Non si può anticipare di più, ma dietro la brutta che dà il titolo a questo dramma in un atto scritto da Angela Di Maso, c’è la potenza di un personaggio ibseniano. Una potenza che si rivela alla fine, quando si resta soli, disarmati e arresi di fronte a quello che resta della tua vita in frantumi, e la resa dei conti è più dolorosa e violenta.
Difficile è scriverne senza lasciar trasparire quello che ha da esser scoperto: certo è che Brutta è un coagulo di pulsioni represse che si liberano e alimentano nel tempo di una cena.
Tale è la scena, inalterata fino all’epilogo: lui e lei seduti al tavolo di un ristorante, marito e moglie, insieme al loro ventennale rapporto fatto di rassicuranti certezze piccolo borghesi, l’uno di fronte all’altra a guardarsi in faccia come chissà quante altre volte.
Chissà quante volte si saranno guardati senza vedersi, l’occhio indolente, senza attenzione, curiosità, meraviglia! Chissà. Ora però lo sguardo di lei si fa più severo: uno sguardo che giudica, critica, dissente. Lei scopre che l’uomo con cui ha diviso la vita è brutto, proprio esteticamente brutto. E non ci sta. Provoca, ferisce, infierisce. Lo mette spalle al muro. Non gli lascia scampo. Di fronte a lui non c’è più l’amorosa compagna di una vita, fedele e assertiva, ma l’irreversibile acquisizione della sua coscienza estetica, inesorabile punto di non ritorno.
Ecco, questo è l’inizio di un gioco al massacro fatto di rivendicazioni, agnizioni, rivelazioni lancinanti che scorticano come l’acido, il brutto e il bello. Tutto vacilla, anche le certezze più inossidabili saltano in aria, la verità non è nemmeno un miraggio ma l’ulteriore infamia da rimuovere.
Non pare possibile che la menzogna granitica durata una vita deflagri in pochi minuti né che si liberi attraverso un linguaggio che invece di esprimere, partorisce e performa emozioni e sentimenti.
Dov’erano prima che il linguaggio stesso li portasse a coscienza?
I temi sfiorati che continuano a interpellare il lettore (e lo spettatore) sono tanti e assiduamente frequentati dal dramma borghese – ipocrisia sociale, incomunicabilità, rapporto di genere, sesso, procreazione più o meno condivisa, fiducia mal riposta, spirito di sacrificio approntato fino all’abnegazione – ma quello che qui sale in primo piano è il rapporto intestino con il linguaggio, con la parola, usata e dosata dall’autrice in modo impeccabile. Una parola che scarnifica, a mano a mano che il linguaggio si infittisce e accelera. Personaggi che più che grumi di psicologismo spicciolo, sono linguaggi da cui siamo parlati, in cui riflettersi e riflettere. Linguaggio strettamente connesso e compromesso con il silenzio, a volte proprio silenziato e strozzato da vortici di parole.
Una messa in scena, auspicabile più che mai, troverebbe forza e ragione da un’interpretazione lontana dal minimalismo, di bandiera o di ripiego, (Dio ce ne scampi) e dallo psicologismo da quattro soldi che strizza l’occhio ai primi piani di celluloide.
Il testo, pubblicato da Divergenze secondo antichi crismi – carta avoriata extralusso ad alta grammatura da fonti rinnovabili e incorruttibile dal tempo, numerazione di ogni singola copia con inchiostro naturale da bacche di sambuco – ha ricevuto nel 2019 il Premio Sipario per la migliore drammaturgia contemporanea italiana.
Angela Di Maso, Brutta. Dramma in un atto, Divergenze Edizioni, Belgioioso (Pavia), 2022, pp. 78, euro 14,00.