Lacci è un’attenta e intima riflessione sui legami e sulle dinamiche familiari spesso silenti e represse.
Il film diretto da Daniele Luchetti, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo (pubblicato da Giulio Einaudi Editore) di Domenico Starnone, è un intreccio di emozioni, un’onda di sensazioni che coinvolge il pubblico sin dal primo minuto. La sceneggiatura, scritta da Domenico Starnone, Daniele Luchetti e Francesco Piccolo non è mai banale, mai scontata.
Sarebbe stato molto facile cadere nel già detto, nel già raccontato, narrando la storia e le vicende di una famiglia, ne sono state portate sul grande schermo un’infinità nella storia del cinema nostrano, ma la penna degli sceneggiatori ha disegnato una storia reale, una fotografia nitida, sincera, pura, senza molti giri di parole, chiara, diretta e spietata. Gli autori hanno dipinto la verità, recondita nell’anima. Quella verità che spesso non si vuole sentire, non si vuole confessare, nemmeno a se stessi. La narrazione parte da un ballo di gruppo, felice, spensierato, sebbene gli sguardi degli attori sembrano dirci il contrario.
Siamo nella Napoli dei primi anni Ottanta, in una famiglia normale, la classica famiglia media italiana, padre, madre e due figli, Anna e Sandro. A stravolgere la quiete e a far crollare la serenità giunge la confessione del capofamiglia Aldo, giornalista radiofonico Rai, interpretato da Luigi Lo Cascio, alla moglie Vanda, insegnante precaria, interpretata da Alba Rohrwacher. Due attori d’eccezione.
La notizia del tradimento arriva come un fulmine a ciel sereno e Vanda caccia immediatamente di casa Aldo, anche se da subito spera in un suo ritorno. Vanda è profondamente devota alla famiglia. Aldo, un uomo che non sa quello che vuole, è incapace di scegliere, di prendere decisioni soprattutto con se stesso. Persa nel dolore e nella disperazione – «è difficile soffrire in modo simpatico», afferma Aldo parlando con i genitori della sua amante e collega Lidia (Linda Caridi) – Vanda tenta il suicidio, gettandosi dalla finestra del loro appartamento. Il film fotografa l’incomunicabilità di molte coppie e, al contempo, l’incapacità delle stesse di lasciarsi in maniera definitiva come se quel legame non si spezzasse mai totalmente. Infatti, dopo trent’anni, e nonostante tutto, i due sono ancora insieme. Il tempo è passato. Anche gli attori cambiano. Aldo (Silvio Orlando) e Vanda (Laura Morante) proseguono le loro vite silenziose. «Per stare insieme bisogna parlare poco, è indispensabile», sostiene il protagonista ormai un po’ invecchiato. L’esistenza della coppia è scandita da antichi rancori e dalla monotonia della routine.
Gli anni sono trascorsi anche per i loro figli (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno). I due sono stanchi della vita. Sono rassegnati, malgrado la volontà di comprendere le ragioni del tormentato rapporto dei loro genitori.
Emblematica la scena finale: la distruzione della casa di famiglia da parte di Anna e Sandro, desiderosi di cancellare il loro passato e i loro ricordi.
Il film “passa” attraverso gli occhi degli attori. Attraverso gli occhi di Vanda, spesso lucidi e carichi di lacrime, ma anche attraverso gli sguardi dei figli da piccoli, i quali osservano atterriti la mamma che aggredisce il padre scoperto in compagnia dell’amante.
Una nota di merito va ai costumi realizzati dal maestro, pluripremiato, Massimo Cantini Parrini.