
Da giovedì 6 marzo (e fino a sabato 8 marzo), sarà in scena al Teatro Tor Bella Monaca di Roma Nives.
Lo spettacolo, tratto dall’omonimo romanzo (pubblicato per Edizioni e/o) dell’autore toscano Sacha Naspini, narra la storia di Nives la quale, dopo la fulminea morte del marito Anteo, si ritrova a convivere con la sua gallina preferita Giacomina.
Tutto sembra procedere regolarmente sino a quando una sera Giacomina, accoccolata sul divano al posto del compianto defunto, resta ipnotizzata davanti alla Tv. La gallina non si sveglia più e alla donna non resta che contattare il veterinario del paese.
Inizia così una telefonata “lunga una vita” dove ricordi, sospetti, gelosie, rivelazioni inattese e amori segreti si intersecano tra di essi, svelando via via il vissuto dei protagonisti, interpretati da Sara Donzelli e Sergio Sgrilli. Diretti da Giorgio Zorcù dell’Accademia Mutamenti (www.accademiamutamenti.it) che ha collaborato con il dramaturg Riccardo Fazi dei Muta Imago (www.mutaimago.com), autore dell’adattamento del romanzo per la scena, i due attori si sforzano di mettere insieme i tasselli di un’esistenza sconosciuta persino a loro stessi.
Le parole non servono più. Restano appese al filo del telefono e ogni verità ne cela un’altra come in un gioco di specchi. Ed è, infatti, uno specchio al centro del lungo tavolo a segnare la cesura netta di qualsivoglia possibilità di riconoscersi l’uno nell’altra.
1) Da che cosa è scaturita la scelta di rappresentare il romanzo Nives dello scrittore contemporaneo Sacha Naspini?
La scelta iniziale è stata dell’attrice Sara Donzelli. È rimasta folgorata dalla prima lettura del romanzo, soprattutto per una certa immedesimazione nel personaggio principale di Nives: una donna che in età avanzata fa i conti con la propria vita, e che ha origini contadine. Quando me lo ha fatto leggere sono rimasto sorpreso dalla scrittura scattante, che, come in un giallo, non ti molla pagina dopo pagina, dalla drammaticità piena di ironia e umorismo, e dal “mezzo” attraverso cui si svolge tutta l’azione: il telefono.
Abbiamo deciso di “testare” il romanzo facendone una riduzione per un reading, che ha avuto un successo inaspettato. In effetti il romanzo tocca corde profonde e universali, e lo dimostra anche il suo successo editoriale e il grande numero delle sue traduzioni: 25, e non solo in lingue “occidentali” ma anche in arabo e cinese. Abbiamo quindi deciso di passare alla messa in scena vera e propria.

2) Il dialogo serrato tra i due protagonisti, Nives e Loriano, che l’autore grossetano condensa in una lunga telefonata notturna dal ritmo serrato, sicuramente ben si adatta alla scena. Quale è stata la “visione” al centro del processo creativo della messinscena?
In realtà nella prima fase di lavoro è emersa una contraddizione molto forte: da una parte è vero che appariva quasi naturale una messa in scena, dall’altra si presentava una vera e propria sfida teatrale, perché nel testo non c’erano azioni, ma solo il ricordo di azioni, e questo rendeva il compito della regia e degli attori molto complicato.
La “visione” che ha fatto scattare tutto il resto dell’impianto drammaturgico e registico è stata quella di creare come contesto uno studio di registrazione radiofonico: un grande tavolo che unisce idealmente le due stanze lontane, diviso a metà da uno specchio; due microfoni di precisione che pendono dall’alto, su carrucole, e che consentono lo spostamento dei due protagonisti nelle loro stanze, come – appunto – quando si fa una telefonata importante e “agitata”. E loro due le uniche figurine realistiche, in vestaglia da notte e ciabatte. E il pubblico che ascolta in cuffia.
