Inserita nel quadro del Festival Romaeuropa la nona edizione di Digita-Live, curata da Federica Patti, si è tenuta in 4 giornate, tra il 4 e il 7 ottobre. L’importante riflessione sul rapporto tra macchine e uomo, tra digitale e forma d’arte, si è esteso attraverso un cartellone denso di artisti italiani più noti all’estero che in patria.
La presenza di Caterina Barbieri, bolognese, classe 1990, trasferitasi a Berlino da tempo, si è posta come presenza puntuale e rilevante all’interno della manifestazione.
La Barbieri vanta all’attivo importanti collaborazioni in Festival internazionali ed è tornata nella capitale per presentare il suo disco Patterns of Consciousness (Important Record, 2017). Il titolo dell’album chiarisce le intenzioni della compositrice, un lavoro che: «… si infrange sulle sponde del minimalismo e intende riflettere sulle forme d’onda primarie».
A dimostrazione dell’importanza dell’evento e del notevole orizzonte d’attesa da parte del pubblico, già un’ora prima dell’inizio del concerto il teatro era sold out. Vista l’enorme richiesta di accessi (e la possibilità, da parte dell’organizzazione di modificare l’assetto della sala), dopo gli opportuni adattamenti, la biglietteria ha potuto stampare e vendere altri ingressi facendo, così, assistere all’evento anche coloro che ne erano rimasti sprovvisti.
In modo inusuale l’artista accoglie il pubblico mostrandosi, discretamente, ferma in un lato del Teatro 2 della Pelanda al Mattatoio. Sembra sia intenzionata a ricevere personalmente ciascun ospite per introdurlo emotivamente tra le maglie del suo percorso sonoro. All’improvviso, poi, scompare dietro il telo della scena per riapparire, grintosa, davanti alla platea. È la dominatrice del set. Quest’ultimo è minimale: l’artista ne occupa il centro. Ai lati ci sono le casse attive e i subwoofer che ci prospettano un ascolto frontale. A terra, alcuni cuscini, compongono la prima fila degli spettatori, offrendo una possibilità di fruizione differente dal convenzionale, dove il suono pare giungere all’ascoltatore in modo anomalo, seguendo una traiettoria dall’effetto avvolgente.
Il concerto inizia. Ho la speranza, il desiderio, di vivere un bellissimo viaggio. Un itinerario originale e differente dall’usuale. La musicista si muove con eleganza sul sintetizzatore. Qualche lieve imprecisione non mette in dubbio la sua destrezza nel controllare gli oscillatori. La sua granitica presenza dietro il set è un “sigillo” esteticamente potente: un aplomb automatico, meccanico, a tratti robotico, scandisce la metrica dei pattern che disegnano geometrie molto rigide. Da spettatrice mi prefiguro una scossa, quel momento in cui lo sviluppo tematico dei loop mi trascini dove l’uomo non può arrivare mentre le macchine, invece, sono a loro agio. Chiudo gli occhi, nel tentativo di immergermi nel reticolato tracciato dalle forme d’onda, dai loop che si sovrappongono, “entrando e uscendo” dalla composizione elettronica dell’autrice. L’uso della macchina del fumo, seppur d’effetto, si dimostra eccessivo in quel piccolo spazio in cui si svolge la performance, un po’ disturba creando un senso di soffocamento e costrizione. I giochi di luce sono esili, disegnano vettori basici e non sono di molto ausilio alla logica del concerto e neppure i pattern della mia coscienza si attivano; resto lì, nell’immobilità della mia, statica, seduta.
La ricerca della Barbieri è senza dubbio concettualmente interessante, intelligente. È innegabile che l’obiettivo, la strada, sonoramente seguita dall’autrice è quello di condurre la platea verso qualcosa di emotivamente “significante” ma, alla fine della serata, è proprio l’emozione del perdersi in un’altra dimensione a mancare; sono contenta di aver partecipato all’evento ma l’esecuzione non è riuscita a “trascinarmi via”.
La musica sintetica trae le basi dallo studio e dalla conoscenza delle forme d’onda principali, quelle prodotte dagli strumenti convenzionali. Partendo da questo assioma, le macchine diventano il ponte tra il possibile e l’impossibile. Il potenziale della macchina (o, meglio, il suo fine ultimo) è creare suoni che altrimenti non saremmo in grado di produrre: consentire all’uomo di costruire e plasmare tutto ciò che è consentito fino a giungere ai limiti di ciò che è realizzabile e fruibile dal genere umano.
Qui la debolezza della performance e la consequenziale riflessione: macchine e cyborg potranno dialogare e scuotere le nostre coscienze con la stessa potenza espressiva dell’animo umano? Sintesi come elemento di composizione o come forma di riduzione?
Patterns of Consciousness
concerto di Caterina Barbieri
foto di scena Eleonora Mattozzi e Maria Giovanna Sodero
Romaeuropa Festival, Mattatoio Teatro 2, 6 ottobre 2018.