Mi sono sempre chiesto se, quando Ovidio scrisse le Metamorfosi, avesse mai immaginato che la sua storia dedicata all’artista innamorato della statua da lui scolpita, sarebbe riuscita ad attraversare il tempo per tramutarsi in un’opera musicale. Una storia semplice, dove l’amore, sincero, per un “oggetto” tramuta quest’ultimo in un essere senziente (e consenziente).
Storia un po’ diversa quella del Nobel George Bernard Shaw: non è di marmo l’essere da plasmare, ma una donna. Donnabruco da trasformare in donnafarfalla. Una farfalla però che coinvolge ma non stravolge il suo educatore, troppo lontano dal quotidiano e subalterno alla figura materna. Nel racconto Eliza preferisce sposare il giovane Freddy, forse uomo non brillante, ma limpido nella passione dei suoi sentimenti per lei.
Ancora più da “analisi” il plot del musical. Qui si lascia la porta aperta ad un possibile lieto fine fra Higgins e Eliza. Il gioco delle pantofole racconta, infatti, quanto sia forte il legame dell’uomo verso le comodità della “casa materna”, abitudini prioritarie anche all’attrazione che l’uomo prova verso la giovane fioraia la quale, in questo caso, sembra essere amorevolmente disposta ad accettare un ruolo di “comprimaria”.
Ancor oltre si va nell’adattamento italiano – realizzato da Vincenzo Incenzo, con la regia di A.J. Weissbard – dove si propone la giovane Doolittle come una ragazza alla ricerca della propria autonomia e identità. Un momento di riflessione sull’evoluzione sociale e culturale femminile di tutti i tempi e di tutte le epoche.
Nell’excursus, a ritroso, per quello che è stata definito “il musical perfetto” (composto con richiami agli stilemi dell’Opera tanto da poter essere realizzato, nel 2018 con la regia di Paul Curran, in uno dei templi della lirica mondiale: il San Carlo di Napoli), vorrei citare la prima versione italiana che si ebbe a cura di Suso Cecchi D’Amico assieme a Fedele D’Amico per le canzoni, con la regia di Sven Aage Larsen. La proposta del 1963 vide in scena Delia Scala assieme a Gianrico Tedeschi e Mario Carotenuto, un trio a dir poco eccezionale.
All’estero, se il 1964 è l’anno in cui uscì la pluripremiata pellicola con Audrey Hepburn, fu il marzo del 1956 a vedere il debutto del musical al Mark Hellinger Theatre di New York che riscosse un immediato e travolgente successo anche grazie alla bravura della ventenne Julie Andrews.
La genesi dello spettacolo risultò travagliata. Il testo della commedia originale di Shaw, Pygmalion del 1912, ebbe già nel 1938 e sotto la diretta supervisione dello scrittore, una trasposizione cinematografica con la regia di Anthony Asquith e Leslie Howard. La narrazione filmica, a differenza del plot teatrale, rendeva possibile un avvicinamento amoroso tra i protagonisti (elemento che poi ritroveremo nel finale del musical). My Fair Lady così come lo conosciamo nasce, dopo vari tentativi falliti sia per problemi legati ai diritti d’autore sia per la poca compatibilità del testo alle regole compositive dei musical, soltanto all’inizio del 1956 quando Lerner e Loewe completarono il progetto avviato alcuni anni prima della morte di Shaw avvenuta nel 1950.
La versione di My Fair Lady ora al Teatro Sistina di Roma ha tutto il fascino e la cura di un’opera moderna. Compiuta, ricca nella sua visione globale, seppure “asciutta” nella struttura scenografica. Sicuramente un lavoro di ricerca con una visione chiara del quadro di insieme che il regista, A.J. Weissbard, vuole trasmettere allo spettatore. Una regia non “replica” che spicca per le singolarità delle scelte nella messa in scena.
Interessante l’idea di assegnare, ai vari dialetti londinesi, delle cadenze “centro appenniniche” per “connotare” gli attori, differenziandoli nei linguaggi. In particolare, l’Autieri nell’interpretazione ricorda la macchietta creata dalla grande Bice Valori per Eusebia di Rugantino nella scena dei “cavalli che avevano ben mangiato”.
I costumi di Silvia Frattolillo impreziosiscono gli attori senza distinzioni tra ruoli principali o meno offrendo una precisa prospettiva su ogni personaggio.
Spettacolari le coreografie create da Gianni Santucci che, per modernità e complessità, otterrebbero consensi anche in musical ideati e sviluppati in tempi più recenti.
D’impatto gli arrangiamenti musicali di Enzo Campagnoli (l’assenza di una orchestra dal vivo, tuttavia, è molto penalizzante).
