C’è un bellissimo romanzo, intitolato La figlia unica, della scrittrice messicana Guadalupe Nettel, che affronta in modo sorprendente il tema della maternità. La protagonista osserva, con uno sguardo quasi antropologico, come questo fenomeno prenda vita attorno a sé: nell’esistenza della sua migliore amica, in quella della vicina di casa e perfino in una coppia di piccioni che vivono sul tetto del suo palazzo. Il suo è uno sguardo privilegiato, lo sguardo di chi può concedersi il tempo di osservare con curiosità e spavento qualcosa che a lei non appartiene. Ma in fondo è davvero così? Può realmente appartenerci la maternità? E quando? Si è materne solo quando si diventa madri o anche nel desiderio, nell’attesa di poter vivere un giorno quest’esperienza o anche nella consapevolezza di non volerla attraversare? In fondo, la protagonista vive qualcosa di simile alla maternità, occupandosi e prendendosi cura delle persone che ha intorno. Questo, però, non basta agli occhi degli altri e nemmeno ai suoi. E così non le viene risparmiata l’insistente ed estenuante domanda, che finisce per diventare un’ossessione, come se, a un certo punto della vita, esistesse solo uno strumento per misurare il valore dell’esistenza di una donna: vuoi o non vuoi avere dei figli?
A trovarsi in questa condizione è anche la scrittrice canadese Sheila Heti, che nel suo romanzo autobiografico dal titolo inequivocabile, appunto Maternità, si interroga sulla possibilità di diventare madre. Quella che sembra inizialmente una domanda che coinvolge un solo aspetto della sua vita, finisce per stravolgere la sua intera esistenza. Sheila fa i conti con un imperativo culturale e naturale a cui è impossibile sottrarsi. Così, queste riflessioni feroci, che diventano tarli che divorano i suoi pensieri, si trasformano nell’adattamento teatrale del romanzo, immaginato e realizzato da Chiara Lagani, in sondaggi rivolti al pubblico. In Maternità, spettacolo della compagnia Fanny & Alexander, diretto da Luigi De Angelis, lo spettatore è chiamato a vivere l’intensa esperienza di entrare nei pensieri di Sheila, trasformandosi però, a poco a poco, in un inconscio collettivo, che è insieme testimone, giudice e imputato di un processo a cui tutti sono chiamati a prendere parte.
La forza di questa intuizione scenica della Lagani è quindi quella di assegnare al pubblico il compito di guidare la direzione drammaturgica dello spettacolo. Saranno le risposte delle persone, date attraverso un telecomando, a tracciare il percorso dell’attrice in scena. In questo interrogatorio silenzioso, che avviene soltanto attraverso uno schermo, viene indagato il proprio desiderio di maternità, la propria posizione sull’aborto, fino a dover scegliere completamente anche le azioni della Lagani: quale dei due coltelli che sono in scena deve afferrare o qual è la prossima circostanza che si troverà a vivere. Se nella prima metà dello spettacolo, questo meccanismo funziona, rendendo attiva la partecipazione dello spettatore, nella seconda metà il dispositivo finisce per esaurire il suo potenziale, mostrando tutti i suoi limiti tecnologici, come fosse un gioco di cui non cogliamo più il divertimento e la bellezza. Ma, nonostante il coinvolgimento dello spettatore gradualmente si affievolisca a causa di un sistema che non riesce fino in fondo a farlo sentire partecipe, la forza del testo drammaturgico e l’interazione viva e autentica della Lagani con il pubblico riescono fino alla fine a mantenere intatta la loro forza, riuscendo nell’impresa di articolare un tema complesso come quello della maternità, facendoci così addentrare nella profondità di un testo come quello di Sheila Heti. Ma forse è proprio questo l’intento registico di usare metodi fallaci come un questionario e un dispositivo tecnologico come il telecomando per rispondere a domande così tortuose: mostrare allo spettatore l’impossibilità di esaurire un discorso complesso come quello della maternità con un sistema che, per la sua freddezza e asetticità, ci riporta alla pressione sociale che le donne si trovano continuamente a vivere su questo tema. Ma Maternità ci riporta proprio a questo, mostrandoci come su questo tema sia assurdo formulare giudizi, esprimere sentenze e come sia quindi impossibile tracciare i confini del materno.
Maternità
uno spettacolo di Fanny & Alexander
tratto dal romanzo autobiografico di Sheila Heti (traduzione Martina Testa, Sellerio Editore, 2019)
drammaturgia Chiara Lagani
regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis
con Chiara Lagani
costumi Chiara Lagani
architettura software Vincenzo Scorza
produzione Fanny & Alexander.
Angelo Mai, Roma, 13-14 aprile 2024.