Un destino acchiappato per la coda
Nella casa di Rui Barata incontravo gente che ai miei occhi sembrava piuttosto bizzarra, venivano da Rio de Janeiro, da San Paolo. Arrivavano a Belém per fondare una scuola di teatro dell’Università Federal di Pará. Lì ho conosciuto tutte quelle persone che sono state molto importanti per il teatro brasiliano come Amir Haddad, il grande regista, che è ancora vivo. La coincidenza volle che la scuola di teatro si trovava proprio dietro la scuola Alfredo Chaves, dove io studiavo. Non amavo stare dentro la scuola perché preferivo vedere i film o conoscere le persone che studiavano lì. C’era Rodrigo Santiago, grandissimo attore, ormai morto, la professoressa Maria Silvia Nunes, di Belém, Cláudio Barradas, Amir Haddad. Li vedevo, ma non sapevo chi fossero. Quando decisi poi di andare a San Paolo, Rui Barata mi disse: «Te li ricordi? Venivano a casa, erano loro! Se vai a San Paolo cercali». Non potevo più restare a Belém. Sono partito. Ad una mia amica che cantava meravigliosamente bene e che non ce la faceva nemmeno lei a restare a Belém, ho detto: «Fatima, andiamo, io scappo». Mi rispose un po’ ironicamente : «Io scappo in aereo». Oggi è conosciuta in tutto il Brasile, con il nome d’arte di Fafá de Belém, meravigliosa. Era nel mio gruppo di teatro. In seguito, è stata invitata per registrare il tema musicale della telenovela Gabriella, a Rio de Janeiro. Rui Barata, infatti, sosteneva: «Chi vuole fare teatro deve andare a San Paolo, mentre chi vuole fare televisione va a Rio». Le nostre strade si sono separate così. Arrivo a San Paolo non conoscendo nessuno, senza nessun aiuto. Incomincio a lavorare in un ristorante molto semplice, una tavola calda. Mi piace cucinare. Ho provato ad entrare nella Scuola d’Arte Drammatica di San Paolo, ma non mi hanno preso. Nella strada dove lavoravo c’era una scuola di teatro a pagamento, il Piccolo Teatro di San Paolo, gestita e fondata da un italiano che si chiamava Giustino Marzano. Lavoravo e mangiavo in quel ristorante, tanto a pranzo quanto a cena. Non spendevo nulla, così con i soldi guadagnati riuscivo a pagare la scuola e quello che mi rimaneva lo usavo per dormire in una pensione. La scuola mi piaceva molto perché lì ho conosciuto tante persone che sono state molto importanti nella mia vita, come Roberto Lage, che tempo dopo ha fatto la regia di Mio zio il giaguaro di Guimarães Rosa, proprio lo spettacolo con cui un giorno sarei arrivato in Italia: vedi come è buffa la vita! Lì ho conosciuto un altro mio maestro, Sábato Magaldi, con cui studiavo Storia del teatro. La moglie di Giustino Marzano, Raffaella, faceva lezione di scherma e parlava in italiano con il marito. Pensavo: «Mamma mia, dove sono capitato». Mi trovavo in un altro mondo, tutto era diverso da Belém, mi sembrava di stare in un paradiso. Durante il secondo anno di scuola, mentre stavano montando uno spettacolo di Jean Giraudoux, L’Apollo di Bellac, un attore, non so per quale ragione, non poteva più parteciparvi. Mi sono presentato dicendo: «Io posso farlo». Così ho cominciato a fare lo spettacolo. È uscita la critica del professor Magaldi, il più importante del teatro brasiliano: un elogio immenso. Mi hanno chiamato subito per fare un altro spettacolo, quindi, ho lasciato la scuola e ho iniziato a lavorare.
Poco dopo, però, mi sono accorto che mi mancava il gruppo della scuola. Quando me ne sono andato non avevo più i miei compagni di Belém, non sapevo cosa stessi facendo lì e ho pensato: «Me ne vado, non ha più senso stare qui». Era il 1977. Mi hanno dato un compenso per il tempo delle prove e con quei soldi ho comprato il biglietto del pullman per tornare a Belém. Vivevo in una pensione da solo. Con gli amici ho passato qualche giorno sulla spiaggia prima di riprendere la strada di casa. Il giorno precedente la mia partenza, una delle mie amiche, Eliana Estevão, nera, bella, una cantante, che stava un po’ in disparte sotto l’ombrellone a leggere, ci chiese se qualcuno poteva accompagnarla a fare un provino. Era nel panico perché era l’ultimo giorno. Mi offrii di accompagnarla. Siamo entrati nel teatro São Pedro. La platea era piena, c’erano tanti artisti. Alla fine erano rimasti solo quelli che erano stati selezionati per fare lo spettacolo. All’improvviso vedo entrare un mio amico, Amauri Perassi, un attore con cui avevo già lavorato. Sono andato di corsa ad abbracciarlo nel corridoio e lui mi ha infilato un foglio con un testo nella tasca dei pantaloni. Forse intendeva farmi partecipare alle audizioni. Questo non l’ho mai saputo. Il maestro che faceva le audizioni sembrava molto scontento così mi sono detto: «Perché non provare subito?». Gli attori che erano lì, irritati, mi dissero di aspettare il mio turno quando un tipo grosso si rivolse verso di me con una provocazione: «Se sa come fare la scena, lasciatelo provare». Tutti quelli che erano in platea si misero a ridere. Mi sono vergognato tantissimo. Sono salito sul palco e ho cominciato a leggere quel testo che mi aveva dato Amauri. Ero così incazzato, pieno di vergogna, incazzato con me stesso, con tutto, perché la mia vita non andava bene, volevo solo andare via e tornare a casa. Ad un certo punto un tipo grasso, era il maestro Murilo Alvarenga, l’ho saputo solo dopo, mi propose: «Ci canti qualcosa». E io: «Cantare? Non so cantare». Cominciai, comunque, ad intonare, quasi senza volerlo, Tanti auguri a te. Il maestro è scoppiato in una risata che mi ha fatto incazzare ancora di più. Sono andato in fondo al palcoscenico, mi sono girato e ho detto non so cosa di quel testo. Silenzio. Si alza quel signore grasso, viene da me e mi passa la mano sulle spalle. Mi porta in fondo, dietro le quinte e mi fa entrare in un camerino molto piccolo. Là dentro mi disse: «Bravo, ti interessa fare lo spettacolo?». Avevo già il biglietto del pullman per partire il giorno dopo. È cambiato tutto. Quell’incontro ha cambiato tutto.