“Dreams”: donne, generazioni, amore di Monia Manzo

Foto di Motlys

La Berlinale e i suoi vincitori non rappresentano in modo canonico dei potenziali campioni d’incasso ma, senza ombra di dubbio, aprono sempre nuovi scenari visivi e linguistici del cinema internazionale.

È esattamente ciò che è accaduto a Dreams, che ha portato a casa l’Orso d’oro, con grande soddisfazione del regista, il norvegese Dag Johan Haugerud, che con questa seconda pellicola ha composto la trilogia Sex, Love e Dreams: una sfida su temi complessi e in parte rischiosi vista la portata sociale delle storie narrate.

Dreams, il secondo film in ordine di produzione, racconta una storia d’amore vista con gli occhi di una teenager dei nostri tempi. Una ragazza un po’ algida ma, al tempo stesso, molto tenera: Johanne (Ella Øverbye).

Il plot ruota, apparentemente, attorno al suo primo incontrollabile amore per la propria insegnante di liceo, Johanna (Selome Emnetu), una donna affascinante nel suo doppio ruolo di docente e di artista. Infatti, nel corso del racconto verranno affrontate tematiche di grande rilevanza (l’adolescenza, i rapporti interpersonali, le relazioni intergenerazionali) che rendono il film carico di significati più di quanto avessimo intuito nella prima parte.

La delicatezza sfacciata e l’eccessiva purezza del viso della giovane protagonista, Johanne (Ella Øverbye) sono l’emblema dell’età adolescenziale, periodo dell’esistenza in cui tutto sembra essere vissuto in maniera totalizzate.

La scoperta dei sentimenti è descritta con una serie di immagini in cui anche i più insignificanti particolari del corpo dell’“oggetto amoroso” sono catturati dalla macchina da presa, sostituendoli magistralmente allo sguardo ammaliato di Johanne.

La motivazione che avvicinerà la ragazza alla donna è la volontà di imparare a lavorare a maglia. L’insegnante infatti, avendo la passione per i tessuti, ne è una grande esperta. I maglioni e la loro presenza all’interno delle inquadrature sembrano a tratti evocare i cromatismi dell’anima di coloro che abitano la scena, fungendo da raccordo tra un’emozione e l’altra dei personaggi.

Dreams prende vita però soltanto attraverso la tecnica del racconto, un mezzo per concretizzare la visione intellettualistica del plot: Johanne decide di fissare il suo amore in un diario, prova tangibile della sua maturità.

Foto di Motlys

Dal diario/manoscritto nasce un vero dibattito generazionale e familiare in cui viene coinvolta anche la figura centrale della nonna della protagonista, interpretata magistralmente dall’attrice Anna Marit Jacobsen in “stato di grazia” nel film, dove il regista le assegna l’unica parte “onirica”.

Il sogno, infatti, non è soltanto quello relativo alla coscienza adolescenziale di Johanna, ma anche quello vetero-femminista della nonna, che non si trattiene mai dal ricordare le rivendicazioni sociali e di genere reclamate dalla sua generazione

In Dreams ci sono quindi due doppi piani che si sovrappongono e si completano: la coppia, quasi omonima, Johanne/Johanna e Kristin (Ane Dahl Torp) e la coppia Kristin, la mamma di Johanne, contro sua nonna Karin.

Kristin è scioccata dal tema scabroso del diario. Pensa da subito che la figlia abbia subito violenze e molestie. Karin (poetessa affermata), invece, intravede immediatamente il potenziale letterario del testo. Le due posizioni, all’inizio così distanti, si fondono nell’obiettivo comune di dare alle stampe le memorie di Johanne.

Dag Johan Haugerud restituisce un’immagine complessa e interdipendente del rapporto madre figlia. Infatti, mentre all’inizio l’adolescente è reticente a mostrare il manoscritto alla madre, alla fine – grazie all’intercessione della nonna – riuscirà a ricongiungersi con la parte materna negata.

In questa piramide familiare non rientra di sicuro l’immagine “sinuosa” di Johanna che si rivelerà, soprattutto nel dialogo con Karin, una vera manipolatrice dai tratti fortemente narcisistici e orientata al sadismo psicologico.

La fotografia del film è fortemente condizionata dal minimalismo scenografico e simboleggia, con profonda onestà intellettuale, il protestantesimo della cultura nordica.

L’amore nella cultura norrena sembrerebbe essere un fenomeno conseguente alle epifanie linguistiche, infatti pur sforzandoci (antropologicamente) di individuarne qualche manifestazione esclusivamente fisica all’interno delle numerose scene in cui agiscono le protagoniste, risulta pressoché impossibile trovarle.

Affascinati dalla capacità narrativa di Johan Haugerud, attendiamo di vedere il suo terzo film per scoprire in quali altri viaggi sentimentali e psicologici il regista scandinavo ha deciso di coinvolgere lo spettatore ormai addicted.

Foto di Agnete Brun
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