Siamo come topi sotto assedio
I topi sono una comunità in pericolo. Lo stress e la tensione della violenza imminente faranno a pezzi la loro comunità a meno che non riescano a trovare un modo per ricreare l’effetto della scena originaria, con il conseguente rinvio della violenza e rilascio della tensione. Il rumoreggiare di Josefine nel mezzo di «gravi decisioni, è quasi come l’esistenza precaria del (loro) popolo in mezzo al tumulto di un mondo ostile» scrive Kafka.
Mai come in questi giorni, segnati dal conflitto russo-ucraino, le parole dello scrittore boemo risultano tanto attuali quanto urgenti. Ci sarebbe bisogno di rigettare la guerra, l’ondata di quella forza impetuosa e incontrollabile che è la violenza esercitata da uomini su altri uomini, donne, bambini. Ci sono intere comunità sotto assedio che cercano di resistere in nome dell’unità e della solidarietà. Ma tutto questo non sembra bastare di fronte agli interessi economici, politici e alle guerre di potere.
Il 16 febbraio scorso eravamo al Teatro India per partecipare a Josefine, il lavoro di Tamara Bartolini e Michele Baronio. Anche se era nell’aria, speravamo non ci fosse stata soltanto pochi giorni dopo l’invasione della Russia in Ucraina. Oggi, mentre cerchiamo di raccogliere riflessioni sullo spettacolo – che merita davvero di avere una circuitazione per l’intensità poetica e per un lavorìo attoriale profondo – la messinscena ci sembra quanto mai attuale.
Chi è Josefine
«Josefine ci pone una domanda sulla libertà: cos’è e dov’è dentro ognuno di noi? Non abbiamo risposte, ma gli “spiriti buoni” che nel racconto salvano la cantante che “dimora nel canto”, ci dicono che la potenza dell’artista viene anche e soprattutto da fuori, dal “noi” che sta nel mondo: il popolo dunque lo fa l’artista, ma è pure il popolo che fa l’artista».
Scrivono così Tamara Bartolini e Michele Baronio nel programma di sala. L’Io di Josefine diventa il Noi. Ed è la sua figura, rara tra gli altri topi perché ha l’innata capacità di cantare, a rivelarsi di aiuto per sconfiggere la routine quotidiana. Ma non solo. Sarà Josefine, proprio con il suo flebile fischio ad accogliere intorno a sé tutte le voci delle tante Josefine del Mondo che tentano di liberarsi «dalle catene della vita quotidiana». La protagonista si fa allora Comunità e diventa un tramite indispensabile per entrare in contatto con coloro i quali la circondano e che sono intorno a lei. Non importa se alcuni non riconoscano la sua arte o non capiscano l’originalità delle sue melodie. Josefine non arretra. Non si arrende. Cerca di guadagnare l’attenzione di tutti quasi come se il suo fischiettìo rappresentasse un “sacrificio” urgente per sollevare la collettività di cui è parte dai suoi doveri quotidiani anche a costo di lottare contro quanti non sono disposti a riconoscerle quel ruolo di “artista” che, in realtà, le compete. Josefine è consapevole della sua arte. Sa che molti intorno a lei non sono in grado di capirla e che la disprezzano. Tuttavia, non demorde. E continua ad agire, pretendendo rispetto.
La messinscena
Arte o natura? Caducità o eternità? Piattezza o elevazione? «O non piuttosto che il popolo, nella sua saggezza, abbia collocato il canto di Josephine così in alto proprio perché in tal modo non potesse andar perduto?».
Le parole che riportiamo sono di Franz Kafka. Il racconto Josefine la cantante, o il popolo dei topi fu pubblicato postumo e venne scritto nel 1924 nell’ultimo anno di vita dell’autore che ormai versava in una grave situazione di salute.
Dopo l’anteprima a Teatri di Vetro Festival, il duo Bartolini/Baronio ha debuttato in prima nazionale al Teatro India di Roma. Una ricerca laboriosa iniziata due anni fa e interrotta dalla pandemia.
