Peri orcheseos, l’opera di Luciano (1) sull’arte pantomimica dei tempi dell’imperatore Lucio Vero, può essere letta come il manifesto di un teatro del corpo in cui il pantomimo-danzatore è descritto come figura dalle molteplici sfaccettature, chiamato a rappresentare un’arte antica, varia e armoniosa. Il testo è stato considerato in principio come la risposta indiretta di Luciano alla critica del retore misio Elio Aristide il quale, nella controversia che vedeva opposti sostenitori e denigratori della pantomima, si era schierato con questi ultimi (2).
Nonostante sia formalmente un dialogo per la presenza di due personaggi principali, Sulla danza risulta di fatto un monologo di Licino, protagonista di diverse opere di Luciano e considerato il suo alter ego. L’interlocutore Cratone pronuncia appena sei battute, cinque all’inizio e una alla fine dell’opera con la quale afferma di aver commesso un errore screditando lo spettacolo pantomimico e riconosce di essersi convinto grazie alla forza delle argomentazioni di Licino a favore della danza.
Nel primo intervento, Cratone mostra tutto il suo accanimento nei confronti della pantomima sottolineandone l’inutilità e il rischio, per chi vi partecipa, di essere esclusi dalla cerchia delle persone considerate serie. L’eccessiva ostilità esibita qui da Cratone entra in contrasto con il suo solerte ricredersi espresso solo a fine trattazione: tale opposizione annulla il valore di Cratone come personaggio autonomo che, di contro, potrebbe essere considerato un intermediario che dà voce e sintetizza, nei ragionamenti di un solo uomo, i luoghi comuni e le considerazioni della maggioranza su questa forma di spettacolo. Così facendo Luciano, attraverso Licino, è in grado di esporre e articolare le sue argomentazioni in difesa della pantomima.
Per mezzo del dialogo-monologo di Licino, l’autore sostiene che la sua argomentazione non è un trattato: l’obiettivo che si prospetta è quello di lodare la danza così come si presentava nel suo tempo rilevando l’utilità, la piacevolezza e il grande successo di pubblico che, appunto, la pantomima riscuoteva. L’uso del termine pantomima/pantomimo, nello scritto, necessita tuttavia di qualche precisazione. Nell’opera, il danzatore di pantomima è sempre definito con il termine orchestés, con una sola importante eccezione (Luc. de salt. 67) (3). Secondo il professore Simone Beta, c’è forse una ragione extralinguistica che spinge Luciano-Licino a usare sempre òrchesis: legando la danza alla pantomima, l’autore riesce a traslare e ad attribuire a quest’ultima le virtù della prima che, come tratto caratteristico edificante, ha la nobiltà d’origine. La danza nasce dagli dei, è uno degli elementi principali delle celebrazioni religiose e degli spettacoli teatrali e, non in ultimo, ha una dignità pari a quella del canto e della musica: tutte le notevoli qualità della danza “divina” si riversano direttamente nella pantomimica nobilitandola. Essendo, quindi, la pantomima “figlia” legittima della danza antica descritta da Luciano, ne porta di diritto il nome.
Nella prima parte del suo lavoro, Luciano descrive in modo casuale episodi realmente accaduti alternandoli a storie mitiche: per Simone Beta il suo modo di procedere è identificabile con quello dell’antropologo e, da persona curiosa di sapere, passa in rassegna tutte le regioni del mondo greco, romano e di tutte le popolazioni dove la danza ha rivestito un ruolo educativo, ricreativo e sociale considerevoli.
Cratone, che anteponeva alla danza le “alte” forme di spettacolo caratteristiche dell’antichità, è ricondotto alla riflessione da Licino (4) che, manifestando un più rilevante interesse storico, mette a diretto confronto la danza con la tragedia, la commedia, la satira e, in particolare, con lo stato di deterioramento che questi spettacoli stavano vivendo. Luciano raggiunge così il suo obiettivo e dimostra la superiorità dello spettacolo pantomimico, una supremazia riscontrabile sul piano di grazia, decoro, coerenza, complessità e profondità: caratteristiche che entrano in netto contrasto con forme che, anche se consolidate e comunemente accettate, ormai risultano ridicolizzate e decadute.