3) Riccardo Fazi è il dramaturg di Nives. Che tipo di relazione si è istituita tra drammaturgia e regia? Quanto si è intrecciato il percorso dei Muta Imago con quello dell’Accademia Mutamenti?
Con Claudia (Sorace, N.d.R.) e Riccardo c’è una relazione artistica iniziata più di dieci anni fa, quando collaborarono con noi alla creazione di La stanza del tramonto di Lina Prosa.
Ho sempre apprezzato la poesia scenica del loro teatro, e per questo spettacolo in cui la sonorità della telefonia era protagonista ho subito pensato di coinvolgere Riccardo, per le sue doti di drammaturgo, di sound designer e di sperimentatore di nuove frontiere della radiofonia. Quindi i due aspetti della riduzione teatrale del testo, per estrarre il succo del dialogo dei due protagonisti – poi proseguito con il lavoro degli attori in scena – e quello dell’ideazione di un piano di regia e di uno spazio scenico di riferimento sono andati di pari passo. In un dialogo creativo che da subito ha coinvolto anche gli attori.
4) L’opera narrativa di partenza è avvolta dalle atmosfere e dall’universo della Maremma, un luogo caro a Sacha Naspini e non solo. Lei stesso è originario del capoluogo toscano; l’Accademia Mutamenti ha una delle sue sedi a Grosseto; l’attrice che presta la voce fuori campo è Elena Guerrini.
Quanto dell’eco di quel mondo contadino particolarmente caro a Carlo Cassola, Luciano Bianciardi e Federigo Tozzi risuona nello spettacolo?
La grandezza della scrittura di Naspini è nel partire dalle origini contadine e maremmane per poi scavare nel non detto, nel nascosto, anche nel terribile, e restituirlo in una lingua che non cede nulla al dialetto o al localismo. Quindi della Maremma restano sì certi modi di dire e gli ambienti – la tenuta di Poggio Corbello, il piccolo paese – ma potrebbero appartenere a qualunque parte del mondo.
E qui sta la cifra che rende questo testo universale. Quello che si dicono Nives e Loriano nella lunga telefonata notturna se lo potrebbero dire anche due loro coetanei della periferia di Shangai. La nostra Nives è un’attrice milanese, e in effetti in questo testo risuona più La vita agra metropolitana di Bianciardi che gli ambienti contadini di Cassola o Tozzi.

5) In Nives, passato, presente e futuro si intrecciano nell’arco temporale della telefonata.
Nives e Loriano si risentono dopo molti anni per un buffo pretesto: l’imbambola mento improvviso davanti alla TV di Giacomina, la gallina – bruttarella e zoppa – che la donna ha eletto come sua amica e confidente dopo la morte del marito Anteo.
I due attori, Sara Donzelli e Sergio Sgrilli, come hanno cucito la fisionomia dei personaggi nel passaggio dalla dimensione individuale delle loro esistenze a quella collettiva della comunità di Poggio Corbello che fa da sfondo alla narrazione?
Ci sono stati percorsi diversi nei due attori. L’adesione iniziale di Sara al personaggio femminile di Nives, e le sue origini contadine, sono state l’humus principale di ricerca artistica, in un percorso di attrice-autrice che le è abituale e in cui è maestra. Diverso è stato l’approccio di Sergio Sgrilli, che da attore comico abituato all’assenza della quarta parete si è dovuto misurare con un ruolo drammatico. Con un risultato per me straordinario, che ha avuto anche l’effetto di esaltare gli aspetti comici e ironici presenti nel testo.
Ma il processo artistico più sorprendente è stato quello determinato dall’uso dei microfoni radiofonici e dall’ascolto in cuffia: hanno acquistato valore e spessore i sussurrati, i sospiri, che hanno dato spessore, presenza, intimità a tutta la performance. Caratteristiche che si sono mantenute anche nella successiva evoluzione dello spettacolo, con l’ascolto da normali diffusori acustici, e che ci ha convinto a mantenere le due versioni, scegliendo di volta in volta a seconda della sala e del contesto.
