Per comprendere un film come “Povere creature” e apprezzarlo bisognerebbe tenere in considerazione due aspetti fondamentali: il primo, conoscere la mente di Lanthimos, tutte le sue destrutturazioni di concetti solidi e la trasfigurazione della natura, intesa nella sua forza primigenia. Secondo aspetto, a nostro avviso inevitabile, sarebbe non farsi condizionare dall’apparente pseudo femminismo della figura di Bella Baxter, interpretata da una portentosa Emma Stone, candidata agli Oscar 2024 come attrice protagonista.
Sarebbe troppo semplicistico e scontato un film ambientato nel periodo più moralistico della storia inglese, ovvero il Vittorianesimo (forse solo dopo Cromwell e i Puritani) e per reazione creare un personaggio che vi si ribelli.
L’unico vero riferimento al mondo femminile è la penna di Mary Shelley e del suo Frankenstein, che traslato in Bella Baxter rappresenta la scoperta e la proiezione della parte sia oscura che sublime della donna (così come nella letteratura romantica per eccellenza, in cui l’orrore umano assumeva un aspetto complementare della bellezza).
Nella creazione di un disturbante e disturbato scienziato (Willem Dafoe) Bella rappresenta oltre che un esperimento, anche un tentativo di proiettare un’idea di umanità pura, tanto da impiantare alla giovane donna suicida il cervello del suo stesso bambino mai nato.
Anche questo particolare morboso evoca un senso dell’orrore e del grottesco che rimandano al concetto di sublime, ben delineato in un’opera fondamentale nella letteratura inglese: Un’indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e Bello di Edmund Burke.
Il regista non ha scelto a caso una tale perversione, ma la ha immaginata con precisione scientifica per poi far agire la giovane resuscitata in modalità in cui tutto è completamente sconosciuto, la memoria non esiste ma sono presenti solo istinti e intuizioni.
Indubbiamente Bella Baxter è simbolo di un mondo atavico in cui l’apprendimento avviene partendo dal nulla, da una fase infantile senza nessun condizionamento e con una velocità tale da stridere con le azioni di un adulto e di un corpo perfetto ma a tratti goffo, comico.
Tutte condizioni perfettamente previste dallo scienziato, anch’egli vittima degli esperimenti paterni (interpretato da un eccellente Willem Dafoe).
Il Dottor Godwin Baxter, per Bella “God,” aveva di sicuro previsto il processo evolutivo della sua creatura ma non il nascere del suo affetto paterno.
La relazione scienziato/esperimento si interrompe nel momento in cui Bella incontra la sessualità attraverso il suo primo amante Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo, anche lui candidato agli Oscar 2024 come miglior attore non protagonista) il quale la trascinerà via alla scoperta di luoghi magnifici ma inconsapevole che il ruolo di don Giovanni impenitente crollerà senza speranze al cospetto di una donna disinteressata all’amore.
Da questo punto in poi le immagini escheriane, abbinate a una surreale animazione delle città, sono teatro di una vita sessuale intensa in cui Bella sperimenta il proprio corpo prostituendosi.
La libertà sessuale e l’autodeterminazione, simbolo di emancipazione, non ci impediscono comunque di considerare molte scene disturbanti e la domanda che ci poniamo è se la motivazione sia dovuta allo stile registico ossessivo, a tratti occlusivo, che tutti conosciamo o a una forzata delineazione subdolamente femminista.
Successivamente alla Bella dai liberi costumi, appare anche quella “intellettuale” che scopre con grande gioia la letteratura e la filosofia, spiazzando diverse figure maschili.
L’elemento che salta all’occhio in maniera imbarazzante è il poco tempo dedicato al processo evolutivo culturale rispetto alle sperimentazioni erotiche.
Lanthimos sembra darci sempre più punti di vista, incastrandoci in piccole trappole mentali, guidate da inquadrature non convenzionali: grandangoli spinti su ambienti ricchi di opulenza, fish-eye ripetuti sui volti di attori intensi e panoramiche a schiaffo sull’incedere dei personaggi.
Anche le scelte visive sono delle vere e proprie marche linguistiche del rivoluzionario bildungsroman di Bella Baxter, che di per sé assieme ai lavori precedenti del regista greco compone un vero e proprio trattato cinematografico su un’umanità mostruosa, ma affascinante nella natura grottesca, animalesca e triviale.
Bella Baxter assieme alle figure femminili della “Favorita” sostanzializza una visione non femminista, bensì di interscambiabilità dei generi in cui non c’è posto per nessuna femminilità.
Il personaggio di Emma Stone agisce nella sua vita quotidiana e uccide esattamente come le altre protagoniste, ovvero non provando dolore o rimorso, personaggio assoluto di una storia che più che evocare un moderno femminismo evoca un antico femminino, per cui le forze primigenie sovrastano i concetti filosofici e gli intellettualismi, che a loro volta affondano le radici nel mistero e nell’indagine sull’evoluzione delle “creature” umane.