Fuse* – Dökk, la “creazione” multimediale di Livia Nigro

Foto Filippo Aldovini

Buio, questo è il significato della parola islandese Dökk che dà il titolo alla performance presentata il 6 e 7 ottobre presso il Teatro 1 della Pelanda di Roma, nel quadro del Festival Romaeuropa. Buio: una costante ricerca di equilibrio tra luce e tenebra perché l’una non può esserci senza l’altra e la loro coesistenza è possibile solo grazie ad un alternarsi di supremazia, tutt’altro che duratura.

Lo spettacolo è frutto di uno studio italiano, Fuse*, fondato nel 2007 da Luca Camellini e Mattia Carretti, che si propone essere molto più di un gruppo di semplici creativi. Essi si definiscono un ensemble di ricercatori e artisti mediali che hanno trovato la loro chiave espressiva tramite esperienze multimediali, software e piattaforme tecnologiche.

foto Emmanuele Coltellacci

La performance mostra, infatti, la loro abilità in campo tecnico e invita a perdere le coordinate spazio-temporali fino a ricostruire la “sostanza” secondo la propria immaginazione, lasciandosi ispirare dalla “realtà aumentata” che propongono. Lo spettacolo vede come protagonista una sola artista, imprigionata tra i fasci luminosi di due proiettori (idea molto valida sebbene sperimentata anche precedentemente tra l’altro dalla compagnia di danza Momix). Il proiettore postole avanti è necessario per offrire al pubblico l’illusione di trovarsi in una dimensione “altra”, sensazione che viene valorizzata dall’uso di luci stroboscopiche e da una base sonora dal volume piuttosto elevato, quasi frastornante. Attraverso una cascata di luci, poi, che richiama la composizione dell’universo, si viene idealmente scaraventati nel momento del big bang. Della creazione del cosmo la performer è parte integrante e, benché cerchi di domare la luce accecante che la circonda, ne risulta completamente sopraffatta. Nel continuo tentativo di sovrastare la forza luminosa con l’energia dell’oscurità, l’artista, nascostamente, indossa una cintura che le permette di restare sollevata tanto da compiere dei movimenti “liberi” come fosse in assenza di gravità. Nell’immaginario creato dallo schermo fluttua, così, in una “bolla” d’acqua che viene proposta come elemento primordiale, fino a perdervisi e arrendersi al fluire della corrente del liquido. Nel potente finale la protagonista ha il suo riscatto. Non è più una particella tra le tante, legata indissolubilmente al cosmo, ma una creatura a sé stante in grado di emergere come “entità-energetica” propria, in grado di controllare la luce, domandola a suo piacimento. Dalla sequenza iniziale, dove i movimenti erano accennati e “intimi” si passa, così, a spostamenti più frenetici, circolari e ampi.

Successivamente, a seguito di una potente esplosione sia visiva che sonora, vi è una regressione allo stato primordiale, quello dal quale tutto è nato. La luce si affievolisce, perdendo potenza e allo stesso tempo velocità. Allo stesso modo anche l’artista conclude l’esibizione nella stessa posizione iniziale della rappresentazione.

foto Filippo Aldovini

Lo spettacolo è sicuramente un evento di portata internazionale (come ha dimostrato la folta presenza di persone straniere tra il pubblico) che, tuttavia, potrebbe non incontrare facilmente il gusto dello spettatore italiano a causa di una tradizione sul movimento più classica e consolidata rispetto a quella più “modernista” e “dinamica” del centro Europa. Personalmente ho trovato lo spettacolo troppo sperimentale per poter essere seguito ed apprezzato, nella sua interezza, dal grande pubblico (cosa suggerita anche dalla scelta dell’ambiente che lo ha ospitato: intimo e raccolto). Se è incontestabile che la luce non può esistere senza oscurità mi sarei aspettata venisse maggiormente sviluppato il tema del buio, chiave e titolo dello spettacolo, anziché restare concentrati, principalmente, sul tema della luce.

Forse, trattandosi più di una rappresentazione di visual art, che favorisce competenze grafiche piuttosto che quelle della danza contemporanea (che predilige le capacità espressive) sono stata io a non essere riuscita a cogliere, pienamente, il messaggio proposto. Se l’obiettivo era offrire una riflessione sulla creazione primordiale del mondo fino a quello che oggi conosciamo, debbo confessare che la mia mente è stata deviata più verso un’alterazione della realtà oggettiva che verso la comprensione dell’espressività nascosta. Sarà forse un mio limite quello di non sentirmi ancora totalmente pronta ad abbandonare le convenzioni conosciute per sconfinare nella quarta dimensione? A tal proposito mi chiedo: la danza può effettivamente rinunciare alla concretezza di una coreografia, abdicando a favore della pura immaginazione?

foto Enrico Maria Bertani

Dökk 

direzione artistica, produzione esecutiva Mattia Carretti, Luca Camellini

concept Mattia Carretti

composizione coreografica, performer Elena Annovi

supervisione software Luca Camellini

software Paolo Bonacini, Matteo Mestucci, Samuel Pietri

sound design Riccardo Bazzoni

hardware engineering Matteo Mestucci

direttore di produzione Filippo Aldovini

supporto allo sviluppo del concept Giulia Caselli

consulente scientifico Margherita Carretti

collaboratori Mark van de Korput, Clizia Welker, Enrico Viola

disegno luci Marcello Marchi

Dökk è sviluppato su piattaforma openFrameworks e utilizza il sistema MOCAP Perception Neuron di NOITOM. Il gruppo ringrazia il Virgo Consortium per aver reso disponibili i dati della simulazione EAGLE ed il CAT Centro Armonico Terapeutico per aver permesso di registrare una sessione di espressività musicale con i ragazzi del gruppo Spazio MeFuse* .

Romaeuropa Festival, Pelanda Teatro 1, Roma, 6 e 7 ottobre 2018.