Se il musical Jesus Christ Superstar è noto per essere l’opera rock più conosciuta al mondo, non è noto a tutti che l’adattamento teatrale (e poi quello cinematografico) seguì l’uscita del doppio long playing (un concept-album) prodotto tra il 1969 ed il 1970. Cosa ancor meno nota è che il doppio LP, in Italia, rimase indisponibile per molti mesi, in quanto censurato. Ci volle una lunga campagna di stampa per “legalizzarlo” e poterlo acquistare liberamente.
Il tutto accadeva negli anni della contestazione giovanile, della guerra fredda e del conflitto in Vietnam ma anche dello sbarco sulla luna e dei primi interventi di trapianto di cuore. Un periodo che produsse quella rivoluzione culturale dei costumi, chiaramente riscontrabile in teatro, grazie ad un altro musical di grande successo (in scena dal 1967): Hair.
La prima rappresentazione pubblica, in forma di “concerto”, di Jesus Christ Superstar è del 1971 mentre la pellicola che vide come protagonista Ted Neeley (a lungo un “Gesù teatrale” fino al 2023) è del 1973.
Se il successo dell’opera fu immediato altrettante immediate furono le contestazioni di coloro che ritenevano il lavoro blasfemo. La narrazione della passione di Gesù, fino alla sua crocefissione, vista dalla prospettiva di Giuda, venne ritenuta (non tanto dalla chiesa di Roma ma da parte delle molte chiese protestanti americane) poco aderente alla fede cristiana.
La versione attualmente proposta al Teatro Sistina di Roma (dopo una decina di repliche tenutesi al Sistina Chapiteau di Milano) è una edizione “non replica” e vede l’adattamento di Massimo Romeo Piparo che, sin dal 1993, ha voluto dare il suo imprinting all’opera rock (pur nel pieno rispetto dell’originale e sotto la supervisione degli autori). Piparo deve amare particolarmente questo lavoro vista la gioia con cui ha accolto il successo della opening night romana.
Di solito le critiche teatrali iniziano con le indicazioni di quanto hanno fatto le vedettes, in questa occasione, invece, voglio partire dal “basso”, dal vigoroso e nutrito ensemble composto da: Gabriele Aulisio, Simone Giovannini, Daniel Guidi, Francesca Iannì, Cristina La Gioia, Sebastiano Lo Casto, Rossella Lubrino, Simone Nocerino, Viola Oroccini, Gianluca Pilla, Simone Ragozzino, Pierpaolo Scida, Sara Telch e Rossana Vassallo.
Il gruppo, in scena, grazie a delle coreografie particolarmente ben riuscite (merito di Roberto Croce), ha potuto dar sfogo non solo ad una collettiva maestria tersicorea ma ha permesso anche di lasciar “brillare” i singoli componenti del cast, in particolare si apprezzano le qualità di Daniel Guidi (che ha curato alcune scene in cui vi erano delle acrobazie sui trampoli e con del fuoco vero) e di Sara Telch la valente capo balletto.
Passando ai protagonisti, Gesù è stato interpretato da Lorenzo Licitra (che prende il posto di Ted Neeley, storico attore nelle ultime edizioni).
Non conoscevo Licitra, non avevo mai preso contatto con le potenzialità del giovane tenore. Mi sono, perciò, approcciato senza preconcetti all’artista e questo mi ha permesso di apprezzare le sue reali qualità. Trovo che sia una figura carismatica con una voce ben impostata.
I brani What’s the buzz e Gethsemane sono quelli che ho più gradito tra i proposti dal trentatreenne interprete di Ragusa.
Maria Maddalena è la cantante indonesiana Anggun che – come lei stessa ha dichiarato durante la conferenza stampa prima del debutto romano – è alla sua seconda esperienza nella partecipazione ad un musical. Una voce calda, suadente e ricca di armonici le hanno permesso di dare prova della sua grande professionalità. Commovente nel brano Everything’s Alright uno dei componimenti più iconici di questo spettacolo.
Il complesso ruolo di Giuda, vero motore della narrazione di JSC, è toccato a Feisal Bonciani. Già rodato nella parte per aver partecipato alle precedenti edizioni, non poteva che essere “centrato” nel difficile ruolo del deus ex machina senza il quale, il volere del Supremo, non si sarebbe potuto compiere. Ottimo nel brano Blood Money.
