Ciò che resta è la terza ed ultima tappa di Esercizi di memoria con Renata Molinari. Tenendo tra le mani i grani di una collana e una cartina dell’Italia su cui è evidenziata la via Francigena, si confronta con i lasciti e le propaggini di due esperienze per lei significative, il percorso con Thierry Salmon e il laboratorio itinerante Passi – camminare incontrare fermarsi, arrivando a parlare delle attività de La Bottega dello Sguardo, che in qualche modo le riunisce e moltiplica. È questo quello che avviene quando le eredità diventano fonti a cui il futuro può abbeverarsi.
Quando nel 1988 abbiamo portato a Milano Le Troiane con Thierry Salmon, c’erano trentasei attrici e cantanti che partecipavano all’impresa e io volevo fare un regalo. Cercavo un dono da condividere che andasse bene per un gruppo così numeroso, e allora comprai due collane di ceramica azzurra e le tagliai, le sgranai, e regalai a tutte, anche a me, un grano di quelle collane. Lo conservo ancora nel suo sacchetto e ho pensato a lungo se scartarlo oppure no. La realtà è che non voglio scartarlo, e anche questo fa parte della memoria: io so che c’è, penso che ci sia, dobbiamo fidarci. Lo conservo dov’è sempre stato, e lì resterà. Un po’ come questo grano di ceramica racchiuso dentro un sacchettino, c’è sempre qualcosa che resta, quasi miracolosamente: il lavoro fatto a certi livelli di creazione è un lavoro che comunque resta dentro. Solo che è difficile dire che cosa resta.
Le Troiane hanno avuto un tale successo per cui, in quella meravigliosa fine degli anni Ottanta, tutti mi iniziarono a chiamare per dirigere dei laboratori. Molte attrici mi chiedevano di scrivere spettacoli, di fare delle Cassandre. Ho avuto più richieste di drammaturgie di Cassandre in quel periodo che in tutto il resto della mia vita. Ho cominciato a Montalcino, dove mi venne chiesto se volevo fare un laboratorio con degli attori (1) e io scelsi – ed è una cosa di cui vado molto fiera ancora adesso – di lavorare con un gruppo di attori che non conoscevo e che fossero portatori di realtà teatrali diverse.
Cosa mi porto dietro di quegli anni? Non lo so. Sicuramente gli incontri con delle persone, più che con un movimento, come invece accadeva negli anni Settanta. Negli anni Settanta tu eri dentro un movimento, negli anni Novanta no, non io almeno. Io non so cosa mi porto dentro finché questa cosa non agisce: deve agire perché io sappia che cos’è. O forse c’è una forma di discrezione per cui non racconto aneddoti e non parlo di quello che non posso raccontare come azione. È un mio tratto. C’è anche un’altra cosa: per me la scrittura funziona un po’ come un sostituto della memoria, cioè una volta che ho scritto, non ho più bisogno di ricordare.
L’ultimo oggetto che ho scelto è una cartina dell’Italia dov’è indicato il percorso della via Francigena. Questo racconta della mia passione straordinaria, diventata quasi un’ossessione, per le mappe. Ancora oggi lavoro moltissimo con i laboratori sull’osservazione, sulla costruzione di mappe, sul rapporto fra una mappa e un racconto. Nel 2000, facemmo un viaggio lungo la via Francigena a conclusione di dieci anni di laboratorio cominciato dopo Le Troiane. Il progetto prima era rivolto ad attori, poi è diventato solo per attrici. Non è stata una scelta ideologica, però è andata così e ci sarà un perché. All’inizio lavoravamo sul linguaggio dell’attore, poi siamo andati avanti per temi: per esempio per due anni abbiamo approfondito la lingua di Simone Weil, le sue parole così concrete. Nel passaggio da una fase all’altra doveva esserci almeno un nucleo di tre persone che avesse partecipato anche a quella precedente. Le persone non dovevano pagare per fare i laboratori, ma essere pagate, per me questo era fondamentale e continua ad esserlo.
Il fatto che il laboratorio fosse legato a Thierry mi stimolava molto. Quando trovavamo delle cose, Thierry mi suggeriva di provarle con i ragazzi del laboratorio che tenevo alla Paolo Grassi, dove sviluppavo autonomamente intuizioni mie o sue che non avevano avuto uno sbocco efficace negli spettacoli. Thierry veniva spesso a vederne gli esiti.
Poi io smisi di fare il laboratorio, smisi di fare un po’ tutto quando morì Thierry. A un certo punto arrivò una proposta di Paola Bigatto e di Sisto Dalla Palma, nell’anno del Giubileo, che accettai (2), anche grazie al conforto di Raffaello Baldini, che mi aveva regalato il suo Furistír (3). Ci sono dei momenti di grande lutto in cui il sentimento è quello del sentirsi forestieri, stranieri a tutto… c’erano stati lutti continui, nel giro di tre anni erano scomparse persone molto importanti per me, e quindi qual è la condizione più vicina a quella del forestiero? È quella di mettersi in cammino a piedi, per strada, magari strade percorse da camion. Questo abbiamo fatto e questo in qualche modo io continuo a fare, fino all’ultimo sogno.
A un certo punto mi sono detta: «Benissimo, adesso torno a casa, che è la Romagna, e porto con me tutti i miei libri, i libri raccolti in tutta la mia vita. Voglio che diventino una biblioteca pubblica e che continuino a vivere». Così ho fatto della mia biblioteca personale una biblioteca pubblica, la Biblioteca teatrale Molinari. È legata a un’associazione che si chiama La Bottega dello Sguardo, con esplicito riferimento alla mia esperienza con Jerzy Grotowski e al grandissimo incontro con Antonio Neiwiller. Lì intrecciamo parole, azioni e ipotesi, ma soprattutto i libri sono in salvo. Adesso i titoli catalogati sono seimila, poi ci sono tutte le carte dell’archivio e in qualche modo potrei dire che anche io ne faccio parte perché sono presente, so da dove vengono, a quale storia siano legate e posso raccontarlo. Insomma, mi sembra che io stessa sia diventata una mappa.
1) Nel 1989 Renata Molinari svolse un laboratorio nell’ambito del Festival di Montalcino, chiamato Racconti d’attore, diventato poi il primo appuntamento di un percorso di lavoro drammaturgico.
2) Il riferimento è al laboratorio di drammaturgia in movimento Passi – camminare incontrare fermarsi consistente in un percorso a piedi lungo la via Francigena nell’ambito del progetto Per antiche vie.
3) Furistír è una raccolta di poesie pubblicata nel 1988 da Raffaello Baldini, interamente in dialetto santarcangiolese.