#IORESTOACASA. Viste le imponenti disposizioni che riguardano i distanziamenti sociali, è con questo hashtag che esplode sui social uno spasmodico bisogno di comunicare tra di noi virtualmente. Un narcisismo patologico, una scusa per dire «io ci sono» anche se resto a casa.
E qui crolla tutto. Un mondo fatto di certezze, di lavoro, si inizia a dare valore a cose e situazioni che davamo per scontate.
In un mondo che già stava perdendo la forza dei sentimenti più profondi, che si stava lentamente rialzando da una crisi che lo aveva toccato dieci anni fa, ci ritroviamo a vivere in solitudine con noi stessi, a lottare contro la parte più profonda di noi, quella che non credevamo esistesse, ma che ora, prepotentemente, ci mette a dura prova.
In tutto questo, c’è chi ha la fortuna di poter lavorare da casa, c’è chi cura i fiori della terrazza, c’è chi si reinventa, c’è chi si diletta in cucina, e c’è chi si dedica ai film e alle serie tv per ammazzare il tempo, per cercare di farlo scorrere più velocemente. Per non pensare.
Ma quanti di noi, tra gli enormi problemi che riguardano tutti, ci mancherebbe, si è davvero chiesto: che fine ha fatto il cinema?
Io che ci lavoro, che ho una piccola impresa cinematografica, io che ho dovuto bloccare fino a nuove disposizioni una serie di progetti, me lo chiedo ogni minuto. E mi domando anche: guardare un film sul computer, in tv, è la stessa cosa che vedere uno spettacolo in una sala cinematografica o a un festival?
Christopher Nolan dice: «I cinema sono parte essenziale della nostra vita sociale». Ha ragione, come dargli torto.
Attraverso i film, la nostra mente ha intrapreso viaggi indimenticabili. È impensabile rinunciare a tutto questo, perché nessun impianto casalingo potrà mai sostituire il fascino della sala, da quando si spegne la luce e il proiettore lancia sullo schermo immagini e colori.
Quando si parla di film, la gente pensa subito agli attori, ai red carpet, agli effetti speciali. Ma il cinema comprende tutti, anche chi gestisce le attrezzature, gli operai, i tecnici, chi strappa i biglietti, chi fa pubblicità e anche chi pulisce i bagni. Il cinema racconta storie di lavoratori, come in qualsiasi altro settore.
E poi ci sono i festival, il primo che verrà spostato (o cancellato, ancora non si è capito) è quello di Cannes, per non parlare dei festival di cortometraggi organizzati in tutto il mondo.
Anche in questo caso, va spiegata l’utilità di un festival, che non è solo quella di sfilare su un tappeto rosso con abiti costosissimi, lustrini, interviste, desiderio incontrollato di apparire. Il festival è l’occasione per un produttore, che ha investito anche milioni di euro (parlo dell’Italia), di vendere il proprio film a qualche distributore, perché è soltanto il distributore che porta il film al cinema per far incassare la produzione. E se l’incasso è maggiore, saranno proprio quei soldi a essere reinvestiti per un altro progetto.
Quindi, un’ulteriore domanda, credo la più importante: che cosa ne sarà del cinema? Dicono che le sale saranno le ultime a riaprire. Impossibile pensare che l’industria cinematografica potrà campare con lo streaming, non è la stessa cosa. A parte le emozioni di vedere un film su uno schermo di 16×22, le dinamiche sono diverse. Senza contare che oggi lo streaming è anche gratuito – basti pensare alla miriade di siti pirata che stavano già facendo innumerevoli danni.
Di tutto questo ne ho parlato con Luciano Tovoli, uno dei più grandi direttori della fotografia italiani, col quale ho avuto l’onore di lavorare, e che ha un’esperienza molto vasta per poter esprimere un suo parere.
Luciano, come vedi la situazione attuale?
Naturalmente, al di là delle gravissime problematiche di salute, vedo le conseguenze economiche di questa catastrofe a dir poco enormi, se le prossime mosse del governo non riusciranno a mobilitare un generale senso di solidarietà in Europa. L’industria cinematografica, per molteplici ragioni, è già la più toccata, e rischia di esserlo più a lungo di altre attività, distendendosi dalla pre-produzione sino alla distribuzione. Serviranno nuovi modi di produrre e nuovi modi di distribuire.
Chi saranno le persone più colpite, quelle che sentiranno di più la crisi post epidemia?
Penso immediatamente alle persone che lavorano dalla pre-produzione, alla produzione e infine alla post-produzione. Sono le persone tendenzialmente “meno difese” tra tutte coloro che traggono il sostentamento dal loro lavoro. In effetti, già da adesso le loro pensioni sono le più basse rispetto all’impegno che hanno dimostrato, un lavoro fatto di passione. È come se dovessero pagare un pegno per la parte artistica della loro attività, quando la società italiana dovrebbe essere vicina al concetto di bellezza come ispiratore di vita che è sempre stato l’humus della nostra cultura, anche cinematografica, riconosciuta in tutto il mondo. Bisognerebbe che i nostri governanti agissero in modo da favorire un nuovo Rinascimento, anche nel cinema, un sistema che funziona perché ora non è così. Rinascimento che per talenti, esperienze e volontà di fare è vicino a tutti noi e che contribuirebbe a salvarci tutti, aggiungendosi alle mille possibilità che il nostro paese può mostrare al mondo.
Pensi che si faranno meno film?
Probabilmente sì, almeno all’inizio. In più ci saranno da terminare i film sospesi. Per tornare a produrre a pieno regime – sempre relativamente al basso numero di film prodotti normalmente in Italia – ci vorranno almeno un paio di anni. Probabilmente una grande parte del lavoro sarà dirottata ancora di più sulle serie televisive che ormai si fondono anche stilisticamente con i film previsti per le sale. La crisi, forse, contribuirà a un sempre maggiore allontanamento da cinema, e non riesco a vederlo come un bene. Personalmente un film che non viene proiettato sullo schermo di una sala cinematografica non è un film. E non esprimo un giudizio, affermo solo che è un’idea molto lontana da ciò che è stata sino ad oggi la storia del cinema, naturalmente accettando l’inconfutabile principio lucreziano che nec manet ulla sui similis res: omnia migrant, omnia commutat natura et vertere cogit.
Che consiglio dai alle produzioni? Soprattutto a quelle più piccole
Difficile dare consigli, anche se sono stato per un certo periodo della mia carriera un producer advisor, molto vicino a un mio amico produttore francese e avendo prodotto in Italia quattro film di impegno finanziario non indifferente. Per assurdo, credo che in una situazione così difficile le piccole produzioni, grazie anche alle nuove tecnologie, si troveranno in vantaggio. Si tratterà di realizzare, come sostiene e attua Godard, “il cinema del possibile”, che non esclude naturalmente “un cinema delle idee”, anzi che lo esalti.
Come lo vedi il futuro?
Sono tendenzialmente un ottimista, ma il mio ottimismo è continuamente messo a dura prova. Non tanto da questa pandemia, quanto dalla rappresentazione mediatica che di essa si continua a mostrare, nascondendo analisi che ci porterebbero a soluzioni più semplici e possibili. Sul fatto che i potenti del pianeta siano disposti a mutare strategie, malati come sono di potere e di denaro, mutandole in percorsi solidali, ecco su questo sono perfettamente pessimista.