collettivo; dice l’autore da “Totti a Totti”, in vista di una sua nuova vita; e c’è paura e spavento nelle parole di France’, come paura e spavento proviamo tutti noi quando viviamo un cambiamento di rotta esistenziale, vuoi per l’età, vuoi per uno stato familiare, vuoi per una nascita o per una morte.
Per fortuna abbiamo il teatro, e in esso un drammaturgo e interprete attoriale, coadiuvato da una regia dosatissima, essenziale, precisa, di Claudio Boccaccini, che sa fare esercizio di memoria rivivendo ciò che il “maledetto tempo” ha già consumato. Ma è davvero così? Torniamo a Saba (in Momenti): <<La vostra gloria, undici ragazzi, / come un fiume d’amore orna Trieste>>. Se il tempo, anzi, lo spazio-tempo, è la fondamentale dimensione in cui viviamo, e non una autostrada che ci immaginiamo vada diritta a finire all’orizzonte, se è un tessuto la cui trama viene da noi intrecciata donando amore e lustro a una comunità, il Capitano è per sempre.
Esortiamo quindi Manfridi a terminare, con l’aiuto e le idee anche di Daniele Lo Monaco, il ciclo di dieci partite della Roma da raccontare, novello cantore, aedo, rapsodo di un gioco che come nei fanciulli dovrebbe essere contrassegnato, corroborato, da un estremo, impegnativo sentimento!
Il discorso del capitano. Roma-Genoa 3-2
di e con Giuseppe Manfridi
regia Claudio Boccaccini
aiuto regia Eleonora Di Fortunato
musiche Antonio Di Pofi
Teatro Flaiano, Roma, fino al 16 dicembre 2018.