Il 6 e il 7 giugno presso la Fondazione Merz, all’interno della XXIV Edizione del Festival delle Colline Torinesi, è andato in scena Scavi – a cura di Deflorian-Tagliarini – un progetto collaterale allo spettacolo Quasi niente nato per raccontare la ricerca fatta su Antonioni: una sorta di diario di lavoro sugli “scavi” che i due artisti, come degli “archeologi pazienti”, hanno realizzato al Fondo Antonioni di Ferrara concentrandosi sul film Il deserto rosso (1964).
Daria Deflorian ci accoglie con un sorriso e ci invita a entrare in una “dimensione altra” che non è uno spazio teatrale qualsiasi, ma una stanza piena di sedie che non hanno un ordine preciso e sulle quali ci invita a sedere. Ci guarda in una maniera quasi materna, ci parla. Le sue parole scorrono come un flusso continuo e, immediatamente, tra performer e spettatore, si instaura un atto di fiducia.Quando cade la neve tutto si ferma. Le strade, anche quelle sporche, diventano tappeti magici, soffici, dove affondare i piedi. E non ci sono piscio di cani o mozziconi di sigarette. No. C’è solo la neve che aspetta di essere deformata in gioco. Il silenzio protegge gli echi e tutto intorno ha un altro sapore, un’altra luce. Le emozioni sono vere, autentiche. Perché la neve si attende. Porta al silenzio, a una calma apparente, sulla quale poter camminare, sulla quale potersi raccontare delle confidenze che ci avvicinano sempre di più e che ci riscaldano da un freddo che sa di sospensione.
Sospesi come bambini su questa neve, rimaniamo ad ascoltare le ricerche che Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, insieme a Francesco Alberici, hanno compiuto dopo aver scavato con attenzione chirurgica Il deserto rosso. Tolgono la maschera della protagonista, Giuliana, interpretata dalla bellissima e straordinaria Monica Vitti, evidenziandone la gentilezza e l’affabilità, il garbo e la fragilità, per poi raccontare la coppia Vitti/Antonioni nel periodo di crisi: una donna e un uomo colti nella loro “umana quotidianità” in parallelo a tante altre coppie.
In Scavi i tre attori dialogano direttamente con noi spettatori: ci parlano, ci guardano, ci girano intorno, facendoci entrare nella nostra profonda intimità (quasi reclamandola) con registri che non hanno niente di “recitativo”, bensì di umano al punto che non possiamo sottrarci a rispondere sulle nostre singole esperienze.
Perché è di esperienza di vita che i tre interpreti ci parlano, mentre si parla delle istantanee del film.All’inizio, lo fanno con ironia. Un’ironia che sa di amaro. Si ride. Poi, però, è come se ciascuno di noi si “mettesse in tasca” quella risata perché ci accorgiamo che è di un dolore comune che si sta parlando. Un dolore che può toccare ciascuno di noi: un lutto; una separazione sofferta che porta alla noia; il ricordo compulsivo di una madre che incita a pettinare i capelli, quegli stessi capelli che evocano la frase poetica pronunciata (e forse voluta) dalla Vitti quasi alla fine del film: «Mi fanno male i capelli», un frammento di dolore cosmico che arriva a toccare dei fili fibrosi e magnetici per denaturalizzarli della loro bellezza. Un dolore che fa percepire il freddo della neve e che chiede un impellente riparo verso il caldo umano. Scavi è lo studio che precede Quasi niente, spettacolo, quest’ultimo, in cui tutti i personaggi sono figli di una depressione a intermittenza; piccoli esseri che si muovono sul palcoscenico con un ordine e una compostezza taglienti, interagendo con educazione eccessiva tra loro e con lo spettatore, costretto a rimanere inchiodato e a guardarsi allo specchio in continuazione, mentre le parole, piano piano, prendono forma in un urlo taciuto che si avverte proprio per la sua assenza. Un’assenza che, in Scavi, si percepisce dalla tristezza che, a poco a poco, scende come fiocchi di neve che fanno rumore nei nostri umori e che scivolano dalle vicissitudini verosimili dei tre attori. Abbandoniamo il sorriso. Lo scavo archeologico e antropologico avanza sempre di più nei vissuti, nelle emozioni, che scopriamo essere realmente di tutti e non soltanto impressi in una pellicola cinematografica. Rimaniamo lì, inchiodati alle sedie, con gli occhi bagnati, nell’attesa del silenzio, di un altro finale da costruire e da restituire all’umanità. Come nelle ultime parole dello Zio Vanja di Čechov in cui Sonja si rivolge allo zio e gli asciuga le lacrime: «Riposeremo! Sentiremo gli angeli, vedremo il cielo cosparso di diamanti, vedremo tutto il male della terra, tutte le nostre sofferenze annegare nella misericordia che colmerà di sé il mondo, e la nostra vita diverrà quieta, tenera, dolce, come una carezza. Io credo, credo… ovvero, povero zio Vanja, tu piangi… (Tra le lacrime). Non hai conosciuto gioia nella tua vita, ma aspetta, zio Vanja, aspetta… Riposeremo… (Lo abbraccia). Riposeremo!»
SCAVI
di Francesco Alberici, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
regia Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
con Francesco Alberici, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
consulenza letteraria Morena Campani
foto Elizabeth Carecchio.
Festival delle Colline Torinesi, Torino, 6 e 7 giugno 2019.