Presentato nella sezione Freestyle alla recente Festa del Cinema di Roma, l’ultimo lungometraggio di Daniele Vicari Fela il mio dio vivente pare inscritto nel segno della scoperta fin dall’origine. Era il 2019 e, guarda caso durante una precedente edizione della kermesse capitolina, il regista conosce Renata Di Leone, moglie di Michele Avantario. Videoartista e autore televisivo, Michele si era letteralmente messo in testa di realizzare un film su Fela Kuti, producendo ore e ore di riprese e raccogliendo quanto più possibile sul musicista africano inventore dell’Afrobeat nonché rivoluzionario e attivista per i diritti umani. Il risultato è un incredibile archivio, amorosamente custodito da Renata per oltre un quindicennio, dopo la scomparsa del marito nel 2003, fino all’incontro rivelatosi decisivo con Daniele Vicari. Il quale elabora i compositi materiali video di Avantario e firma un’opera davvero intrigante, che tra i vari pregi ha quello non ultimo di sfuggire alle classificazioni (documentario di montaggio, film musicale, biopic) per scegliere una via propria e originale di cinema.
Ecco, dunque, che Fela il mio dio vivente non è il film mancato da Avantario, quanto piuttosto la storia di Michele che insegue, con assoluta dedizione, quasi consacrandosi ad esso, il suo ambizioso progetto. Da quando, conquistato dal sound africano e di Fela Kuti in particolare, il giovane sperimentatore di immagine elettronica si inventa consulente musicale e nel fervore delle Estati Romane per antonomasia, quelle di Renato Nicolini, riesce a portare in concerto a Roma il carismatico leader degli Africa ‘70. Attraverso i viaggi, numerosi, in Nigeria, Lagos: un mondo “altro” rispetto a quello reale che lo aspetta a ogni rientro in Italia e che presto non avrebbe più retto il confronto. In quest’atmosfera per lui straniante ma piena di vita alla massima potenza, Michele viene accolto nella Repubblica di Kalakuta, sorta di comune e insieme studio di registrazione per il clan/band di Fela, unico bianco ad avere il privilegio di far parte della sua famiglia allargata. Passano mesi, anni, intanto il mondo fuori cambia (quasi mai in meglio) e però non è mai il momento di fare il film, continuamente procrastinato da colui che dovrebbe esserne il protagonista. Quando nel 1997 il musicista finalmente ne autorizza la realizzazione, è tardi: Michele, paradossalmente proprio mentre sembrerebbe sfumato il sogno di una vita, si ritrova a essere con la sua videocamera il testimone d’eccezione della fine (solo terrena) di una leggenda, tra la commossa folla oceanica convenuta al suo funerale.
Assistito da Andrea Campajola al montaggio, Daniele Vicari trascina lo spettatore in un vortice visivo, anche un po’ psichedelico, lasciando le straordinarie immagini inedite girate da Avantario, assemblate a molto altro notevole repertorio, libere di fluire nella loro esuberanza sui ritmi travolgenti dell’Afrobeat per prendere respiro nei brani più lirici delle musiche di Teho Teardo. C’è spazio nel racconto per mostrare il lato quotidiano del mito Fela Kuti, il Black President sostenitore del panafricanismo che si scaglia contro l’ingerenza delle multinazionali e contro la supposta democrazia/demo-pazzia USA. E soprattutto per approfondire l’aspetto iniziatico dell’esperienza di Avantario, introdotto ai riti magico-animisti, vero switch nel suo rapporto con Fela maestro e guida spirituale in grado di ribaltare sul piano esistenziale la vicenda dell’artista-discepolo.
Ad accompagnarci in questo percorso vitalistico di scoperta è lo stesso Michele con la voce narrante di Claudio Santamaria, in un testo “cucito” sulle immagini dal suo diario-memoir da Vicari insieme a Renata Di Leone e Greta Scicchitano alla sceneggiatura.
La distribuzione in sala è prevista per i primi mesi del 2024. Di sicuro la lunga attesa sarà ben ripagata.