Le scenografie e l’illuminotecnica sono state ideate dallo stesso regista. Si tratta, senza dubbio, di scelte coerenti e funzionali alla narrazione (interessante il fondo “nudo” del Sistina con illuminazione radente che ricorda aree cittadine degradate). Da segnalare, però, il tempo impiegato per la sostituzione degli arredi e dei fondali è decisamente eccessivo. Lo spettacolo, infatti, a causa del movimento delle scenografie, basato principalmente su piattaforme con ruote e pannelli discendenti, risulta lento. Chi assiste ha la sensazione di vivere un “blackout” narrativo che, in alcuni casi, supera abbondantemente il minuto. Probabilmente, soluzioni alternative, potrebbero accorciare lo spettacolo di 15/20 minuti (cosa non sgradita visto che il tempo scenico è di circa tre ore).
Per quanto concerne il cast, ciò che più emoziona sono i gruppi di insieme; una coralità di performers che rendono viva, reale, tutta la costruzione narrativa. Un “bravissimi”, perciò, a: Mirko Basile, Francesco Boschiazzo, Vincenza Brini, Irene Cedroni, Roxy Colace, Cristina Da Villanova, Marco Di Nunno, Daniele Derogatis, Michele Enrico, Anna Gargiulo, Pamela Giannini, Sofia Marmorini, Sofia Caselli Musimeci, Nadia Perciabosco, Pietro Rebora, Alessandro Scavello, Ciali Sposato, Gianluigi Surra.
Tra gli interpreti principali, ovviamente, spicca Serena Autieri. È evidente che lo spettacolo è costruito sulla sua personalità e sulle sue capacità artistiche. Voce stupenda, recitazione precisa e attrice concentrata nella parte, anche nella serata della prima, cui ho assistito, dove non sono mancati gli imprevisti.
Ottima la prova in Aspetta e vedrai (Just You Wait) e Avrei danzato tutta la notte (I Could Have Danced All Night) e, assieme a Ivan Castiglione e Manlio Dovì, in The Rain In Spain divenuta, in questa versione, I Nevai dei Pirenei (i titoli in italiano delle canzoni sono mia arbitraria traduzione).
Luca Bacci (Freddy) è la voce maschile che più mi ha convinto pur avendo poco spazio complessivo. Ottima l’interpretazione di Nella Strada Dove Vivi (On The Street Where You Live). Clara Galante (signora Pearce) ha un ruolo di incarnazione di un cartone animato. È una signorina Rottenmeier di Heidi perfetta. Istitutrice severa ma dal cuore d’oro. Gianfranco Phino (Alfred, padre di Eliza) ha il ruolo del buffo dell’Opera. Molto piacevole nel brano Un pizzico di fortuna (With A Little Bit of Luck). Ivan Castiglione (Professor Higgins) e Manlio Dovì (Colonnello Pickering) hanno confermato le loro grandi capacità attoriali risultando particolarmente gradevoli in Lo hai fatto! (You Did It!). In scena, nei duetti comici, si è avuta la sensazione che i due dovessero ancora affiatarsi un poco, ma nulla che non si possa imputare all’ “effetto prima”. Una nota su Fioretta Mari, in carrozzella sia per scelta registica che a seguito di un incidente domestico. Cosa dire? Una grande attrice trova sempre un modo elegante – e non banale – di “riempire” la scena.
May Fair Lady
di Lerner and Loewe
libretto e liriche Alan Jay Lerner
musiche Frederick Loewe
adattamento di Pigmalione di George Bernard Show e dal film di Gabriel Pascal
produzione originale Moss Hart
adattamento italiano Vincenzo Incenzo
con Serena Autieri e Ivan Castiglione, Manlio Dovì, Gianfranco Phino, Clara Galante, Luca Bacci e la partecipazione straordinaria di Fioretta Mari
e con, in ordine alfabetico: Mirko Basile, Francesco Boschiazzo, Vincenza Brini, Irene Cedroni, Roxy Colace, Cristina Da Villanova, Marco Di Nunno, Daniele Derogatis, Michele Enrico, Anna Gargiulo, Pamela Giannini, Sofia Marmorini, Sofia Caselli Musimeci, Nadia Perciabosco, Pietro Rebora, Alessandro Scavello, Ciali Sposato, Gianluigi Surra.
regia e design A.J. Weissbard
direzione musicale Enzo Campagnoli
costumi Silvia Frattolillo
coreografie Gianni Santucci
Rely produzioni.
Teatro Sistina, Roma, fino al 26 novembre 2023.