L’argomento cardine intorno a cui ruota il nucleo centrale dell’opera lucianea è la figura del ballerino analizzata come entità fisica e intellettuale che si trova in continuo rapporto con se stesso, con la propria attività e con il mondo che lo circonda.
Luciano mette in risalto la memoria come prerogativa essenziale per l’attività del buon danzatore (5) e insiste sull’apprendimento particolareggiato della storia quale «materia per l’azione», non di una conoscenza relativa a un sapere casuale e generico (6). Non a caso dal capitolo 37 in poi, per ben 24 sezioni, Luciano propone un esteso elenco di vicende mitiche e di storie, disposte secondo un ordine geografico, che dovrebbero essere apprese dal ballerino: un’erudizione usata come uno strumento che gli consenta di realizzare performance complete e coerenti con qualsiasi soggetto rappresentato, chiare e leggibili per il pubblico. Accanto alla storia, Luciano raccomanda lo studio della letteratura e, in particolare, l’apprendimento della letteratura mitologica. In più, il danzatore deve possedere un rilevante spirito critico, qualità innata che può essere sviluppata, affinata e perfezionata con l’educazione e la pratica; deve essere capace di «giudicare poesia e canto, di riconoscere le migliori melodie e di svelare quelle fatte male».
L’accostamento tra il pantomimo e l’oratore è un altro aspetto peculiare della trattazione e, per spiegare tale confronto, Luciano parte dal presupposto che retorica e pantomima sono entrambe scienze mimetiche e dimostrative: come il retore egli deve praticare la chiarezza. Una caratteristica fondamentale riguarda l’immedesimazione in ciò che viene rappresentato (7). Una poetica della mimesi, fondata su performance imitative come «riproduzione della natura nei suoi aspetti uditivi e visivi o come imitazione della vita umana». Esperienze sensoriali che si sviluppano dalla parola unita al canto, al gesto e alla danza provocando sull’uditorio piacere o diletto (8). La sapienza dell’astante risiede nella capacità di mettersi sullo stesso piano dell’esecutore e di lasciarsi persuadere completamente: attraverso una «immedesimazione psicologica tra esecuzione e ricezione» l’arte diventa un mezzo d’integrazione sociale per l’individuo.
Se leggiamo l’episodio narrato da Licino nel capitolo 63 comprendiamo quanto fosse determinante la “perfezione” dell’immagine visiva che arrivava oltre la scena e, quanto questo avesse importanza per il coinvolgimento totale dei sensi dello spettatore. Il buon danzatore deve avere la capacità di passare da una danza rapida, sregolata, dalle molteplici contorsioni, ad una dinamica regolare, calma, dall’andatura nobile. Solo i grandi artisti possono interpretare due ruoli, tanto differenti nell’intensità, con lo stesso valore (9).
Ma, nonostante il valore primario delle proporzioni, sarebbe sbagliato considerare un danzatore serio basandosi esclusivamente sulla sua altezza, magrezza o robustezza; andando avanti, nel capitolo 77, Luciano parla di un ulteriore requisito fondamentale: l’elasticità. Alla flessibilità e predisposizione a concedersi a ogni richiesta professionale, aggiunge l’orgoglio di chi si presta a tali richieste, evidenziando che si tratta di persone poste ai più alti gradini della scala sociale.
Assicurate le proprietà fisiche e intellettuali, al danzatore spetta il compito di riassumerle e metterle a servizio del proprio lavoro e per la gratificazione visiva ed emozionale degli spettatori: egli deve saper creare il giusto equilibrio tra forza e grazia. Padronanza totale di sé, doti mentali e fisiche, proporzione del corpo, tecnica, forza di volontà, armonia, versatilità, memoria ed erudizione: secondo Luciano, gli ingredienti necessari per fare di una persona un ottimo artista capace di comunicare col corpo.
