“Molto rumore per nulla”. Sembrava una farsa, invece… di Alessandra Bernocco

Foto di Pino Le Pera

Non sempre la percezione in atto di uno spettacolo coincide con il giudizio maturato alla fine. Raccontarlo come una soggettiva, dando voce alle impressioni che ha prodotto in chi scrive mentre vi stava assistendo, significa collocarsi in quella zona ibrida tra critica cosiddetta e libera fruizione.
Questo per dire che dopo le prime battute di Molto rumore per nulla, diretto da Veronica Cruciani, che ha debuttato giovedì 25 luglio al Teatro Romano di Verona, ho provato un velato fastidio. Personaggi ipercaratterizzati nei gesti, nella pronuncia difettosa, nelle camminate. E poi monopattini, sneakers, bottiglie di birra, sedie a sdraio da spiaggia dove sfogliare un rotocalco qualsiasi, forse anche cuffie alle orecchie. Macchiette che mi hanno fatto pensare all’ennesima strumentalizzazione del Bardo per fare cassa con lo spettacolo estivo, che strizza l’occhio a chi si vuol divertire, plaudendo e ridendo senza troppo sottilizzare.
Invece no. A parte il fatto che ho cominciato a ridere anch’io. Tirata dentro una macchina scenica che ha rivelato ritmi serrati e tempi scanditi come ci fosse il metronomo.
Si è capito in fretta che c’era a monte un disegno preciso, una mano registica sicura, che sapeva dove andare a parare insieme a una compagnia che ne condivideva gli intenti. Non saprei dire che cosa, precisamente, mi ha catturata, ma le caratterizzazioni, invece di infastidirmi, mi sono via via sembrate plausibili, funzionali, sempre meno macchiette.

Foto di Pino Le Pera

Iperboli, casomai, di caratteri e situazioni che Shakespeare consegna già chiaramente scolpite, contenitori linguistici rigorosissimi, da abitare dopo averli accuratamente esplorati, dopo avere stabilito con ognuno di essi la giusta confidenza. Una sorta di comodato d’uso, con cauzione, restituita al locatario con tanto di interesse.  Insomma, una volta capito con chi hai a che fare, che sia Benedetto, Beatrice, Claudio, Ero, i vari Don e le diverse dame, amiche, cugine, mogli in carica o spose promesse, poliziotti ottusi e commissari smargiassi, untuosamente inclini a incassare la mancia, puoi anche osare, puoi spingere il pedale della commedia e divertirti a cavalcare equivoci, scambi di ruolo, travestimenti, isterie, svenevolezze, risate sfrontate, intrighi, complotti, congiure e provvidenziali rivelazioni. Puoi, soprattutto se hai ben chiaro, fin dall’inizio, che questa commedia, di pochi anni successiva al Sogno di una notte di mezza estate, soltanto commedia non è.
Del Sogno, Molto rumore per nulla mantiene il duplice rapporto di coppia, gli incroci, i ricongiungimenti, ma qui non siamo nel bosco incantato in un tempo sospeso, ma in una città definita, Messina, benché in questo spettacolo non ci siano riferimenti diretti. Una cornice mondana, più comica e meno poetica, dove il tocco della bacchetta di Puck è rimesso all’intervento strategico di uno zio titolato, arrivato con scorta dall’Aragona, un benefattore né intelligentissimo né dispettoso, anch’egli vittima dei tranelli orditi da chi rema contro. Qui l’onirico e il mito lasciano il posto a una prosaica vita reale, fatta di personaggi che ben si prestano per raccontare gli inganni e gli autoinganni d’amore e non soltanto d’amore.
Per raccontare, appunto. Quanto si è indifesi di fronte all’amore. Quanto si è sprovveduti, tontoloni, ridicoli. Quante balle si mettono insieme per un po’ di stupido orgoglio. E quante inutili maschere ci ritroviamo a indossare. Ma i sentimenti sinceri trapelano sempre oltre la maschera. Per questo non occorre interrogare la traditrice presunta: se lei è innocente si capirà dal rossore sul viso. Né occorre perseguitare colui che per errore l’ha ripudiata: se è innamorato si capirà dal suo pentimento.  Quanto è bella la lealtà e disgustosa la calunnia. Quanto è amabile colui che gode a propiziare le unioni d’amore, le belle amicizie, i legami virtuosi, e quanto invece ci sta sulle scatole colui che ne soffre, che li minaccia e li erode, scrutandoli livido di livore e di invidia.
Non è poco che uno spettacolo dove si ride e si parteggia, sfiori allegramente questi motivi, lasciandoci in pace con questa considerazione: quanto è miope, meschino, infelice colui o colei che nel divide et impera cerca una zattera per non affondare.
Si finisce in manette, come il pavido Don Juan che si era dato alla macchia, mentre gli altri festeggiavano finalmente le unioni.

Foto di Pino Le Pera

Il lieto fine assicurato passa, come sappiamo, da una finta morte annunciata, banco di prova in forma di lapide suggerito da un celebrante che ci vede lontano. (D’altra parte, ai preti Shakespeare riserva spesso un certo talento, basti pensare all’animo corruttibile di frate Lorenzo in Romeo e Giulietta).
Qui, nel momento in cui la morte si fa finzione, cioè quando il rischio farsa è più alto, assistiamo a una felice virata di registro, anche recitativo, verso una verità del cuore che chiede conto dei sentimenti. Senza deriderli. Si recita la verità della morte, che proprio perché è fittizia, deve essere credibile e colpire nel segno.
La scena, cambiata a vista dagli stessi attori, si spoglia delle ghirlande di rose e diventa lugubre e stilizzata. La tensione scema e la frenesia si placa. Il ritmo rallenta fino a cristallizzarsi. Luci fredde, rumore di pioggia e rombi di tuono. Funerea processione con ombrelli tutti uguali che nascondono i volti. Amore e morte.
I caratteri si sono ricomposti, la verità è venuta a galla, gli intrighi stanno per sciogliersi e anche l’esasperazione non ha più ragione di essere. Resiste come divertita citazione d’autore nella schermaglia finale tra Benedetto e Beatrice, i due veri duellanti per passione e per gioco, ma è perché “siamo troppo intelligenti per amarci senza litigare”.
La compagnia si è confermata solida e affiatatissima e tutti meritano di essere citati: Sara Putignano e Lodo Guenzi, sono Beatrice e Benedetto; Lorenzo Parrotto e Romina Colbasso, Claudio ed Ero; Paolo Mazzarelli è Don Pedro d’Aragona; Marco Quaglia è Don John; Francesco Migliaccio è Leonato; Marta Malvestiti ha il doppio ruolo di Antonia e Margherita; Davide Falbo è Borraccia; Andrea Monno è Sanguinello e Corrado; Gianluca Pantaleo è Crescione, il frate e Baldassarre.

Foto di Pino Le Pera

Molto rumore per nulla

di William Shakespeare
adattamento Veronica Cruciani e Margherita Laera
traduzione Margherita Laera
luci Gianni Staropoli
scene Anna Varaldo
costumi Erika Carretta
musiche Nicolò Carnesi
canzoni Lodo Guenzi e Nicolò Carnesi
movement coach Marta Ciappina e Norman Quaglierini.
Lo spettacolo è prodotto da Valerio Santoro per La Pirandelliana e TSV – Teatro Nazionale
in collaborazione con Comune di Verona – Estate Teatrale Veronese.
Teatro Romano, Verona, 25 e 26 luglio 2024.

Tournée:
Teatro Goldoni, Bagnacavallo (RA), 2 e 3 novembre 2024
Teatro Del Monaco, Treviso, dal 7 al 10 novembre 2024.