Se dentro a ogni crisi possiamo individuare una risorsa, non possiamo eludere una riflessione all’onda generata dal “SarsCov2”che ha innescato, oltre a gravi drammi sul piano umano ed economico, uno scenario che necessita di essere osservato attentamente. Nel mondo Occidentale, stiamo vivendo la blockierte Gesellschaft – una società bloccata che non riesce a rintracciare la direzione da dare a ciò che viene dopo il “punto” generato dall’emergenza Corona Virus, ovvero, la profonda crisi sanitaria, sociale ed economica, che ha coinvolto il mondo intero. Interessante notare che nella lingua cinese il termine “crisi” “危机 “wēijī” sia composto da due ideogrammi, “wēi” 危 significa pericolo e “jī”, 机 punto cruciale, cioè un punto (nel nostro caso di interferenza nello svolgimento della vita quotidiana), entro cui possiamo individuare molteplici direzioni da poter intraprendere nella ricerca affannata di soluzioni.
Nel teatro delle illusioni, abbiamo delegato la soluzione dell’emergenza all’uso degli strumenti tecnologici, pensando che solo la quarta rivoluzione industriale, quella digitale, l’affidarci all’Intelligenza Artificiale, potesse risollevare le sorti dell’umanità. Si è così tralasciato, nello sfondo, il prezioso ruolo svolto dalla “cultura” intesa come «quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società» (Tylor, 1897), facendo scivolare tra le pieghe dei nostri giorni la forza dell’incontro con l’altro, la “suscettibilità” della relazione, lo Sturm und Drang delle emozioni.
La corporeità è stata derubricata a un affare tecnico. Eppure, c’è qualcosa che da anni è stato relegato nel dimenticatoio: il “bene”culturale, il teatro, il cinema, la storia del nostro popolo di artisti e letterati. Da oltre un decennio, l’industria culturale si è avviata verso il pendio scivoloso dell’obnubilamento della cultura. Ne parlava già nel 2008 il Censimento Teatri Negati. Censimento dei teatri chiusi in Italia, in cui si denunciava la grave crisi che stava attraversando il nostro paese che, con 428 teatri chiusi, tra inagibilità e mancanza di risorse, vedeva i sipari non aprirsi. L’accelerazione della società digitale, l’arrivo delle televisioni on demand ci ha distolti dalla frana che avrebbe attraversato la cultura nazionale. Non ci stupiscono quindi, ma ci logorano, i dati pubblicati da Gabanelli e Franco ne Il Corriere della Sera, in cui si dettagliano i costi umani “indiretti” della pandemia (non direttamente colpiti da Covid19): 400 mila professionisti disoccupati, impiegati negli ambiti di cinema, teatro e musica. Tra qualche giorno riapriranno alcuni teatri, con capienza di 200 posti, con costi alti di sanificazione, con la possibilità, per i forti dell’economia, di riapparire sulla scena. Per poter virare da questa discesa, c’è bisogno di far riaffiorare la vitalità creativa della società, di riconsegnare uno stimolo alla spinta innovativa, di interrompere le pose solipsistiche e tornare al costrutto simbolico del ruolo del teatro nello spazio pubblico, tornare a vedere lo spettacolo e non “solo” il protagonismo individualista (θέατρον). È nella comunità, di cui lamentiamo l’assenza (come società occidentale), che intravediamo la forza della rinascita, il dialogo con il pubblico, completo e assoluto, per cui sarà utile riavvicinare l’arte e l’essere umano nello spazio della cultura. Lo spazio, per dirla con Simmel, ha una funzione sociale fondamentale, «nel coniugare le percezioni fra le loro slegate degli individui, offrendo loro una parvenza di coesione ma anche un’azione coordinatrice per i sensi capace di orientare l’agire individuale e l’interazione tra le parti spaziali. Lo spazio non è una dimensione data in cui si inscrivono i fenomeni sociali, ma è piuttosto il prodotto delle relazioni sociali» (Simmel, 1908: 523-599; Bianchi 2019: 8-9). Perché da questa lezione pandemica si possa trarre un insegnamento, per dare a “quel” punto di cui sopra un senso, per non farci stordire dal “prezzo” da pagare per la crisi sanitaria, riapriamo le porte dei nostri preziosi teatri, riconsegnateci il valore della comunità, la dimensione all’arte, l’abbraccio del pubblico, riconsegniamo agli attori il meritato scroscio degli applausi colmi di emozione e di vita. Ebbene sì: date spettacolo! Abbiamo bisogno di “una dimensione”.
Bibliografia:
Gabanelli M., Franco R., Cinema e live perdite per 1 miliardo e mezzo ne il “Corriere della Sera”, 19 maggio 2020, p.20.
Guarino C., Giambrone F., (a cura di), Censimento dei teatri chiusi in Italia FrancoAngeli, Milano, 2008.
Marcuse H., One-Dimensional Man, Beacon Press, Boston, 1964, (trad.it L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1999).
Simmel G., Sociologia, Comunità, Milano, 1998.
Tylor B., Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, 1871.