Avvicinandosi all’epilogo, Luciano, consapevole dell’inesistenza della perfezione assoluta, espone anche i principali difetti che ha trovato nei danzatori. Uno dei principali limiti è la mancanza di misura ed essendo i Greci notevolmente sensibili alla musica danno a essa un’importanza talmente marcata da non poter giustificare alcun errore a riguardo. Ma Licino aggiunge che non bisogna biasimare la danza per questo e neanche condannarne la pratica: devono essere, invece, ben valutati e separati i pantomimi considerati ignoranti, e per questo soggetti a errori, da quelli che, degnamente, si comportano secondo le regole che impone l’arte (10). Concludendo, Luciano chiede al suo danzatore ideale di «essere rifinito in ogni senso così da essere in tutto rispondente al ritmo, bello, proporzionato, uguale a se stesso, irreprensibile, incensurabile, in nulla manchevole, dotato delle migliori qualità mescolate insieme, pronto nella formulazione delle idee, profondo nella cultura, soprattutto, umano nel suo modo di pensare».
L’ultimo capitolo racchiude l’esortazione che Licino rivolge a Cratone di avvicinarsi alla danza paragonandola alla pozione magica di Circe. Licino garantisce un coinvolgimento e una persuasione sicuri che avrà, inoltre, i suoi risvolti positivi e, come la verga d’oro di Ermete che «gli occhi incanta degli uomini» anche la danza «incantando gli occhi, rifacendoli svegli e rendendo attento il pensiero a ciascuna delle azioni che si compiono» assicura benefici. Il ripensamento del suo interlocutore chiude il dialogo: Cratone, che tanto aveva calunniato la pantomima, prega l’amico di riservargli un posto per il prossimo spettacolo, in modo che anche lui possa beneficiarne ritornando da quell’esperienza più saggio.
Note:
1) Scrittore, retore e filosofo siro di lingua greca antica.
2) È singolare il fatto che, nonostante le numerose opere nate intorno alla discussione sulla danza, i copisti medievali ci abbiano tramandato esclusivamente gli scritti favorevoli alla pantomima tenendo, inoltre, sempre presente le continue avversioni e censure da parte della chiesa dei primi secoli. L’opera lucianea è stata fedelmente copiata e conservata – al contrario di quella di Elio Aristide, persa nel primo medioevo – insieme all’orazione In difesa dei danzatori di Libanio, vissuto nel IV sec. e nato ad Antiochia e all’Apologia dei mimi, scritta intorno al V sec. dal retore bizantino Coricio il quale appartiene a un mondo diverso, quello di Costantinopoli: luogo in cui, forse, i ballerini dispersi e sopravvissuti alle ingiurie dei moralisti pagani e cristiani della parte Occidentale dell’impero, ma non alle invasioni barbariche, si erano rifugiati in una sorta di ritorno alle origini. Come molte opere di Luciano, anche Sulla danza è stata considerata non autentica e alcuni studiosi hanno dubitato anche dell’originalità di prodotti la cui attribuzione a Luciano risulta quasi certa. Perché? La motivazione va ricercata nell’elenco delle opere che i manoscritti aggiudicano al poligrafo di Samosata comprendenti un discreto numero di dialoghi sicuramente apocrifi. Al contrario, potrebbe essere l’architettura globale dell’opera a richiedere una maggiore attenzione e a suscitare qualche dubbio in quanto, attraverso essa, viene deviata la rotta che Luciano aveva fino ad allora seguito e che esaltava nel Due volte accusato: la fermezza nel voler dare nuova vita al dialogo platonico.
3) C’è da dire che etimologicamente il termine è greco (pantòmimos) ma la sua origine è straniera, in quanto creata dagli Italioti, i Greci d’Italia: secondo Simone Beta, Luciano, non privo di scrupoli puristici e da buon atticista, non poteva corrompere la sua prosa con un termine che nella lingua greca del V secolo a. C. non esisteva ancora.
4) Nei capitoli 26-32.
