Un combattimento sfinente, un furioso gettarsi nella lotta. La tensione cresce con il passare del tempo, e quasi vorresti che ci fosse ancora tempo, per andare fino in fondo, per comprendere ciò che non è dato svelarsi. Assistendo a I masnadieri di Schiller nella versione registica di Michele Sinisi, non si può restare indifferenti rispetto al modo con cui attori giovani e meno giovani si gettano sul palcoscenico, che diventa campo di battaglia, terreno di scontro fisico e filosofico. Il punto di partenza è un testo simbolo dello Sturm und Drang, un’opera giovanile ad alta densità drammatica, affollata di personaggi ambiziosi e disperati. Lo stesso autore la giudicava irrappresentabile: «Non è tanto la complessità della mia opera quanto il contenuto ciò che gli preclude la via del palcoscenico» scriveva Schiller nel 1781, citando, a introduzione del dramma, diverse altre opere, tra cui Riccardo III di Shakespeare, Medea di Euripide, le Sacre Scritture e il Paradiso di Milton. Sinisi non è solo di fronte a questo labirinto lastricato di simboli. Ha con sé «una masnada di attori, di professionisti disposti ad affrontare la forza della passione, la bellezza della parola e anche il piacere della recitazione» (sono parole sue). Il materiale umano non è mai indifferente, ma ancor meno lo è nel caso in cui l’intero gruppo della Creta diventa co-produttore dello spettacolo, impegnandosi in un lavoro nel tempo che non lesina ragionamenti immersivi. Come dipanare le intricate vicende umane e politiche che Schiller dispiega nel suo voluminoso dramma? Sinisi afferma di aver scelto I masnadieri proprio perché è «un’opera lontana nel tempo e nello spazio», in grado cioè di assicurare una distanza tale da garantire una certa libertà di movimenti. Compresa la libertà di entrare e uscire dall’opera stessa. Come accade spesso nelle opere del regista pugliese, si ricorre al metateatro. Uno ad uno gli attori si presentano dichiarando nome e età e fornendo anche una breve nota sul personaggio o i personaggi che sono stati chiamati a interpretare. Dialoghi e monologhi di Schiller vengono riadattati, tagliati, spostati e ricomposti in modo vorticoso, a tratti inintelligibile. Il fatto è che non si può trattare il plot de I masnadieri come se fosse la trama di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Perché, semplicemente, non fa parte di quel repertorio universalmente conosciuto da lettori e spettatori. Sinisi stesso dichiara di aver scelto questo testo per la sua lontananza. Eppure, nonostante ciò, la platea risponde con calore. Lo spettacolo fa parlare di sé e, grazie al passaparola (strumento ancora infallibile) si creano file al botteghino del TeatroBasilica.
Il successo dello spettacolo ha a che fare con l’atto teatrale in sé. D’altro canto, è raro assistere a una messa in vita così gioiosa dell’arte dell’attore. Combattimenti, suicidi, omicidi, baci e imboscate, si dispiegano sulla scena con una bellezza plastica. Utilizzando il classico dispositivo della panchina a vista, gli attori che in quel momento non sono impegnati nell’agone siedono l’uno accanto all’altro, con tutti i sensi allertati. «Essere pronti è tutto» faceva dire Shakespeare ad Amleto. In questo spettacolo, tutti sono sempre pronti, anche quando non è il loro turno di parola. Per questo gli attori sono chiamati «atleti del cuore» (l’espressione è di Artaud), sempre pronti a giocare la partita della vita, quella in cui si vince o si perde. Lo stato di necessità in cui l’intera performance si consuma esula in parte dall’opera stessa, nel senso che si può anche rinunciare a seguire la storia, a patto che si sia pronti, come spettatori, a ingaggiare anche noi una partita decisiva: essere “dentro” anche se siamo seduti in platea, sempre pronti a intervenire con il pensiero attivo. Il match non è del tutto chiaro, eppure ci ammalia. Proprio perché siamo in campo straniero. Tutti, attori e spettatori, non sappiamo chi è il nemico contro cui combattiamo. Dal momento in cui questa realtà si manifesta, non è neanche più importante avere ragguagli sulla trama. Le cose decisive le sappiamo: questa è la storia di un padre e dei suoi due figli. Il figlio non amato, Franz, farà di tutto per screditare e eliminare il fratello Karl, primogenito amato dal vecchio genitore. Una falsa lettera del padre (è stato Franz in realtà a scriverla) provocherà una reazione imprevista nell’animo di Karl, che spinge fino a un punto di non ritorno la sua anima ribelle, mettendosi a capo di una banda di facinorosi. Ed è così che il senso di giustizia si eclissa, fino a scomparire, nei gesti violenti dei Masnadieri che portano la morte anche là dove c’è purezza.
Unica figura femminile, Amalia, amata da entrambi i fratelli, che verrà uccisa dal più valoroso tra i due. Il meccanismo del doppio si replica all’infinito (Schiller si era interessato alla psicologia delle menti criminali, sotto l’influsso di Jakob Friedrich von Abel), in quest’opera sulfurea, nichilista, decisamente romantica. Infine, una gigantesca carcassa d’animale viene issata al centro del palcoscenico, mentre le ultime scene drammatiche sono lette da uno degli attori, lasciando che i protagonisti compiano i loro gesti deprivati di parola, come se obbedissero a una forza sovrumana che li muove e li svuota. Uno sfasamento che si carica sempre più di pathos, riportando alla nostra memoria emotiva il teatro di Carmelo Bene, quel suo furioso darci dentro nel nulla, quel suo concertare e apparire sempre fuori tempo, in eccedenza, al modo dei poeti simbolisti «qui sopravanzando, là rammemorando, al futuro, al passato, in un’apparenza falsa di presente» (Camille Dumoulié su Mallarmé). Ed ecco che, a quel punto, il viaggio dello spirito si compie. Al di là del suo contenuto che, lo diceva lo stesso Schiller, in fondo era irrappresentabile.
I masnadieri
da Friedrich Schiller
regia Michele Sinisi
rielaborazione testuale Michele Sinisi e Tommaso Emiliani
un progetto di Michele Sinisi e Gruppo della Creta
con Matteo Baronchelli, Stefano Braschi, Lorenzo Garufo, Alessio Esposito, Laura Pannia, Amedeo Monda, Daniele Paternoster, Jacopo Cinque, Vittorio Bruschi, Gianni D’Addario, Lucio De Francesco
scene Federico Biancalani
costumi Giulia Barcaroli
assistente alla regia Tommaso Emiliani
grafica e comunicazione Cristiano Demurtas
organizzazione Bruna Sdao
produzione Gruppo della Creta – Elsinor Centro di Produzione Teatrale – Fattore K.
TeatroBasilica, Roma, fino al 28 aprile 2024.