Conversazione con Fabrizio Arcuri
Oltre alla quantità dei titoli in scaletta, che sono davvero molti e diversificati in teatro, danza, musica, installazioni, performance, progetti in residenza, nel programma 2018 di Short Theatre (dal 5 al 15 settembre 2018 in diversi spazi della capitale) colpisce la qualità di uno scenario creativo che, con forti stimoli internazionali, sa intercettare le dinamiche più interessanti del contemporaneo, suggerendo un sempre maggiore assottigliamento dei confini espressivi e della cesura tra interpreti e attanti, finzione e realtà, spazio dell’azione e spazio della visione.
Giunta alla tredicesima edizione, la consolidata vetrina romana (www.shorttheatre.org) si conferma uno degli appuntamenti più significativi del panorama festivaliero italiano e un serbatoio di novità, stimoli, intuizioni, prospettive destinato senza dubbio a lasciare il segno. Alla voce “teatro” del suo composito calendario figurano, per esempio, nomi affermati della nostra scena come Muta Imago, Fortebraccio Teatro, Teatro Sotterraneo, Babilonia Teatro, Chiara Castellucci e Chiara Guidi, Emanuele Serra, VicoQuartoMazzini. Altrettanto emblematiche sono tuttavia le presenze estere che trovano nel portoghese Tiago Rodrigues (direttore del Tearo Nacional D. Maria II di Lisbona ma soprattutto autore e regista noto per il suo linguaggio sovversivo) un ganglio nevralgico non solo in termini artistici (assai atteso il debutto, in prima nazionale, della performance António e Cleópatra), ma anche pedagogico visto che, oltre a guidare una masterclass gratuita aperta al pubblico, sarà proprio lui a inaugurare Short 2018 con l’esito finale dell’École Des Maîtres.
Ai giovani attori internazionali che rappresentano il cuore di questo ben noto progetto di Franco Quadri fanno da degno complemento i giovani autori europei protagonisti del progetto Fabulamundi Playwriting Europe (www.fabulamundi.eu/en/), giunto anch’esso al suo esito finale con un focus sulla drammaturgia rumena. Mentre, tra le novità della rassegna, spunta un nuovo contenitore di sinergie creative dedicato alla scena romana (Panorama Roma). E siamo ancora ad una piccola fetta dell’ampio bouquet di eventi. Eventi che guardano al futuro e al domani con coraggiosa fiducia, non tanto per tracciare possibili scenari utopistici quanto per proporre realisticamente linguaggi e contenuti capaci di rappresentare un nuovo mondo. L’indicazione arriva già nel titolo. Come ci spiega il direttore artistico, Fabrizio Arcuri.
Provocare realtà. Come va interpretato questo titolo così emblematico?
Il titolo di quest’anno emerge dalla sintesi dei contenuti degli spettacoli che ospitiamo e/o produciamo. Pur con una naturale (e vitale) diversità di linguaggi e approcci, essi esprimono tutti l’idea del desiderio, del tentativo di superare la realtà affrontando direttamente le cose di cui non siamo a conoscenza. Allontanato il dispositivo della paura del futuro, gli spettacoli in scaletta cominciano ad introdurre, al di là della denuncia, una costruzione di prospettiva che è in grado di “generare”, di far nascere la realtà. Ciò ci rimanda proprio allo strano ossimoro implicito nel termine “provocare”, che significa sì chiamare fuori, dunque guardare la realtà e interrogarla, ma anche e soprattutto originare una nuova realtà, costruirla.
Vi si rintraccia dunque un alone di ottimismo, cosa che di questi tempi fa ben sperare. Sei d’accordo?
Sì, in linea generale, i lavori di Short 2018 mostrano tutti un approccio assolutamente positivo, sostenuto dalla convinzione di poter agire nella società e nel mondo. Non aspirano a interpretare ciò che è successo, i motivi e i danni della crisi attuale… Bensì ci si chiede: noi che possiamo fare? Mi sembra un’ottica molto interessante perché si innesca su una dinamica di tutela e di salvaguardia.
