“Favole” di Wilde/Sepe: appuntamenti con la luce di Chiara Crupi

Foto di Manuela Giusto

Fra i tanti aspetti che stupiscono di questo spettacolo, il primo è che, pur appartenendo alla categoria dei volatili eventi teatrali, una volta fuori, all’aria aperta, camminando per le strade di Roma, la sua eco continua ad avere la meglio sulla vita reale. Non si esce dalla sala costruita per trentaquattro spettatori, – quasi una camera di gestazione abituata ai miracoli di nascite quotidiane – senza portare una parte di quanto si è visto e ascoltato con sé. Anzi sembra quasi di restarne “impigliati” e di non riuscire ad andare via dal buio pieno di immagini che ci ha avvolto.

Foto di Manuela Giusto

Altra caratteristica di quest’opera è la sua sorprendente bellezza, di fronte alla quale ci si può unicamente arrendere, rinunciando alla vanità di descriverla. E ancora un altro aspetto di straordinarietà è che questo spettacolo ha più di vent’anni e non dimostra il minimo segno dell’età. Anzi è un ritratto di giovinezza potente che ha del prodigioso (per restare nei temi cari a Wilde).

Mentre spegniamo i cellulari e togliamo la giacca per immergerci nella nostra zona di comfort di chi osserva, veniamo implicitamente invitati a riporre anche qualcos’altro di noi: quella distanza, quel velo di distacco, quella “presunzione di identità” che ci divide da ciò che stiamo osservando. Il buio semovente che ci avvolge ci smaschera. La platea è una macchina che gira ma non è solo questo – e non è necessario saperlo. Perché quello che davvero non ci è permesso è di stare fermi a guardare e a giudicare. Non riusciamo ad osservare tutto e bene, il nostro punto di vista cambia, partecipiamo letteralmente ad un vortice di emozioni. Ne siamo parte, ci riconosciamo. Non a caso siamo circondati da specchi che, se ce ne fosse bisogno, uniscono definitivamente i mondi dell’osservato e dell’osservatore.

Foto di Manuela Giusto

Chi si aspetta di ascoltare e rintracciare le favole di Wilde non ha il tempo di restare deluso, perché è completamente immerso in un intreccio di visioni, suoni e colori – tutte le stagioni dei sentimenti – che sfilano intorno a lui. Anche se è più corretto dire che è lo spettatore ad essere mosso verso e intorno alle stesse visioni. Non si rimpiangerà una trama. La poesia cade ovunque come una pioggia vivida, e dunque anche nei frammenti del testo che ci è dato ascoltare.

È una giostra della bellezza e dei sensi, sulla quale lo spettatore è invitato a salire e dalla quale si scende con l’universo – interiore ed esteriore – che barcolla. Ma vitalità, persistenza e struggente bellezza non sono ancora tutto quello che c’è da raccontare. Ciò che davvero colpisce è la capacità di farci vivere il doppio aspetto delle emozioni umane, il loro carattere intimo e unico, che tocca il vissuto individuale e universale.

Favole è il racconto della passione come commozione dell’animo, di ciò che nel mondo quotidiano e civile si impara a controllare quando si diventa adulti. E per accompagnarci a perdere questo punto di vista, non ci vengono raccontate le favole a morale rovesciata che Wilde aveva creato per i suoi bambini. Favole che facevano luce sulla bellezza e sulla miseria, sull’ingiustizia e sull’ottusità, sulla povertà e sulla ricchezza, sull’ipocrisia della morale (che lo scrittore disprezzava) e sulla sordità degli esseri umani al vero e al bello. Sepe ci trasporta sapientemente verso una “disposizione d’animo” all’ascolto di un racconto. Siamo nel ventre di una fiaba mentre questa sta nascendo. Siamo nella testa di Wilde mentre la sua immaginazione scoppia. Siamo nel mondo dei sogni e degli specchi. Tutto è permesso: le emozioni non temono di manifestarsi, l’immaginazione è senza briglie.

Foto di Manuela Giusto

Ciò che vediamo è spesso inquadrato in feritoie, in cornici, in fotogrammi. E qui si apre un nuovo sconfinamento: il cinema, anzi il pre-cinema. In effetti, la pubblicazione delle favole precede gli iniziali esperimenti pubblici del cinematografo dei Lumière: quell’arte affascinante che architettava meraviglie intorno al nuovo concetto scientifico della persistenza retinica a metà dell’Ottocento e che fa parte dell’immaginario di quel tempo. Le trovate ingegnose per mettere in movimento immagini sembrano qui rievocate e riemergere. Il susseguirsi di quadri, azioni incastonate in inquadrature multiple genera un movimento interiore che afferisce ad una persistenza emotiva, prima che visiva.

Sono frammenti di immaginazione lanciati senza ordine apparente, scene che tocca a noi raccogliere, ordinare o forse solo lasciar vivere. Gli attori si muovono sempre al buio in cunicoli e scorci per raggiungere le varie “cornici” da cui saranno visti. Sono vicini a noi, spesso quasi a contatto fisico. Mentre attendono di essere illuminati e visti ne possiamo cogliere il respiro. Si danno appuntamento con la luce e ci propongono un altrove struggente. Si donano come apparizioni. Ancora una volta la percezione di una grande capacità corale e individuale degli interpreti guidati da Sepe e anche la grande umiltà con cui sanno farsi parte di un tutto.

Questo omaggio a Wilde (e al suo martirio), al suo coraggio di essere sensibile e scandaloso, è un invito al coraggio anche per noi.

Ci si domanda se nel nostro presente, sovrastimolato e caotico, siamo ancora in grado di riconoscere i maestri e la loro capacità di attrarre artisti di valore, di agglomerare le doti di attori, scenografi, musicisti, light designer.
Favole è un’esperienza più che uno spettacolo, un capolavoro che tangibilmente coinvolge e cambia.
Non possiamo che augurarvi di farne parte.

Foto di Manuela Giusto

Favole di Oscar Wilde
(per cominciare a leggerle)

uno spettacolo di Giancarlo Sepe
con Alberto Brichetto, Davide Giabbani, Ariela La Stella, Aurelio Mandraffino, Riccardo Pieretti, Federica Stefanelli, Michele Dirodi
scene Carlo De Marino
musiche Davide Mastrogiovanni | Harmonia Team
costumi Lucia Mariani
disegno luci e direzione di scena Pietro Pignotta
datore luci Erica Galante
scene realizzate da Scenografie Imparato & Figli
produzione Teatro della Toscana.

Teatro La Comunità, Roma, fino al 17 aprile 2025.

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