È molto brava Giulia Trippetta, e giustamente è stata molto applaudita, anche a scena aperta, tra le risa di un pubblico giovane e meno giovane, ben disposto a lasciarsi catturare dalla rocambolesca vita di una donna nel fiore degli anni che, guardandosi indietro, tenta un primo approssimativo bilancio di quello che è stato e di quello che è.
Storia biografica molto simile a tante altre storie, Questa non è casa mia è un monologo autografo che racconta il desiderio di allontanarsi dal paesello natale alla volta di qualcosa che non gli somigli. Il desiderio di Giulia, innanzitutto, ma non molto diverso da quello di tante sue coetanee e forse anche delle loro sorelle maggiori. Nel mezzo, il fatidico viaggio di formazione alla “io speriamo che me la cavo”, pochi euro in tasca, tante inquietudini e tante speranze, belle sì ma quali, che non hanno ancora trovato una forma: la casa, il luogo, la situazione. Nessun incontro ti soddisfa abbastanza, nessun umanoide ha diritto di accesso nella nuova vita che tu chiami casa.
Insomma, ordinarie avventure e stati d’animo non meno ordinari che riguardano chissà quante e quanti di noi che stiamo assistendo a questa performance. Ecco perché dopo i primi dieci minuti mi sono detta “tutto qu”, “ci risiamo”, “la solita storia” raccontata come se fosse speciale.
Infatti, speciale non è: quello che l’ha resa speciale è stato invece il modo di porgerla, l’ironia, il piglio qua e là strafottente (benevolmente strafottente) nei confronti di certi interlocutori di passaggio anch’essi simili a quelli che molti di noi hanno incontrato e, soprattutto, la scelta arguta di affidarsi a una seconda voce, un’altra da sé, suo doppio e opposto che la bastona con rude accento da Kapò portando a galla conflitti più o meno scalpitanti. Uno stratagemma, d’accordo, che però funziona ed è gestito benissimo, con precisione di accenti e puntualità dei passaggi da una voce all’altra, tra timbri, accenti, intonazioni diverse, ben accordati con il controllo del corpo e la mimica facciale che in uno spazio contenuto come il Teatro Basilica arrivano chiari.
A chi dare retta? Al maschio sposato al suo secondo figlio che continua a prometterti che però ama te oppure alla tua Gestapo interiore che fa di nome Luigia e ti suggerisce che no, quella non è casa tua? Alla maestra di luce che ti esorta ad affrontare il tuo dolore interiore o alla voce che ti illumina sulle fregature incombenti? Chi non si è mai imbattuto in sciroccati in bolletta pronti a somministrarti pillole yogiche al profumo di incenso in cambio di un terzo del tuo stipendio? Chi non è mai stato tentato di arrotondare entrate inesistenti con entrate fittizie, magari dopo un corso apposito che doveva essere un investimento sicuro e invece? Invece non era casa nostra, non è casa sua, non è casa e basta. Eppure, a entrarci ci abbiamo provato.
Abbiamo provato a cercare una strada meno battuta di quella rassicurante che ci riporta a casa e se non l’abbiamo trovata, dopotutto, non è colpa nostra, almeno non solo, c’è la crisi, si sa, c’era la crisi anche prima, c’è sempre la crisi quando non troviamo la strada, troppi bivi, troppi incroci, troppe sirene che ci distraggono dalla strada maestra. Che poi, anche quella, va a sapere se c’è. E intanto noi lì, sulla soglia, ad aspettare che una porta si apra. Perché dovrà pur esserci «una soglia dopo la quale si diventa adulti». Dovrà pur esserci, che diamine.
La questione è serissima ma questo spettacolo la prende a ridere, non già sottogamba. E il pubblico apprezza, si libera e si consola. Tutti insieme. Chi sta sulla soglia e chi, in un modo o nell’altro, l’ha già oltrepassata.
Questa non è casa mia
scritto, diretto e interpretato da Giulia Trippetta
costumi Nika Campisi
musiche Andrea Cauduro
produzione Fattore K.
Teatro Basilica, Roma, dal 7 al 10 dicembre 2023.