Questa intenzione di “provocare” realtà come si traduce a livello formale?
Ovviamente Provocare realtà implica che i dispositivi creativi si predispongano ad un ingresso del reale nel loro stesso corpo. La gente comune entra nel lavoro. Partecipa alla sua creazione. Sta in scena. In alcuni casi ciò avviene in maniera assai esplicita (basti pensare a Gala del coreografo francese Jérôme Bel, in scaletta l’8 e il 9 all’Argentina, dove danzatori professionisti condividono il palcoscenico con ballerini dilettanti, ndr), in altri meno. Ma questo filo conduttore è dentro tutti gli eventi previsti, dentro tutti i dispositivi messi in campo.
Visto che parliamo di concetti trasversali, come riassumeresti le linee comuni del programma teatrale di questa tredicesima edizione?
In modo molto sintetico potrei dire che il cartellone teatrale ci presenta, in forme ovviamente assai differenti tra loro, una messa in discussione del punto di vista e del pensiero unici. Sono lavori, cioè, che ci aiutano a comprendere tutto quello che stiamo lasciando fuori. Mi spiego meglio: immaginiamo di trovarci all’interno dell’inquadratura di una fotografia che rappresenti il nostro momento attuale (ciò che succede in Italia, in Europa, nel mondo, quanto leggiamo sui giornali, le notizie che ogni giorno ci bombardano…) e che ci si voglia interrogare su cosa stiamo lasciando fuori da tale inquadratura. Questa idea si regge su una “costruzione” (dunque, su una volontà di futuro) perché ci accorgiamo di desiderare delle cose diverse da quelle che stanno dentro quella stessa foto. Ad esempio in Oblivion la performer di Sarah Vanhee, rivelazione delle ultime edizioni del Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles, ci presenta una raccolta di tutti i rifiuti, gli oggetti, le cose di cui ci liberiamo quotidianamente: un bottino di scarti che l’artista ha scrupolosamente conservato e di cui si disfa in scena. Ma potrei citare anche Juan Dominguez che, in Between what is no longer and what is not yet (Tra ciò che non esiste più e ciò che non esiste ancora), si concentra su quale spazio si apra quando è finito qualcosa. Il pensiero dove va? Quali sono le priorità? Da cosa si ricomincia? Interrogativi molto interessanti perché si tratta sempre di fluttuazioni, di passaggi.
Al centro di questi confini labili tra ciò che inizia e ciò che finisce c’è anche l’occidente stesso?
Certamente. Assai significativo in tal senso è António e Cleópatra di Rodrigues, lavoro che ci rimanda un’immagine forte di incontro tra oriente e occidente prendendo a pretesto una storia d’amore mutuata da Shakespeare e da una certa cinematografia hollywoodiana che nella realtà, lo sappiamo bene, non è mai avvenuta,
Quest’anno la rassegna ospita anche la fase conclusiva del progetto di scrittura collettiva Fabulamundi Playwriting Europe. Cosa puoi dirci a riguardo?
Il progetto termina con uno zoom su due autori rumeni, Bogdan Georgescu e Mihaela Michailov, che sono stati in residenza da noi e che hanno incontrato le comunità rumene di Roma per poi creare due testi (rispettivamente Hinc sunt Leonesse e Migratory Birds Fly High) che sono due prime assolute del festival. In entrambe le opere si indaga cosa voglia dire essere rumeni oggi a Roma, cosa significhi il termine “integrazione” in un tessuto sociale e cittadino come il nostro. Sarà bello assistere a questi lavori perché anche il pubblico avrà modo di mescolarsi ai protagonisti reali di queste storie. Immagino che molti dei rumeni intervistati dagli autori verranno e saranno in platea tra gli altri spettatori. Si farà comunità.
Che fisionomia hanno invece i progetti in residenza quest’anno?
