La Cena apre la prima stagione del nuovo spazio Teatrososphia con la direzione artistica di Guido Lomoro.
Una lussuosa tavola curata nei minimi dettagli, accoglie ventisette spettatori insieme ai tre attori (Andrea Tidona, Chiara Condrò, Stefano Skalkotos) e un quarto, un maggiordomo (Cristiano Marzio Penna) che versa, nell’attesa dell’inizio, del vino.
Lo spettatore è attore con l’attore. Chi è dunque il vero spettatore? C’è una vera scissione tra una cena fittizia e una, introspettiva, comune, reale? Siamo forse tutti noi partecipanti tanti specchi di varie sfumature, portate, ricette di una società che, per l’appunto, si riunisce attorno a una tavola ben apparecchiata? Nel mentre mi pongo questa domanda, noto che il silenzio complice tra noi partecipanti, inizialmente nervosi e tesi per l’annullamento della distanza tra pubblico e spettatore, si tramuta in agio sciogliendo tensioni: alcuni assaggiano il vino ricevuto; altri si accomodano meglio sulle sedie. Rilassano le loro schiene. Sono pronti e sorridono, ignari, di un’avventura (interattiva?) ancora ignota.
Andrea Tidona è a capotavola e riveste i panni del capofamiglia. È un aristocratico stratega di sentimenti, misteriosamente perverso(?), abile oratore. Rompe il silenzio dialogando con il suo maggiordomo, Frangio. Il loro è un dialogo frenetico, caratterizzato da parole ben scandite, lanciate come dardi, rinfacci cruenti, con permesso di poter fare del male. Le parole sono accolte, però, dall’altra parte senza alcun dolore, pur rispondendo con garbo e fastidio insieme. Per deviare anche un’apparente seccatura, Fangio ricorda il motivo della cena: la riconciliazione con la figlia. Questo, infatti sarà il leitmotiv dell’intera messinscena. Dopo poco, appare la figlia. Dopo sei anni, insieme al suo nuovo compagno. Sono gli invitati alla cena e prendono posto l’uno di fronte l’altro e l’uno a fianco a uno spettatore (attore?). Dalla presentazione dei due, fin dalla prima portata, il padre si diverte a mettere a disagio il futuro genero, persona, quest’ultima, apparentemente tranquilla e innocua. Tra una portata e un’altra aumentano i nodi che hanno causato la tensione tra padre e figlia e che l’invitato, Francesco, non vuole conoscere, pur costretto da abili giochi perversi del futuro suocero. Sulla tavola vengono vomitati rabbia, rancore, chi con urla (da parte degli inviati) chi con garbo e sarcastica ironia (il Padre e Frangio). È la tavola del sacrificio nel consumare l’animo dei personaggi (ma non solo). Lo spettatore non può rimanere indifferente alla pièce e, se inizialmente teme un’interazione con attore/personaggio, vorrebbe, a un certo punto, intervenire per supporto, sostegno, o semplicemente per dire la propria in merito a una battuta appena pronunciata senza, però sentirsi totalmente coinvolto perché consapevole di essere “a teatro”. Da cosa lo deduciamo? Dal fatto che, pur essendo tutti alla stessa tavola, respirando gli stessi umori, preoccupazioni in ascesa, sapori e odori in un luogo intimo come quello di una tavola imbandita, appunto, tutti e quattro gli attori non si preoccupano del fruitore. Non hanno bisogno delle battute di questo, forse. Perché, allora, sedersi e con-dividere una cena?
Non è un gioco, ma un escamotage, a mio parere, di grande coraggio dove, il “nuovo attore” (ossia lo spettatore) esce dalla scena dopo l’applauso e si proietta nella realtà, cercando – dentro un proprio percorso o in quelli vissuti da altre persone – una somiglianza con retaggi culturali appartenenti alla società contemporanea borghese, quella che si nasconde dietro alle buone maniere, quella del parlare forbito, del bell’abito che cela intenzioni perverse e che sa metterle in luce altre ancora più pericolose di chi si trova di fronte. Chi la vittima? Chi il carnefice? Non si sa. Se ne esce con un grande dubbio senza alcuna verità né con la presunzione di accusare o proteggere qualcuno.
La Cena
di Giuseppe Manfridi
progetto teatrale e regia Walter Manfrè
con Andrea Tidona, Chiara Condrò, Stefano Skalkotos, Cristiano Marzio Penna
Teatrosophia, Roma, fino al 7 ottobre 2018.