La Spezia, 18 novembre. Un pomeriggio pallido e soleggiato, in cui l’aria porta con sé qualcosa di malinconico ed euforico al tempo stesso. È il ricordo improvviso di un amico che non c’è più a campeggiare tra le nostre sensazioni, mentre valichiamo l’ingresso del CAMeC – Centro d’Arte Moderna e Contemporanea della città. Vincenzo Del Gaudio, mediologo dello spettacolo e professore associato, scomparso poco tempo fa a soli 41 anni. Uno studioso generoso e capace di creare connessioni virtuali tra le persone. Un uomo nel “meglio” della sua carriera e della vita, che di sicuro non avrebbe mancato di essere presente, con il cuore, al vernissage della mostra a cura di Anna Maria Monteverdi, docente universitaria legata a doppio filo con uno dei più rivoluzionari artisti elettronici italiani degli ultimi trent’anni: Giacomo Verde.
Grazie al riallestimento della mostra dedicata a Verde Liberare Arte da Artisti. Giacomo Verde artivista scopriamo una sorta di sottile parallelismo, del tutto personale (dato che chi scrive partiva da una conoscenza scarna dell’artista), tra la vita di un intellettuale eterodosso come Vincenzo Del Gaudio e lo straordinario e rivoluzionario “artivista” venuto a mancare prematuramente nel 2020. Entrambi originari della provincia di Napoli, entrambi dotati di ampiezza di sguardo e, come si comprende bene dalle opere di Verde che compongono l’allestimento, di una vitale ironia.
Non abbiamo avuto la fortuna di conoscere di persona Giacomo Verde, che è stato uomo di teatro, con alcune esperienze antecedenti agli anni Ottanta: «un attore alla maniera di Peter Lorre», parafrasando il ricordo del regista Dario Marconcini con cui lavorò al Teatro di Pontedera che ha assimilato il volto di Verde a quello dell’attore tra i più celebri del cinema espressionista tedesco; ma, soprattutto a partire dai Novanta, Verde è stato scenografo, artista visivo dall’alto profilo tecnologico e dal segno importante. Eppure, il viaggio intrapreso all’interno del suo incredibile, persino profetico, immaginario ci ha fatto avvertire in questa occasione la sensazione di trovarci di fronte a un amico, dotato di grande trasparenza e affidabilità, uno di quelli che nei momenti peggiori aiutano a trovare la forza necessaria, a riderci su, a vedere il “retro” delle cose che in superficie ci inquietano. Sarebbe impossibile concentrare in poche parole la versatilità dell’opera di Giacomo Verde, al punto che diversi allestimenti, a partire da giugno, vi sono stati dedicati grazie alla Prof.ssa Anna Maria Monteverdi (docente Università La Statale di Milano) presso il CAMeC, ciascuno con un taglio diverso.
Tra gli archivi personali e artistici di Verde pullulano televisori di tutti i tipi: rotti, modificati, svuotati e scoperti nella loro inutilizzabile complessità come “macchine celebri” dadaiste, ma anche una selezione delle numerose Opere d’Arto che Verde aveva disegnato su carta in tecnica mista durante il suo periodo di degenza per una frattura al piede, poi fotocopiate ed infine digitalizzate. La curatrice Anna Maria Monteverdi ha lasciato scegliere e disporre queste ultime ai pazienti del Centro Diurno “Gabbianella” di La Spezia, che nel lavoro di selezione e disposizione hanno seguito un proprio sentire personale.
“Artivista” fin dentro il midollo, Giacomo Verde esprimeva, per molti versi, intenzioni, finalità e valori che hanno anticipato correnti esplose in seguito. C’era nella sua sensibilità una sorta di ossessione per il recupero di tecnologie difettose o obsolete, di cui andava a sventrare il corpo per utilizzi inediti, cortocircuitali, come lo è una candela, simbolo di energia termica, dentro la cornice di un televisore rotto e sporco di cera. Proprio un’analogica candela che illumina l’elettronica TV ci ha fatto immaginare che la passione di Giacomo Verde fosse accostabile all’accesa curiosità dei bambini. Ai bambini infatti insegnava, durante i laboratori, come smontare i televisori per guardarci dentro, e di conseguenza come ricercare incessantemente forme inedite di visione, di percezione. La stessa ricerca che portò lui a inventare una nuova, originale modalità di ibridare i linguaggi con il Tele-racconto, un particolare teatro di oggetti ripresi sotto l’occhio voyeuristico di una telecamera. Abbiamo assistito a un tele-racconto durante il vernissage grazie all’attore e regista Carlo Presotto, che ci ha mostrato dieci minuti di E fu così che la guerra finì, realizzato con Giacomo Verde nel 1996, in cui per esempio un’inquadratura sfuocata si trasforma in un cielo di stelle.
Ma è Carlo Infante, esperto di Performing Media, ad assicurarci una fruizione davvero immersiva del percorso di allestimento, con il suo Walkabout, un format che porta avanti da molti anni e in diversi contesti, anche grazie al progetto Urban Experience. Carlo Infante diviene per noi una sorta di Virgilio dantesco, e del vate latino conserva un aspetto etereo, di tele-presenza. Tornano in mente, proprio all’inizio del viaggio, le parole di un saggio di Infante pubblicato in un volume co-curato proprio dal sopracitato Vincenzo Del Gaudio (Teatro e immaginari digitali a cura di A. Amendola e V. Del Gaudio, Gechi Edizioni, p. 60): «Il teatro non accade solo fuori, in una scena, ma dentro: dentro la mente dello spettatore sollecitato da informazioni e percezioni. Ecco è qui il dato essenziale: l’idea di un teatro che sfugge alla sua auto-referenzialità artistica per diventare un medium straordinario, capace di emozionare sincronicamente, nel qui ed ora». Muniti di auricolari e ricetrasmittente, con Carlo Infante camminiamo tra gli spazi della memoria, con la possibilità di interagire verbalmente all’interno di un dialogo in cui tutti i presenti ascoltano, oppure sentire le testimonianze di chi pur non essendo fisicamente presente viene connesso (anche a molti chilometri di distanza, al telefono). Un’esperienza interessante, stimolante, che fa edutainment: sapere e divertimento insieme. Un viaggio emozionale e sensoriale nella memoria che non ci obbliga a perseguire un itinerario, ma lascia il nostro sguardo libero di posarsi e di costruire dentro di noi una personale visione. Un incontro condotto dalla giornalista Simona M. Frigerio ha poi chiuso la giornata inaugurale della sezione teatrale della mostra. Vi hanno preso parte e sono intervenuti: la direttrice artistica di Armunia, Angela Fumarola, Carlo Infante, l’attore e regista Dario Marconcini, la danzatrice Alessandra Moretti, Carlo Presotto, e la drammaturga e regista Vania Pucci.
Liberare Arte da Artisti. Giacomo Verde artivista, CAMeC, La Spezia, fino al 15 gennaio 2023.