Citazione a parte merita Frankie hi-nrg mc (al secolo Francesco Di Gesù) che interpreta Erode. King Herod’s Song è una “macchia” di colore, un momento folle, piena di brio, in uno spettacolo emozionante ma abbastanza avaro di momenti divertenti. Nelle recenti edizioni curate da Piparo, appunto quelle che vedono Frankie hi-nrg mc sulla scena, il brano prende un’inconsueta rivisitazione Hip hop con un Erode che sembra essere uno dei musicisti “coatti” posto al comando di una delle crew dello stile.
Ben inseriti nelle rispettive parti loro assegnate Giorgio Adamo (Simone), Claudio Compagno (Pilato) e Francesco Mastroianni (Caifa), Gianluca Pilla (Pietro). Il ruolo di Hannas vede l’alternanza di due artisti. Alla serata cui ho assistito in scena c’era Mattia Braghero, in altre repliche si potrebbe esibire Paride Acacia. Interessante il contrasto vocale alti/bassi del duo Braghero (Hannas) – Mastroianni (Caifa) ai quali viene affidata la seconda nota di “colore”, seppure dai risvolti drammatici della storia.
Un plauso deve essere rivolto ai componenti dell’orchestra (dal vivo), capitanata da Emanuele Friello (cui si devono anche i nuovi arrangiamenti della partitura originale del musical), e che vede nella band Federico Zylka (in alternanza con Enrico Scopa), Simone Gianlorenzi, Alex Massari, Pino Saracini, Stefano Falcone, Andrea Di Pilla, Gabriele Gregori.
Pur non amando particolarmente le scenografie tradizionali mixate con le proiezioni digitali, le scene curate da Teresa Caruso si adattano alla narrazione. Particolarmente emozionanti e riuscite quelle del fuoco, delle frustate (il cui effetto scenico e sonoro è intervallato da una serie di fotografie che rammentano alcuni dei momenti più drammatici della storia recente, mondiale e italiana, come la bomba atomica, l’11 settembre, la guerra in Ucraina e in Palestina, la strage di Capaci, il delitto Moro) e la crocifissione.
Di ottima ideazione i costumi di Cecilia Betona, la quale si è ispirata agli hippies degli anni Settanta. Per Pilato, Caifa e Hannas, invece, la costumista ha utilizzato degli abiti che, storicamente, sarebbero coerenti col periodo. Il meglio della creatività, comunque è stata affidata al costume di Erode. Un inguardabile, animalier di stile Hip hop. Luci dosate e non invasive quelle predisposte da Daniele Ceprani, mentre per l’acustica (il suono è stato curato da Stefano Gorini), nella serata inaugurale romana, la musica tendeva leggermente a sovrastare la parte canora (ma la sensazione potrebbe essere stata generata dal punto di ascolto in sala).
Per terminare, mi congratulo per le coreografie (di cui ho già accennato in precedenza), curate da Roberto Croce, che sono uno dei punti di forza dello spettacolo.
Una versione “limited edition”, così come definita dalla produzione, questo Jesus Christ Superstar che si può promuovere pienamente. La messinscena, pur non rispettando in modo fedele la partitura originale, ammoderna, rinnova e rende più contemporaneo questo musical che, festeggiando i suoi cinquant’anni di programmazione, è sempre attuale in tutta la sua spettacolare costruzione drammaturgica.
Jesus Christ Superstar
di Andrew Llody Webber e Tim Rice
regia di Massimo Romeo Piparo
con Lorenzo Licitra, Frankie hi-nrg mc, Feisal Bonciani
e la partecipazione straordinaria di Anggun
e con Giorgio Adamo, Paride Acacia/Mattia Braghero, Claudio Compagno, Francesco Mastroianni, Gianluca Pilla
ensemble Gabriele Aulisio, Simone Giovannini, Daniel Guidi, Francesca Iannì, Cristina La Gioia, Sebastiano Lo Casto, Rossella Lubrino, Simone Nocerino, Viola Oroccini, Gianluca Pilla, Simone Ragozzino, Pierpaolo Scida, Sara Telch, Rossana Vassallo
direzione musicale Emanuele Friello
scene Teresa Caruso
costumi Cecilia Betona
coreografie Roberto Croce
luci Daniele Ceprani
suono Stefano Gorini
orchestra dal vivo Emanuele Friello, Federico Zylka/Enrico Scopa, Simone Gianlorenzi, Alex Massari, Pino Saracini, Stefano Falcone, Andrea Di Pilla, Gabriele Gregori
prodotto da PeepArrow Entertainment su licenza esclusiva The Really Useful Group – London.
Teatro Sistina, Roma, fino al 7 aprile 2024.