Quanto sia sbalorditiva la densità di esperienze di scritture teatrali, di poetiche, di sperimentazioni drammaturgiche in tutta la nostra penisola, lo dimostra questa importante edizione francese che propone, in un’unica foto di gruppo, una generazione di artisti teatrali dell’ultimo trentennio. 1990-2020. Le théâtre italien en résistance, edito da Éditions Théâtrales, diretto e curato da Olivier Favier e Federica Martucci, fa parte della collana “Les cahiers de la Maison Antoine Vitez”.
Si tratta di una rassegna del teatro italiano degli ultimi trent’anni, con traduzioni ed estratti di 56 opere di 45 autrici ed autori, saggi critici, testimonianze, biografie.
Olivier Favier e Federica Martucci sono i coordinatori del comitato italiano della Maison Antoine Vitez, un’importante associazione che riunisce linguisti e professionisti del teatro (traduttori, accademici, ricercatori, editori, registi, consulenti letterari, attori, teatri e compagnie) promuovendo la traduzione teatrale e fungendo da osservatorio permanente per il repertorio globale e la drammaturgia contemporanea.
Dopo avere dedicato vari numeri de “Les cahiers” al teatro di vari paesi o a generi e forme del teatro mondiale, il numero 13 della collana è interamente dedicato agli autori italiani: un lavoro monumentale, di circa 500 pagine che non ha pretesa di essere esaustivo, ma offre una panoramica dettagliata capace di far cogliere la qualità artistica delle esperienze maturate in Italia negli ultimi anni.
Pregio del volume, che percorre il panorama italiano attraverso direttrici tematiche che vanno dalla famiglia, all’emigrazione, dal mito alla morte, quello di non limitarsi al mainstream delle voci più conosciute, ma di realizzare una capillare ricerca allargata ad autori di grande autenticità e dalla forte coerenza nella ricerca linguistica.
Enia, Massini, Calamaro, Baliani, Paolini, la compagnia Mana Chuma sono solo alcuni dei nomi presenti.
«Succede anche nel cinema» – spiega Olivier Favier – «che gli autori vengono prima scoperti in Francia e poi in italia, spesso grandi autori, in Italia non vengono considerati tali perché italiani, un fenomeno di iperprovincialismo. Dobbiamo essere noi a scoprire alcuni talenti che poi cominciano ad avere successo in Italia. Il mio saggio è intitolato, Un paese che non si ama. La prima volta che sono venuto in Italia vedevo la bellezza dappertutto, ma gli italiani non amavano il loro paese, ne parlavano sempre male».
«Lina Prosa è arrivata alla Comédie-Française» – afferma Federica Martucci – «il primo teatro di Francia, prima tra gli stranieri, prima a fare una regia, quando ancora in Italia stentava ad imporsi come autrice».
Il teatro italiano che resiste al potere, che porta avanti la sua battaglia ideologica e sociale: nel suo saggio Federica Martucci mette in rilievo alcune peculiarità delle esperienze italiane: «Durante il periodo del berlusconismo gli artisti hanno dovuto re-immaginare le strutture per la loro creazione e ideare un nuovo sistema. Hanno dovuto vivere il teatro come una resistenza alla cultura che stava andando verso il basso. Penso all’esperienza del Rialto Sant’Ambrogio, del Valle occupato. Le occupazioni, i centri sociali, che sono stati centri di accoglienza per grandi artisti che lì hanno trovato spazio di sperimentazione. Lucia Calamaro ha trovato lì la sua cifra da artista, lì ha incontrato il suo pubblico. Hanno cercato di creare un nuovo modello sociale, utopistico. Oggi sono multati, sono centri di resistenza verso il potere».
Salvatore Arena, uno degli autori tradotti, parla di Resistenza come «una piccola parola che ha un significato forte, fermare respingendo, non cedere. Se ancora siamo qui a raccontare storie è perché non abbiamo ceduto».
