“Dentro”, dramma freudiano. Lo scavo e il tabù di Carlo Lei

Foto di Federico Sigillo

Sul numero 1/2021 di “Hystro” compariva un testo creato per la Biennale di Venezia 2020 da Giuliana Musso, oggi riedito per Scalpendi Editore. Dentro, si intitolava (modesto o stentoreo?). Chi ora scrive queste righe non ne conosceva l’argomento, e ha commesso l’errore di avvicinare quelle pagine come talvolta si sorvola un panorama che si presume noto, come una passeggiata. Oggi, il ricordo più vivo, dopo quello di una discesa vertiginosa, di un precipitare in un buio che non lasciava scampo, quasi vittima di una gravità improvvisamente esasperata, è quello della risalita, un’anabasi faticosa e incompleta, laceri e sbattuti, a occhi stropicciati, come chi avesse toccato riva dopo un naufragio e sia crollato lì, abbandonato. Non diversamente agisce lo spettacolo, arrivato solo ora sulla scena romana nella stagione del Teatro di Roma, all’India, a gennaio al Carcano e poi in tournée per l’Italia.
Due file di sedie ai lati del palco, rosse, costeggiano un linoleum pure rosso, dimora dell’intero spettacolo; nero invece è l’abito delle due attrici, Giuliana Musso e Maria Ariis. Questa è Roberta, milanese sulla cinquantina, forte cadenza, di una bellezza non intatta ma ancora capace di suggerire il ruolo di mogliettina invidiabile. Dietro (o dentro) questa faccia composta, Roberta sospetta o teme o crede che la figlia, Chiara, sia stata vittima di violenze da parte dell’ex marito. Una segnalazione di uno psicologo ha avviato delle indagini che, però, si sono spente in un’archiviazione. Ciò nonostante, la vita di Chiara era e rimane stravolta, e così quella di Roberta, oggetto dell’odio rabbioso della figlia, tutto scatenato contro di lei, apparentemente mal direzionato. L’idea del teatro viene in soccorso alla madre: per chissà quale inconscio, arcaico bisogno di catarsi sostitutiva, di sublimazione, Roberta chiede a Giuliana di scrivere sulla sua storia, naturalmente mantenendo l’anonimato dei protagonisti. Dopo lunghi tentennamenti, l’autrice accetta. Dentro è la storia degli incontri per costruire lo spettacolo, è insieme cronaca di quella ricerca e suo esito.
E così le due donne si mettono a scavare, rischiando di sprofondare esse stesse in quel fango, a spalare. Questo tirar fuori, così come da una miniera, o da un pozzo nero per disgorgarlo, questo rigirìo di materiali pesanti o putridi costituisce – per così dire – “l’identità cinetica” del testo. Lo scavo parte da una superficie, l’atto ripetuto di violenza, subito esposto come tema, sia pure incerto nelle sue dimensioni. Da quello, ogni colpo di vanga è un calarsi nella storia della famiglia, nei rapporti tra i suoi membri, nel contesto borghese, nelle traiettorie che le menti disegnano attorno ai fatti, finché, carico dopo carico, ciò che si cava dalla buca è la consapevolezza che quegli atti, prima sospettati, sono effettivamente avvenuti. Nessuna “prova” tecnicamente intesa, è vero, ma essi sono stati, e la figura di Giuliana, alter ego del terapeuta, è garante di questa operazione di recupero.
La restituzione di un fatto non è però sufficiente: perché la realtà non si limita a quella delle azioni compiute o subìte, essa si radica nelle persone. Mentre si allarga la vena a colpi di piccone, la domanda che comincia a farsi più pesante non è più “che cosa è avvenuto?”, ma “perché Roberta non si è accorta di nulla?”. Perché lei che, uno dopo l’altro, riesuma anni di segnali lampanti («Parlami, dimmi, raccontami» insisteva ottusa “contro” una figlia che non poteva risponderle), non ha mai saputo vederli mentre le si presentavano, né seguirne la traccia?
Ciò che giace in fondo a quel pozzo nero non è una mera verità, è un insostenibile dolore: a quel dolore, a quel tabù, Roberta ha provato in ogni modo a sottrarsi. Ha preferito subire per anni su di sé la rabbia aggrovigliata di Chiara (Freud per i suoi “isterici” ipotizzava la scaturigine di un atto di «seduzione» da parte di un adulto in tenerissima età) piuttosto che veder andare in frantumi tutto di sé, ammettendo che nella sua casa si consumava, notte dopo notte, un incesto.

Foto di Federico Sigillo

Ora, il segreto e la censura sono diversi dal tabù – sentenzia un magistrato, impersonato in modo impressionante dalla stessa Musso – perché il segreto e il mistero hanno una finalità, mentre il tabù, se ne ha una, è più occulta. Così, una volta scassinato quel mistero, quando il dolore ha l’agio di finalmente sgorgare sul palco, e si intravede persino un bagliore di rinascita (Chiara tocca, per la prima volta da anni, la spalla della madre), il senso della giustizia umana, renitente a qualsiasi edificante sutura, sfugge a una presa più salda. La “realtà”, anche nella raggiunta consapevolezza, scivola in un ulteriore bordo di intangibilità, restituendo la dimensione di una condizione, quella umana, i cui confini, pur intuiti, non sono mai fissi, ma sanno all’infinito sfrangiarsi, perdersi nel buio.
Gli avvocati e i magistrati (le loro testimonianze che quasi aprono e chiudono il veramente perfetto testo di Musso come in un circolo non di cinismo, ma di dubbio implacabile, sono immagine dell’altissima miseria umana), sconsigliano Roberta di far riaprire le indagini. Nessuno può garantire che il padre sarebbe riconosciuto colpevole; tutti assicurano, di contro, che il cursus di un processo distruggerebbe Chiara sottoponendola alle opposte trazioni delle due parti, frugandola senza ritegno nel vivo.
Se dunque il dolore di Roberta sprizza finalmente sul palco – e Freud ritrattò, forse schiacciato dal peso di quello stesso tabù che aveva osato mostrare ai colleghi, la sua “Teoria della seduzione”, negando credito alla riemersione delle violenze censurate nelle vittime – per Giuliana, così come per noi, che cosa sia, a cosa servano la giustizia, la verità, che rapporto abbiano con la costruzione di un’esistenza almeno vivibile, rimangono domande sospese come un’apnea, come un morso tenace alla coscienza.

Dentro

drammaturgia e regia Giuliana Musso
con Giuliana Musso e Maria Ariis
musiche originali Giovanna Pezzetta
consulenza musicale e arrangiamenti Leo Virgili
scene Francesco Fassone
assistenza e direzione tecnica Claudio Parrino.
Produzione La Corte Ospitale
coproduzione Operaestate Festival Veneto.

Teatro India, Roma, dal 29 novembre al 4 dicembre 2022.

Prossima data:
Teatro Carcano, Milano, dal 26 al 29 gennaio 2023.
In tournée.