Dopo aver riscosso un enorme successo, sia nella stagione 2017/18 che in quella passata, sta per tornare in scena, al Teatro Ciack di Roma, la commedia: Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile, una delle più recenti e brillanti creazioni dello scrittore Gianni Clementi che, per questo spettacolo, ha deciso di cimentarsi anche nella regia.
Clementi, come è noto, è uno dei più prolifici ed amati autori teatrali contemporanei, i cui lavori, per la piacevole composizione, riscontrano non solo un notevole successo di pubblico e di critica, ma anche quella dei registi che, ritrovando nella sua produzione una corposa “compattezza” narrativa, possono dedicarsi con maggior cura alle tecniche della messa in scena. Proprio per questo ho voluto incontrarlo durante le prove allo scopo di sottoporgli alcune domande inerenti alla sua attività creativa e scattare qualche foto inusuale.
Gianni i tuoi spettacoli sono, in questo momento, fra i più rappresentati sui palcoscenici italiani riuscendo a contrastare la prevalente tendenza a presentare al pubblico nostrano scritti di autori esteri o testi nazionali decisamente più “classici”. A cosa attribuisci l’amore dei registi e, ovviamente, del pubblico nei confronti delle tue opere?
Credo che l’apprezzamento per i miei lavori risieda principalmente nella capacità di immedesimazione, da parte del pubblico, nei personaggi che popolano le mie commedie. È gente reale con le sue virtù e i suoi vizi (soprattutto), le cui dinamiche fanno scattare negli spettatori un processo di identificazione ed empatia immediata. È una tecnica, se vuoi, piuttosto elementare, empirica: cerco sempre inizialmente di tranquillizzare lo spettatore, quasi sempre inducendolo al sorriso, per poi scavare progressivamente nelle personalità, nei “segreti” dei personaggi, che spesso veicolano le dinamiche verso conclusioni nient’affatto consolatorie. Per questo, spesso, anche i registi trovano materia fertile per indagini psicologiche. Nei miei testi sono molto ricorrenti i punti di sospensione. Il famoso sottotesto. Credo sia la parte più interessante della mia drammaturgia.
Volendo offrire qualche suggerimento ad un giovane, possibile commediografo del domani, quali sono gli argomenti che, a tuo giudizio, potrebbero suscitare maggiore interesse fra i registi e le compagnie per sperare di vedere messo in scena un testo? Come, un nuovo autore può far conoscere e diffondere le proprie creazioni, magari pregevoli, ma perse nel “mare magnum” di internet?
Non mi stanco di ripetere quello che diceva il grande Zavattini a chi gli chiedeva consigli per fare il mestiere dell’autore: «Prendete l’autobus!».
Credo che un autore debba tentare di essere un testimone del proprio tempo. È anche vero che attingere dal quotidiano in Teatro è sempre molto rischioso, perché il rischio della banalizzazione è dietro l’angolo, ciò non toglie che parlare delle cose che conosciamo e condividiamo giornalmente aiuti molto ad entrare in empatia con lo spettatore. Non mi stancherò mai di ripeterlo: solo se si riesce a rendere lo spettatore complice dei personaggi sul palcoscenico allora lo spazio per la riflessione si apre con naturalezza, senza forzature. È il nostro inconscio che deve stupirsi per primo del sorriso involontario a sottolineare i nostri stessi difetti, vizi e manie, altrimenti difficilmente accettabili. Ma attenzione: il sorriso o addirittura la risata debbono aprire la strada ad argomenti “seri”. Non ho mai apprezzato la risata fine a se stessa. Credo che la dimensione tragicomica della nostra esistenza sia ciò che davvero rende interessante una scrittura teatrale. Io sono partito da queste considerazioni e ci ho costruito la mia carriera d’autore. Di porte sbattute in faccia ne ho prese parecchie, ma sono sempre stato certo che prima o poi sarei riuscito a raggiungere il mio scopo: vivere dei diritti d’autore. Anche perché avevo un’altra certezza: era l’unica cosa che sapevo fare. Ci vuole molta perseveranza, pazienza e determinazione. Ovviamente anche talento. Non riesco a pensare ad altri ingredienti per ottenere la giusta miscela. Quindi autobus a vita e scrivere, scrivere, scrivere!
