“LO SCIAME. Storia di un fallimento” Intervista a Dario Costa di Letizia Bernazza

Foto di Enrico Giansanti

Ho custodito con cura quest’intervista a Dario Costa, regista di LO SCIAME. Storia di un fallimento (testo di Aurora Di Gioia, con Giorgia Narcisi e Andrea Zatti). L’augurio è che lo spettacolo torni presto in scena.

Come e con quali motivazioni nasce LO SCIAME. Storia di un fallimento?

Lo spettacolo nasce dalla volontà di Risacca Teatro, compagnia composta da quattro professionisti del teatro con i quali ho il piacere di lavorare da tanti anni, di produrre un lavoro che avesse come oggetto lo sport. Quando un anno fa mi proposero di esserne il regista rimasi interdetto, in quanto nonostante io sia figlio di due sportivi non mastico affatto l’argomento. Parlando con loro però ho subito capito il potenziale della scelta: avrebbe significato parlare di tematiche a me e a noi molto care come la prestazionalità nel mondo attuale, le imposizioni da parte di volontà esterne, l’ansia e il disagio di vivere dentro un sistema sociale opprimente, la possibilità di fallire e di valorizzare il fallimento stesso. Cominciammo così una fase di brainstorming collettiva nell’estate del 2023 in cui sono emerse in modo chiaro tutte queste tematiche e quindi anche la disciplina sportiva ideale per lo spettacolo, ovvero il ciclismo. Raccontare una storia (verosimile ma non ispirata a persone o fatti reali) di ciclismo agonistico avrebbe fatto emergere quelle che sono alcune specificità di enorme interesse, come la peculiare scelta dei “gregari” di fare un lavoro estremamente duro solamente per far vincere il campione e rimanere nell’ombra, come delle api operaie la cui unica missione è quella di far vivere la regina. Il titolo dello spettacolo deriva da questa immagine ma anche dal suono stesso dello “SCIAME” che ricorda quello delle ruote di bicicletta. Nel sound design e nelle musiche originali dello spettacolo, anch’essi a firma mia, unisco molto spesso questi due suoni.

Foto di Enrico Giansanti

In che modo è stato imbastito il processo di costruzione dello spettacolo?

Dopo la fase di brainstorming e delineamento delle tematiche, della storia e dei personaggi, l’autrice della compagnia Aurora Di Gioia si è messa al lavoro sul testo originale, consegnatoci a dicembre 2023. Nel gennaio 2024, grazie al costante supporto che Spin Time Labs ci dona da ormai due anni, abbiamo cominciato le prove in sala. Ho da subito pensato che lo spettacolo necessitasse del raggiungimento di uno stato di massima verità da parte degli attori e grazie al rapporto personale molto stretto che hanno Giorgia Narcisi e Andrea Zatti (gli interpreti) ho potuto lavorare prima ancora che sul testo direttamente sulla loro relazione. Abbiamo indagato profondamente le loro dinamiche, il loro essere complici ma anche talvolta incastrati nei loro meccanismi, insomma hanno fatto un atto di generosità molto raro. Grazie a questo ho potuto strutturare lo spettacolo su due piani principali: quello della realtà cruda del mondo turbo prestazionale in cui i protagonisti sono inseriti e quello del loro mondo interiore o onirico, sicuramente mentale e inconscio. Ho voluto delineare questo secondo piano grazie all’ausilio di videoproiezioni, rappresentandone il testo stesso dello spettacolo con sovratitoli qualora i personaggi usino il linguaggio verbale, e immagini invece ambientali azionate dalle ruote della bicicletta di scena (una Bianchi d’epoca) per i momenti non verbali. Essendo personaggi ingabbiati dentro ad un sistema che vuole decidere per loro chi essere e come essere, la regia si impone su di loro proponendo svariati cambi d’abito (a definire anche il passare delle stagioni) ed un uso incessante di oggetti di scena funzionali alla narrazione. In questo carillon imposto dall’alto, le anime dei personaggi possono trovare spazio solo attraverso la loro relazione e, infine, attraverso una ribellione.

Foto di Enrico Giansanti

Il tema fondamentale di LO SCIAME è l’ansia da prestazione che genera nei due protagonisti il timore di non essere all’altezza dell’obiettivo da raggiungere. Alla fine, entrambi si arrendono: è un atto di consapevolezza dei due di denuncia nei confronti di un sistema sociale che impone a tutti i costi la competizione?

Esattamente. Specifico subito che il testo originale prevedeva una “vittoria attraverso il fallimento” molto più concreta rispetto a come ho desiderato invece rappresentare il finale. Ad un certo punto del lavoro in prova ho capito che l’esito della narrazione non poteva essere incentrato su una vittoria o su una sconfitta reale, perché è la stessa consapevolezza dei protagonisti di voler distruggere il sistema di oppressione il vero focus della questione. La ribellione alla macchina sociale che narra costantemente delle loro inadeguatezze e che dice loro come dovrebbero invece essere doveva esplodere a tutti gli effetti, in modo meccanico e chiaro, attraverso le loro stesse mani. …Sarà che son cresciuto a pane, Matrix e Rage Against The Machine.

Nello spettacolo si intrecciano le presenze dei due attori con video che comunicano quella stessa ansia, spesso trasmessa dalle TV, che trova terreno fertile proprio nell’inquietudine e nell’angoscia di non riuscire dei due personaggi in scena. Quale è la relazione che è stata sviluppata tra il privato e il pubblico?

È proprio la TV in scena che rappresenta la macchina infernale di cui i personaggi sono pedine. Personalmente non sono, come dicevo, un fan dello sport ma per quel poco che ho seguito sono sempre rimasto molto colpito dal modo che hanno i cronisti di narrare le azioni, ma anche le storie e i retroscena, degli sportivi in campo in modo crudo, oggettivante e talvolta spietato. Per questo ho desiderato moltissimo avere questo elemento in scena con cui gli stessi personaggi sono costretti a relazionarsi, ed Aurora è riuscita nel testo a portare all’estremo questo aspetto giudicante della voce del cronista che gracchia parole incuranti dalla TV. La “voce del padrone” andava azzittita a tutti i costi.

Foto di Enrico Giansanti

Il messaggio che si vuole trasmettere agli spettatori\spettatrici?

Che fallire è bello. La questione può apparire semplice, ma a livello inconscio i fallimenti vengono troppo spesso elaborati come traumi, piccoli o grandi che siano, difficili da superare realmente e spesso da rielaborare “a freddo” magari con l’aiuto di un professionista. Il fallimento, nonostante quello che ci vogliono far credere, fa davvero parte della vita dell’essere umano: siamo esseri estremamente complessi che per vivere in questo mondo e in società devono relazionarsi con una quantità infinita di stimoli per poi essere costretti ad elaborarne e a fornirne le risposte, per se stessi e al di fuori di sé. Proprio per questo, c’è da dircelo ogni giorno, siamo esseri FALLIBILI. E dicendoci questo operiamo un atto di emancipazione, di rivalsa, di vittoria. Per noi e per tutti gli altri esseri umani.

Foto di Enrico Giansanti