Tra le autrici tradotte, Laura Sicignano, attualmente direttrice del Teatro Stabile di Catania. «È emblematico» – dichiara la direttrice – «che non ci sia stata l’esigenza di pubblicare in Italia una preziosa enciclopedia del teatro italiano degli ultimi anni come l’opera Le théâtre italien en résistance. La nuova drammaturgia italiana è prolifica, ma nel nostro Paese non esiste una strategia complessiva che la sappia valorizzare. Quando, perciò, un teatro produce un testo contemporaneo, il pubblico non risponde con altissimi numeri, a meno che non vi siano degli elementi di riconoscibilità forte, per esempio la popolarità degli interpreti. Il problema si inscrive in quello più ampio della debolezza nel nostro Paese nel costruire una sistematica politica culturale volta a promuovere il teatro contemporaneo. Ma va letto anche alla luce del peculiare percorso della drammaturgia italiana. Dagli anni Novanta in poi si affacciano al panorama italiano con insolita efficacia, raggiungendo talvolta la popolarità, i narratori, che pongono la parola al centro della scena, a volte nuda. Intanto però i meccanismi della popolarità stanno cambiando radicalmente con gli effimeri e globali divi delle nuove tecnologie. Salvo rari casi, il teatro diventa una nicchia. Oppure resta un luogo istituzionale dove si va, si deve andare per visibilità e status. I testi classici diventano l’unico teatro possibile per molta parte del pubblico, così come induce a pensare anche la scuola, dove, il teatro non esiste come materia di insegnamento. A scuola, salvo eccezioni di illuminati insegnanti, non si impara che il teatro è altra cosa dal testo teatrale e non si insegna che il testo teatrale può essere una formidabile palestra intellettuale ed emotiva per raccontare il mondo presente. Quindi il drammaturgo contemporaneo italiano si muove oppresso dal fantasma dei padri e nella marginalità del teatro di prosa».
Le chiediamo quindi come poter ri-orientare le scelte delle direzioni dei maggiori teatri verso la nuova drammaturgia.
«Non credo ci sia una preconcetta diffidenza da parte delle direzioni dei teatri verso la drammaturgia contemporanea, ma in un contesto culturale fragile e disattento come il nostro, ogni volta che si programma nuova drammaturgia si va incontro ad un elevato rischio in termini di numeri. Non è sufficiente insistere, piuttosto è indispensabile creare delle azioni sistematiche in collaborazione con altre istituzioni, come avviene nei paesi anglosassoni, per esempio, dove la nuova drammaturgia è una consuetudine. Iniziare a parlarne a scuola. Formare i formatori. Sollecitare pratiche di scrittura teatrale nelle scuole, con professionisti docenti. Creare occasioni di incontro e dialogo tra giovani e giovani autori. Sostenere l’editoria teatrale. Un risultato in termini di diffusione culturale si ottiene solo con un’azione complessiva che parta dai teatri e coinvolga il mondo della scuola e dell’università, con il supporto del Mibact – che diventi un disegnatore di strategie costruite in collaborazione con gli artisti. Solo con una strategia ad ampio raggio si può alimentare l’attenzione per i nuovi testi, affinché al contempo divenga chiaro a chiunque che Shakespeare e Pirandello erano drammaturghi contemporanei, ai loro tempi, non rispettavano pedissequamente alcuna tradizione, anzi la usavano con libertà per parlare del presente e scrivevano per la scena, non per la pagina».
Fra gli autori inseriti nell’antologia, Tino Caspanello, che peraltro è direttore e ideatore di WRITE – il progetto di residenza internazionale di drammaturgia. «L’insieme dei testi» – afferma – «offre un bel panorama della scrittura teatrale italiana, della sua varietà e ricchezza, e trovo che, proprio come WRITE abbia come propositi fondamentali sicuramente la promozione del testo e dell’autore ma, soprattutto, lo stimolo per un rinnovato contatto con le riflessioni, le tematiche e le poetiche che si addensano nella nostra drammaturgia».
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