Lo spettacolo che rivediamo ora in scena al Teatro Ciack di Roma Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile, cui ho assistito nella passata stagione, senza voler cadere nella piaggeria lo ritengo una delle (ri)scritture più “intriganti” del testo shakespeariano che abbia mai visto con il solo limite di non essere ancora un’opera Rock “compiuta” a causa dell’assenza di una colonna sonora autonoma e portante. Come ti è balenata l’idea di realizzare questo lavoro, tra l’altro decisamente complesso, considerato che la scrittura è in rima?
È un progetto a cui ho lavorato circa cinque anni. Un’opera importante, e lo dico con rispetto nei confronti del termine opera, ma in questo caso credo che sia una parola appropriata perché è scritta tutta in versi, in quartine, e gli ho dovuto dedicare il tempo necessario. Un lavoro ambizioso iniziato molto tempo fa e credo che quello che stia accadendo non oggi, ma da anni, intorno al tifo nel calcio, nelle curve degli stadi, non è altro che una riproposizione degli schemi che viviamo giornalmente nella nostra società. Siamo ormai permeati di violenza, e spesso ne siamo protagonisti anche noi involontariamente… basti pensare a quello che diciamo quando siamo in macchina, nel traffico. Per stupidaggini siamo pronti a scattare, a reagire. Il tema del calcio e delle curve è unicamente un pretesto per parlare della violenza che viviamo ogni giorno in qualsiasi luogo, dai social alla strada. Mi sembrava che la storia di Romeo e Giulietta, inserita in un contesto di questo tipo, acquistasse un valore aggiunto. È una storia che potrebbe svolgersi indifferentemente a Manchester, a Milano, a Torino, ovunque ci siano forti contrapposizioni nel tifo, ma negli stadi si ripropongono le dinamiche malate della società. Ovviamente mi riferisco a frange estreme. La grande maggioranza dei tifosi va allo stadio per vedere la partita. Io amo il calcio, è la mia più grande passione dopo il teatro. Andavo anche in trasferta a vedere le partite. Ma ritrovarmi in una curva tra braccia distese e cori razzisti non mi piace, è una dimensione altra. Così come non mi piace essere insultato per strada perché magari mi fermo prima delle strisce per far passare un pedone. Io voglio parlare di questo, della violenza in agguato ovunque, ormai.
Il cast, trattandosi ovviamente di una rivisitazione di Romeo e Giulietta, ad esclusione della presenza di due “adulti”, importanti e note figure del teatro romano come Stefano Ambrogi e Enzo Ardone, è composto interamente da un gruppo di giovani, seppur già navigati attori pieni di entusiasmo per l’opera da te realizzata (Alessio D’Amico, Giulia Fiume, Edoardo Frullini, Federico Maria Galante, Federico Le Pera, Daniele Locci, Gianmarco Vettori, Luca Paniconi, Simone Pulcini, Luna Romani, Kabir Tavani, Daniele Trombetti). Come ti sei trovato a lavorare, nella duplice veste di autore e di regista con tanti “ragazzi”?
Raramente metto in scena i miei testi come regista, ma in questo caso ho sentito che dovevo farlo. Non potevo delegare nessuno ad interpretare le mie parole. Non volevo ci fossero fraintendimenti ed equivoci. Questo spettacolo mi rappresenta in modo assoluto e me ne assumo tutte le responsabilità. Ed il mio grande orgoglio è aver formato una grande squadra. Lavorare con gli attori che hai citato, quasi tutti giovani, è stata un’esperienza fantastica professionalmente e soprattutto umanamente. Il fatto che siamo giunti al terzo anno di repliche con lo stesso identico entusiasmo mi gratifica enormemente. È solo l’adesione quasi fideistica degli attori, del mio impagabile aiuto, Claudia Genolini, ma anche delle maestranze tecniche al progetto che permette a Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile di continuare a vivere.
Prima di lasciarci, una personale curiosità: pensi di proseguire sulla falsa riga di Romeo e Giulietta e di trasporre per la scena qualche altro grande classico in chiave popolare romanesca/italiana?
Ho iniziato a scrivere un vero e proprio Musical. O meglio una commedia con musiche. È una storia ambientata nel sottosuolo romano. Una strana storia d’amore e di intolleranza, di solidarietà e conflitto, di tenerezza e crudeltà, ma comunque piena di… “animalità”. È un’impresa complicata, una sfida d’autore. Ma io sono un agonista di natura e le sfide mi aiutano a crescere.
Ringraziando Gianni Clementi per l’attenzione ed il tempo concessomi, non posso far altro che invitare il pubblico romano ad assistere ad una delle prossime repliche di Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile che si terranno al Teatro Ciak di Roma dal 3 al 13 ottobre 2019.