Posso dire che abbiamo scelto due contenitori molto dinamici e molto diversi tra loro. Bad peace è una vera e propria radio web: una sorta di programmazione contigua rispetto a quella del festival con gruppi musicali, interviste ai protagonisti, contributi paralleli. Tutti materiali pensati per il linguaggio radiofonico. Little Fun Palace (omaggio al Fun Palace ideato nel 1961 dall’architetto Cedric Price su commissione della regista Joan Littlewood, ndr) è invece una specie di progetto “parassita”: una roulotte che si lascia abitare e attraversare da eventi di vario genere. Tra questi, per esempio, l’incontro Arab Futurism proposto dalla casa editrice Nero. In occasione della pubblicazione italiana del romanzo La fila della scrittrice egiziana Basma Abdel Aziz, si discuterà proprio e ancora una volta di occidente e oriente. In particolare l’attenzione sarà focalizzata sul rapporto tra mondo arabo, realtà animata negli ultimi tempi da una nuova scena di artisti impegnati a cambiarne il destino, e immagini futuribili,
Un libro è anche al centro del curioso evento pensato per le biblioteche di Roma. Di cosa si tratta?
Sì, in effetti suscita una certa curiosità la performance The Quiet Volume che presentiamo in alcune biblioteche capitoline in sinergia con Romaeuropa 2018. Gli ideatori, Ant Hampton e Tim Etchells, hanno immaginato due soli spettatori alla volta che, non conoscendosi, si ritroveranno seduti l’uno davanti all’altro in un tavolo di biblioteca con un libro in mano. Avranno delle cuffiette alle orecchie e attraverso ciò che verrà loro suggerito da una voce dovranno stabilire tra di loro, e con la lettura, il tipo di relazione richiesta. Mi sembra un dispositivo leggibile a più livelli e molto nuovo.
Sempre a Roma è dedicato il nuovo contenitore di Short intitolato Panorama Roma: da cosa nasce questa idea?
Essenzialmente dalla volontà di dare voce ad un nuovo spazio creativo che intende comare un vuoto. Short è sempre stato un festival che ha costruito la sua identità sul condividere e portare a Roma progetti internazionali che rinnovassero i linguaggi, facessero conoscere nuovi dispositivi, mostrassero un’identità trans-generazionale e trans-genere. Ciò, tuttavia, non ci ha fatto perdere la voglia di prendere contatto con la realtà in cui viviamo. Quindi abbiamo pensato a questo format in cui nove compagnie romane (tra le altre, Frosini/Timpano, Federica Santoro/Luca Tilli, Lacasadargilla, Bluemotion, ndr) mostrano i lavori cui stanno mettendo mano in questo periodo nella forma che più desiderano (studi, letture, mise en espace …) ad altri artisti, operatori, spettatori comuni, studiosi, così da ricucire quel territorio di scambio che purtroppo si è ormai perso. Penso a ciò che succedeva anni fa al Rialto Sant’Ambrogio: tante compagnie che provavano contemporaneamente in spazi diversi della struttura. Si creavano momenti di condivisione importanti. Da lì sono usciti artisti di calibro, riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Panorama Roma nasce proprio dalla speranza che possa riattivarsi un confronto proficuo di poetiche e strategie.
A proposito di poetiche e strategie, secondo te, come si potrebbe allievare la difficile condizione attuale dello spettacolo dal vivo italiano?
Il nuovo decreto non ha certamente sortito gli effetti sperati. Bisogna intervenire per riaprire delle possibilità che, viceversa, rimarrebbero trattenute. Non è solo una questione di economie ma appunto di strategie. Certe leggi che ci consentono di attingere ai finanziamenti pubblici, hanno così tanti paletti che rischiano di entrare nel processo creativo e forzarlo, atrofizzarlo, spegnerlo. A mio parere, servirebbe riposizionare questi paletti e trovare delle soluzioni per permettere che possa stabilirsi un dialogo realmente equilibrato tra creazione, strategie ed economie.
Short Theatre 13° Edizione
Provocare Realtà
Roma, 5-15 settembre 2018
info: www.shorttheatre.org