L’operazione di drammaturgia-scenica è di indubbio valore: il racconto di Kafka – come sempre accade nei lavori dei due artisti – è il punto di partenza per costruire una partitura, vocale e gestuale, segnata da un’estetica tesa sempre a mettere in relazione un’ispirazione “originaria” con una serie di “spunti” musicali, letterari, teatrali, fatti di attualità.
Quando entriamo in sala e inizia Josefine, Tamara Bartolini si sistema su una consolle a sinistra dello spazio scenico. Sullo sfondo, un grande schermo proietta le immagini e la voce di Nina Simone. Anche per coloro i quali non conoscessero la cantante, pianista, scrittrice e attivista statunitense per i diritti civili, la sua voce arriva diretta e forte, energica e penetrante. I due attori chiedono attesa. I partecipanti con religioso silenzio aspettano. Si respira un’atmosfera di reciproca condivisione.
Tutto quello che accade dopo è un flusso ininterrotto di azioni sceniche: Michele Baronio si fa interprete della storia di Josepine. Scorrono sullo schermo parole che ci sottolineano chi è Josepine. Ci viene presentata. Ci viene spiegata la sua biografia. Un passaggio “epico” fondamentale. Da questo momento in poi, iniziamo a conoscerla, a entrare in contatto con lei. Ed è per primo l’attore, un topastro dal ventre “gonfio” e con delle orecchie a sventola enormi, a farsi tramite tra Josepine e gli spettatori. L’andamento serrato della messinscena solleva tante domande: che cosa significa essere liberi? A un popolo di oppressi appartiene, forse la notte o quel “cigno morente” che genera emozioni e immaginazione?
E qual è, soprattutto, il ruolo dell’arte oggi, visto che il canto di Josepine è capace di sovvertire un sistema (la società dei topi, ma per metafora anche la nostra)? L’arte e, nello specifico il Teatro, ha il potere di alimentare i sogni, la gioia infantile del gioco e di far provare a tutti noi cosa significhi davvero nutrire il desiderio di essere liberi senza paura? L’esperienza estetica si traduce in una fattuale armonia comunitaria e, infatti, sarà proprio il popolo dei topi a comprendere che quello di Josepine non è un gesto individuale, bensì “un vento nuovo”, vivo, in grado di ristabilire l’armonia comunitaria. Il canto della protagonista è catartico: è da lì che l’alienazione dei topi si trasforma in una lotta contro la violenza e la morte. E, anche il bisogno di “continuare a calcare la scena” è l’affermazione decisa di continuare a dare senso all’arte e al teatro. Quei gusci di noci che l’attore calpesta insistentemente sembrano essere il simbolo di un invito ad aprirsi, ad abbattere qualsiasi tipo di barriera.
Tamara Bartolini, per tutta la durata della messinscena, tiene i fili della narrazione. Racconta, interviene, sostiene la narrazione scenica, proietta video che fanno da raccordo tra quanto agito in presenza e quell’archivio di memoria in grado di spaziare, ancora una volta, da Rosa Parks – attivista statunitense, la prima a rifiutarsi di cedere il suo posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a Montgomery – all’icona della danza, Pina Bausch, al movimento ambientalista Fridays for Future e a Black Lives Matter, flash mob di Non Una di meno del collettivo cileno Lastesis al fianco di tutte quelle donne che non hanno voce contro i loro stessi stupratori.
A mo’ di non conclusione
Quando termina Josepine resta un pensiero: che sì, c’è una luce e un canto «flebile che può dire di noi e del mondo».
Josefine
un progetto di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio
drammaturgia Tamara Bartolini
regia Bartolini/Baronio
luce Gianni Staropoli
suono Michele Boreggi
tecnica e regia video Marco D’Amelio
costumi e collaborazione alla scena Marta Montevecchi
collaborazione al progetto Raffaele Fiorella, Margherita Masè, Francesco Raparelli
direzione di produzione Alessia Esposito
organizzazione Elisa Pescitelli
produzione 369gradi e Bartolini/Baronio
in collaborazione con Teatri di Vetro, Teatro del Lido di Ostia con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro), Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, Carrozzerie n.o.t, Residenza artistica nazionale Jobel.
Teatro India, Roma, dal 16 al 20 febbraio 2022.