Definire Michela Murgia scrittrice è riduttivo. Non perché non lo sia, anzi, la sua prosa “sciolta” e al contempo ricca di perifrasi volumetriche che non rimangono adagiate nel tormento del quotidiano, seppure lo attraversino con paziente attenzione in quelle storie ferocemente concrete, ma perché è molto altro oltre ad essere una delle esperienze letterarie italiane più felici di questi anni. La sua scrittura ch’è corpo e trama intellettualmente disorientante o, ancora meglio, “spaesante”, lì a rimarcare un tempo differente delle relazioni, dei sentimenti, delle parole usate per descriverli, dell’esattezza dei vocabolari sociali, trovando la misura nella scrittura come nella vita di una ridicola messa in scena, la teatralizzazione di un populismo da quart’ordine, con insistenza “politica” le sue indagini in letteratura passano sempre attraverso il filtro della lucidità storica quanto quella emozionale, che argomenta con effetti e comportamenti nei suoi personaggi (a partire da sé), al di là delle categorie, e che ci svelano il “vero”, nella profondità dei sentimenti quanto nelle architetture della cronaca: quello stare nel “vero” anche di un anacronismo linguistico come lo storytelling with rules. Il “vero” di Michela Murgia è nell’essere elfica e candidata alla presidenza della Regione Sardegna, rompicoglioni per i maschilisti e in opposizione a un pensiero di violenza e sopraffazione, in opposizione a un patriarcato tossico inverando una opportunità ulteriore al concetto stesso di famiglia laddove, parafrasando Francesco De Gregori, è chiara la sua collocazione fuori dagli schemi storici e lì, sempre per sempre, dalla stessa parte la troverai. Quale? Quella dove il pensiero è liberato, oltre le proprie abitudini, disarcionandole queste abitudini e lavorando su uno spazio pubblico, e la sua rappresentabilità, ch’è lo spazio di tutti e tutte pronto a incorporarne una moltitudine di intersezioni, di definizioni, di possibilità del corpo e dei ruoli. Scrive: «Se penso a un intellettuale illuminato come Luca Serianni che, a due passi dalla morte ingiusta e improvvisa non ha capito che il mio tentativo di cambiare il linguaggio che lui per tutta la vita aveva studiato era un tentativo di liberazione, mi viene il magone. D’altronde, se tu sei libero, che te ne importa della liberazione degli altri?» (1). Per chi ha avuto la fortuna di conoscerla è motore di umanità, è la bellezza non soltanto simbolica del gesto d’arte, è la capacità di trovare in percorsi non scontati quelle filiazioni d’anima di cui troppo poco s’è detto. Proprio per la sua attenzione all’altro o all’altra, senza retorica, Michela Murgia è riuscita a tessere i fili di una straordinaria e “vera” nuova possibilità affettiva, con quella sorprendente e pop attitudine di muoversi costantemente su versanti di analisi linguistiche e di attivismo, partecipazione diretta alle controversie politiche o letterarie, senza mai tirarsi indietro; capace di capovolgere il senso della mitologia seppure fantastica (Morgana), di addizionare di ulteriori significati il contemporaneo in quel riproporsi in modo manifesto ma anche nascosto del rigurgito autoritario nella nostra società (Istruzioni per diventare fascisti), al rileggere (da credente), al rapporto spiritualità e genere (God Save The Queer), insomma un modo di stare al mondo è quello di Michela Murgia, un progetto esistenziale, umano e culturale che dà senso a una moltitudine di persone entrate ormai nella sua ideale famiglia queer. Lasciamoci allora inanellare dalle sue parole, quando dice: «se io inizio a scrivere senza paura e senza sapere dove andrò a finire muovo qualcosa in letteratura, anche se non ho né bussola né mappa» (2), lasciamoci prendere per mano da un prezioso volume che raccoglie i suoi pensieri ultimi, recuperi felici e fondativi, rivisitazioni o intromissioni nel già detto, nel già scritto, testi inediti e aneddoti poggiati nella disponibilità quasi confidenziale (ma invece fortemente politica, come si diceva), dove il pubblico è privato e viceversa, ovvero Ricordatemi come vi pare di recente pubblicazione per la Mondadori. Grazie alla attenzione di Beppe Cottafavi, già editor del precedente romanzo Tre ciotole, Michela Murgia ha potuto lavorare a questa sorta di autobiografia, una lunga chiacchierata poi trascritta dove ancora ritroviamo una autrice e una intellettuale vulcanica e originalissima (di quella soglia filosofica che albergava in Susan Sontag), capace di avere lo sguardo sul mondo come pochi o poche, mantenendo la vivacità di un lavoro di memoria orale, uno spaccato sociale e umano che riguarda la nostra storia. Un libro fondamentale, resistente.
Note:
1) Michela Murgia, Ricordatemi come vi pare, Mondadori, Milano, 2024, p.199.
2) Ibidem, p.189.
Michela Murgia, Ricordatemi come vi pare, Mondadori, Milano, 2024, pp.322, euro 19,50.