È stato un festival dirompente, un’oasi di “normalità” in questi tempi dominati da distanziamento sociale, incertezza per il futuro e impossibilità di programmare il domani. La prima edizione del Narni Città Teatro, svoltosi dal 2 al 4 ottobre scorso, è stata una scommessa che gli organizzatori e menti visionarie di Lunga Vita Festival ovvero Ilaria Ceci e Davide Sacco assieme al Comune di Narni hanno vinto senza riserve, mettendo al centro la bellezza.
«Perché di teatro e di bellezza vorremmo riempire ogni angolo della nostra città», aveva affermato l’Assessore alla Cultura Lorenzo Lucarelli, lo stesso che a conclusione della kermesse ha dichiarato: «Fare un festival di teatro in piena pandemia è stata una cosa dirompente». Ed è stato proprio così: una marea dirompente di emozioni e di vita ha letteralmente invaso la città di Narni, centro geografico d’Italia, e per 3 giorni centro di idee e vivacità che dimostra come si possa avere una visione anche in questo periodo buio. E la luce che ha attraversato ogni angolo della città umbra ha illuminato i più di 2.000 spettatori che, con passione, hanno preso parte ai 20 eventi in calendario.
Sin dall’alba, istante magico che ha visto un ispirato e sempre denso Moni Ovadia narrare alle prime luci del giorno quel momento straordinario in cui un uomo incontra un altro uomo, e intorno al fuoco, raccontando una favola, fa nascere la magia del teatro, e quindi la comunità. Una comunità di cui si ha sempre più bisogno per combattere le varie forme di barbarie che affliggono il nostro tempo. Un respiro solo ha accomunato noi spettatori di Nascita che, mentre albeggiava, ci riscoprivamo uniti ad ascoltare una storia, a condividere una parte delle nostre vite e, nello stesso tempo, a crearne una completamente nuova.
Del resto il sottotitolo di Narni Città Teatro è stato appunto Nascita proprio perché come esplicitato dal direttore artistico Davide Sacco «si nasce sempre ogni giorno, di momento in momento, si nasce in ogni persona che incontriamo, si rinasce, ogni volta che la abbandoniamo. Nascono le speranze quando veniamo sconfitti, nascono le sconfitte, quando non abbiamo più speranze. Nasce un mondo, nasce un tempo, nasce il teatro».
Tra gli spettacoli anche Se questo è Levi performance itinerante sull’opera di Primo Levi, Premio speciale Ubu 2019, diretto da Luigi de Angelis e interpretato da Andrea Argentieri che indossa i panni dello scrittore con una naturalezza fuori dal comune. Sono tante le domande che vengono poste: chi sarebbe stato Levi senza il lager? Perché questa atrocità è avvenuta? Perché i tedeschi odiavano gli ebrei? E perché non si parla mai dei lager sovietici? E ancora, il Levi più intimo che parla di religione e di come la preghiera possa essere vista come un rito funebre per se stessi. E poi il pensiero della morte, per chi con la morte ha convissuto durante la prigionia nel campo di concentramento, che diventa però un non-pensiero per la sua totale incompatibilità con la vita. In ognuna delle tre parti in cui è suddivisa questa maratona teatrale – Se questo è un uomo, Il sistema periodico e I sommersi e i salvati – arriva la forza di questa esperienza mille volte ascoltata ma che mai si dovrebbe dimenticare. E che il teatro con la sua energia riesce come sempre a comunicare.
Il fare comunità, la partecipazione sociale è il filo conduttore del festival tutto che invita a riflettere anche su cosa i social rappresentano oggi e di come possano sequestrare le nostre vite, prendendosi la nostra quotidianità, pezzo per pezzo nella rincorsa costante alla condivisione da dietro lo schermo di uno smartphone. È quanto attraversa Rapimenti l’interessante progetto speciale di Raffaele La Pegna che rapisce due spettatori alla volta sequestrando i cellulari e, di fatto, immobilizzandoli nella solitudine del no social. Una riflessione sul tempo che diventa riflessione su noi stessi e sulle nostre esistenze spese a rincorrere un like, un follow o una story perdendo di vista il momento presente. Il valore del tempo, la sua importanza, il nostro rapporto con gli altri e con noi stessi ci viene buttato in faccia con forza, spingendoci a una riflessione non scontata.
La stessa che accompagna la visione di Segnale d’allarme – La mia battaglia VR uno dei primi esperimenti mondiali di teatro in realtà virtuale realizzato da Elio Germano e Omar Rashid. Indossando un visore si può assistere alla trasposizione in 3D dello spettacolo teatrale La mia Battaglia che Germano ha portato in giro per i teatri d’Italia. Nel serrato monologo che l’attore porta avanti gradualmente scopriamo che abbiamo perso il senso di comunità, un sentimento che va ritrovato per non ricadere nei fenomeni di xenofobia e razzismo.
A chiudere i 3 giorni di festival L’ombra della sera di Alessandro Serra che trasporta noi spettatori in una dimensione altra, onirica e leggera, in un abbraccio soave e poetico che ricongiunge chi guarda alla bellezza con la b maiuscola. L’esile e nervosa Chiara Michelini danza con leggiadria con movimenti gentili ma potenti raccontando l’universo di Alberto Giacometti attraverso le tre donne della sua vita: la madre Annetta, la moglie Annette e la prostituta Caroline. Tre figure femminili che la Michelini accompagna sul palco nella loro complessità su un tappeto di musiche dolenti e trascinanti, capaci di infiammare anima e cuore, componendo ritratti di cui Giacometti sarebbe orgoglioso perché respirano di vita.
Narni Città Teatro è stato dunque una festa, proprio come nelle intenzioni del direttore artistico che pensa già alla prossima edizione: «La città aspetterà questa festa come si aspetta un parente, un amico che viene da lontano, qualcuno che per un anno ti è mancato. Siamo in un momento storico in cui non possiamo più progettare nulla e sapere che una nuova edizione è possibile e che tra sei mesi questa “cosa” sarà qui con noi, è come una vera e propria coperta di Linus. Così come è importante che qualcuno sappia raccontare le favole, è importante che un altro le sappia ascoltare».
E Narni lo ha fatto e lo farà. Una città che sa ascoltare e che, accogliendo, si aprirà anche all’estero perché la prossima edizione, che avrà come sottotitolo La caduta («Quando un bambino impara a camminare inevitabilmente cade, ma quella caduta sarà fondamentale per poi riuscire a camminare da solo» sostiene Sacco), avrà un respiro internazionale. Inoltre metterà insieme artisti, urbanisti, poeti, architetti, per pensare alla città urbana del domani. E, di certo, anche a un teatro del domani.