5) Ne La danse grecque antique, guida dettagliata per la lettura del testo, Germaine Prudhommeau suggerisce un parallelismo tra la memoria come conoscenza culturale che, secondo Luciano, è indispensabile al pantomimo per interpretare al meglio un personaggio inserito in una specifica vicenda, e una memoria a carattere “pratico” necessaria al danzatore per ricordare le innumerevoli combinazioni di passi che vanno a formare un ampio repertorio: a differenza del cantante e dell’attore il suo unico supporto è, appunto, la memoria che, a tal fine, deve essere costantemente allenata.
6) Nel sottolineare l’importanza della storia, la Prudhommeau, non manca di evidenziare anche la necessità, da parte del danzatore, di conoscere «tous les sujets de ballets historiques qu’il aura a danser» ed evitare, come spesso accade, di muoversi maggiormente sulla base di leggende anziché su dati certi come quelli che possono essere forniti dalle «science historiques». Aggiungerei, inoltre, una considerazione di Simone Beta che sostiene: «il pantomimo non può essere un uomo qualunque: deve essere colto, avere un’ottima conoscenza della mitologia greca».
7) «C’est le sommet de l’art scénique: prendre son public». Così G. Prudhommeau, a pagina 370, valuta l’intervento di Licino considerando l’identificazione dello spettatore con l’artista un rapporto essenziale senza il quale «il ne réagit pas, il ne vibre pas à l’unisson».
8) Gentili, ricordando passi di Gorgia, parla di «idea dell’illusione» che, trasferito sullo spettatore crea un «mutuo rapporto di emozionalità» e può soddisfare, o no, l’orizzonte di attesa del pubblico.
9) Nel dialogo, Luciano cita costantemente Platone che, nelle Leggi e nella Repubblica, si era interessato alla funzione pedagogica e religiosa della danza, che avrebbe inserito nella sua città ideale; più raramente fa riferimento ad Aristotele. Ma anche le categorie dell’utile e del dilettevole, sottolinea Simone Beta, sono prese a prestito dal filosofo ateniese come l’ostinazione e l’importanza data all’esercizio fisico per la crescita strutturale dei giovani che, a sua volta deriva dalle considerazioni di Socrate; in merito alla formazione sostiene, giustamente, G. Prudhommeau che «l’art du danseur s’adressant à la vue» e, quindi, è un passaggio non trascurabile l’analisi delle qualità fisiche che devono contraddistinguere un buon danzatore. A tal proposito, Luciano si preoccupa di approfondire questo aspetto soffermandosi lungamente nella sua esposizione: ancora una volta è ne La danse grecque antique che viene proposto un accostamento ai canoni contemporanei: regole che hanno sempre qualificato, attraverso principi specifici, l’importanza e i caratteri della corporeità del ballerino.
10) Tutti i valori del mondo greco sono subordinati all’opposizione tra misura e dismisura; opposizione tanto caratteristica dell’arte greca e, come apprendiamo, anche della danza poiché entrambe discipline attente ai canoni estetici e proporzionali: affermazione ulteriore di buon senso e logica contro l’esagerazione e il non appropriato.
Bibliografia:
M. Andrisano, Il corpo teatrale fra testi e messinscena, Carocci, Roma, 2006.
S. Beta (a cura di), Luciano. La danza, traduzione di M. Nordera, Marsilio, Venezia, 1992.
Luciano, Dialoghi, I, a cura di V. Longo, Utet, Torino, 1976.
Luciano, Dialoghi, II, a cura di V. Longo, Utet, Torino, 1986.
G. Prudhommeau, La danse greque antique, Ed. du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris, 1965.
P. A. Bernardini, Vista e udito nella lode per un danzatore: Luciano, De salt. 63, in Mousikè. Metrica ritmica e musica greca in memoria di Giovanni Comotti, a cura di B. Gentili e F. Perusino, Istituti Editoriali e Poligrafici, Pisa – Roma, 1995.
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo, Feltrinelli, Milano, 2006.