Una folla entusiasta accoglie il suo poeta. Circa trentamila persone, assiepate sulle tribune dell’Estadio Nacional di Santiago, applaudono Pablo Neruda che a bordo della Ford Galaxy presidenziale scoperta compie il giro della pista di atletica. Emozionato e disorientato da tanto calore saluta il pubblico con il braccio destro proteso in alto. Sul campo sfilano gli studenti, la banda musicale e i lavoratori. È il doveroso tributo di un paese al suo premio Nobel.
Neruda appare raggiante e orgoglioso per il prestigioso riconoscimento internazionale, felice del nuovo corso intrapreso dal suo Paese: la via cilena al socialismo.
Tuttavia non nasconde il suo turbamento. Cattivi pensieri lo tormentano e dal palco, allestito sulle tribune dello stadio, pronuncia parole nette: «Mi sono reso conto che ci sono alcuni cileni che vogliono trascinarci a uno scontro verso una guerra civile. Io ho assistito a una guerra civile e fu una lotta crudele e dolorosa che ha segnato per sempre la mia vita e la mia poesia». Parole che suoneranno profetiche.
Scrive Neruda in una delle sue ultime poesie, Aqui me quedo: «Io non voglio la mia patria divisa né dissanguata da sette coltelli: voglio che la luce del Cile risplenda sulla casa appena costruita».
Teme per la sua patria lo stesso destino che toccò in sorte alla Spagna.
Console a Madrid, seguì con apprensione l’esplodere della guerra civile, le violenze di Francisco Franco e le atrocità che ne seguirono, rimanendo sconvolto per la perdita del grande poeta e amico Federico Garcia Lorca, fucilato dai nazionalisti. Eventi che segneranno per sempre il poeta, la cui poesia altro non era – come amava ricordare lui stesso – che l’espressione della sua partecipazione diretta all’esistenza, non solo come spettatore ma come uomo impegnato.
Solo nove mesi e sei giorni più tardi da quel discorso pubblico, l’ultimo della sua vita, un golpe militare in Cile rovescia il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, a cui segue, solo pochi giorni dopo, la morte di Neruda per un tumore alla prostata.
Con il colpo di stato dell’11 settembre 1973 e l’instaurazione della dittatura militare di Pinochet tutto è ormai perduto. È la fine di un sogno e il tramonto della rivoluzione pacifica di Salvador Allende, messa già a dura prova dalla crisi economica, dalla penuria dei generi alimentari, dagli scioperi che paralizzano il paese e dall’assedio dell’opposizione sostenuta dall’attività frenetica della Cia, che accusa il governo di voler instaurare una dittatura marxista. Emblematiche le parole pronunciate da Henry Kissinger, prima consigliere per la sicurezza nazionale e poi segretario di stato americano: «Non vedo perché sia necessario restare in attesa e guardare un paese diventare comunista a causa dell’irresponsabilità del suo stesso popolo».
Il bombardamento del palazzo presidenziale della Moneda inaugura la feroce dittatura di Pinochet con la violazione massiva dei diritti umani. Migliaia di persone scomparse, torturate nello Stadio nazionale o a Villa Grimaldi.
Un libro dello scrittore e giornalista Roberto Ippolito, Delitto Neruda. Il poeta Premio Nobel ucciso dal golpe di Pinochet scava nel passato del Cile e dei suoi fantasmi attraverso il racconto degli eventi più significativi della vita del grande poeta, in particolare del suo improvviso decesso avvenuto a dodici giorni di distanza dal golpe che depose l’amico Allende mentre era ricoverato nella Clinica Santa Maria di Santiago per un cancro alla prostata. Una morte che ancora oggi appare avvolta dal mistero.
Pablo Neruda avrebbe potuto rappresentare una minaccia per la dittatura di Pinochet, denunciando al mondo intero, con la sua voce autorevole, le atrocità compiute dai militari cileni?
Un resoconto, appassionante e puntiglioso, che inchioda il lettore fino all’ultima pagina. Un rigoroso lavoro d’inchiesta che prende le mosse da una denuncia del 2011 di Manuel Araya, all’epoca autista personale del poeta, che accusò di omicidio gli uomini della dittatura militare.
Mettendo ordine tra una mole considerevole di documenti, testimonianze, perizie mediche e atti giudiziari ed elencando sospetti circostanziati, l’autore ricostruisce tutte le tappe di un’estenuante e non ancora conclusa battaglia giudiziaria condotta alla ricerca della verità sulla morte del poeta dell’amore e dell’impegno civile tra cavilli, ostruzionismi, negazionisti del passato e fautori della rimozione.
Il mondo deve conoscere la verità sulla morte di Pablo Neruda.
Roberto Ippolito, Delitto Neruda. Il poeta Premio Nobel ucciso dal golpe di Pinochet, Chiarelettere, Milano, 2020, pp. 239, euro 17,60.