La realizzazione di uno spettacolo non è completa senza una scenografia e i costumi ma, ancor prima, ciò che caratterizza un personaggio è il suo volto e, quindi, la sua cura con il cosiddetto “trucco e parrucco”. Ogni attore, in ogni tempo, per meglio identificarsi ha curato il suo volto e la sua presenza scenica con il più semplice degli escamotage: indossare una parrucca o realizzare una pettinatura inusuale assieme alla cura del trucco in maniera di “risaltare” sulla scena. Chi, ad esempio, non ha in mente i pesanti trucchi in mascara nero delle prime pellicole bianco e nero? Chi non comprende che il trucco è la fase iniziale della creazione della maschera con la quale, per molti secoli, il teatro occidentale ha espresso le sue “figure” sceniche?
Per professioni del teatro incontriamo, questo mese, Kriss Barone, uno dei più noti make-up artist dell’area del napoletano, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli nei corsi di Trucco e Maschera e Fashion Styling e Make-Up, nonché direttore dell’omonima scuola di trucco.
Buongiorno Kriss, domanda usuale per tutti gli ospiti della nostra rubrica. Chi è Kriss Barone? Qual è il percorso che ti ha portato a essere uno dei più apprezzati make-up artist per ciò che concerne la scena teatrale napoletana e non solo?
Ero un giovane portato per il disegno, passato dal liceo artistico all’Accademia delle Belle Arti. Non avevo un’idea precisa di cosa volessi fare, solo il desiderio di esprimere arte attraverso la mia creatività. Ero felice solo in mezzo agli artisti, mi sentivo in sintonia con loro.
Ho scelto di studiare scenografia perché ero attratto dalla possibilità di poter ricreare degli ambienti che potessero far sognare le platee. Tony Stefanucci mi ha fatto amare il mondo del teatro, che ho da subito identificato come la dimensione che potesse realizzare la magia del sogno.
All’epoca ero inesperto e insicuro sulle mie prospettive future; non ero convinto che la scenografia fosse la mia strada. Volevo ritagliarmi uno spazio che appartenesse solo a me, all’interno del quale costruire una progettualità e il trucco mi dava la possibilità di farlo. Ero interessato a tutte le sfumature della bellezza e l’idea di trasformare un volto – apparentemente anonimo – nel risultato di un progetto costruito a tavolino con registi, costumisti e scenografi, mi affascinava; mi sentivo parte di un tutto. Per realizzare la mia idea sono partito come visagista e beauty consultant per alcune multinazionali, dedicandomi sul campo al trucco Beauty, prendendomi cura della pelle, avendo la possibilità di incontrare volti con caratteristiche diverse e di imparare tanti codici da armonizzare.
I miei studi artistici legati ad una progettualità pittorica teorica prendevano vita sui volti reali che andavano cambiati, ringiovaniti, abbelliti, trasformati. Volevo crescere ed emanciparmi dalla mia famiglia, così, per pagarmi le masterclass lavoravo in grandi centri benessere. Tra i corsi più determinanti per la mia crescita ricordo una masterclass a Berlino con Werner Keppler, il prestigioso MUA di Hollywood specializzato in effetti speciali (nel suo curriculum figura tra i vari film anche Star Trek), che mi ha dato le basi per la scultura e il cambiamento radicale del volto. Nel mio lavoro come truccatore dello spettacolo ho avuto il privilegio di collaborare con grandi artisti come: Roberto De Simone (Le novantanove disgrazie di Pulcinella, Il malato per apprensione, Il Drago, Eden teatro), Luca De Filippo (Ditegli sempre sì, Aspettando Godot, Uomo e galantuomo), Armando Pugliese (Masaniello, Medea di Porta Medina), Francesco Rosi (Napoli milionaria), Gennaro Magliulo (La taverna de lu cunto), Alfredo Arias (Circo equestre Sgueglia), Tato Russo (I Promessi Sposi, Il ritratto di Dorian Gray), Alberto Fassini (l’opera lirica Alberto Devereux di Donizetti), Luca De Fusco (Antonio e Cleopatra), Bruno Garofalo (Novecento Napoletano, Scugnizzi). Nel cinema ho lavorato per i Manetti Bros, nella realizzazione dei make-up di Song’e Napule, La mia curiosità mi ha portato a spaziare da operazioni televisive (con Boncompagni e Pippo Baudo), a musical come Cabaret della Compagnia della Rancia di Saverio Marconi al trasformismo di Arturo Brachetti in Fregoli. Ho curato l’immagine di Chrysta Bell nel videoclip All the things girato a Napoli, scritto e diretto da Nicolangelo Gelormini e prodotto da David Lynch. Nella moda ho curato sfilate milanesi e diverse campagne pubblicitarie di Rocco Barocco e alcuni editoriali per “Vogue”. Le mie capacità formative furono colte da Marisa Polidori, che mi invitò al Centro Sperimentale di Roma a tenere una masterclass di Trucco e Trasformazioni con sette costumisti cinematografici che ad oggi sono tra i più quotati sulla scena internazionale.
Tra i tuoi lavori sono certamente da rammentare anche C’era una volta… Scugnizzi del 2001 di Claudio Mattone ed Enrico Vaime con la regia di Bruno Garofalo; Cyrano il musical con le musiche di Domenico Modugno e la regia di Bruno Garofalo nella sua riedizione del 2019 (con Gennaro Cannavacciuolo). Come parte la ricerca creativa che ti permette di associare un trucco a un volto, a una situazione?
Voglio fare una premessa, amo lavorare nello staff, mi sento partecipe e mi devo interfacciare con tutti coloro che cooperano al progetto, a partire dal regista, fino al costumista. Ritengo che dobbiamo creare tenendoci per mano, non è possibile non tener conto delle altre maestranze e di quello che hanno fatto. Lo scambio di idee è fondamentale per far sì che il progetto possa risultare vincente e questo avviene solo se tutti i professionisti lavorano all’unisono con la partecipazione emotiva e d’amore che deve gratificare ogni membro del team.
Quando guardo un attore nello specchio di un camerino la mia testa inizia a frullare e ad immaginare quello che potrebbe diventare. È come se fosse un volto di gomma che si può cancellare e ridisegnare, dove la mia capacità è quella di rendere tutto credibile e naturale, anche quando il personaggio è grottesco. Accompagno per mano l’artista nel processo di mutazione. Il trucco diventa la sua seconda pelle e lo aiuto a dare l’anima al volto pittorico che vede allo specchio. Noi siamo perle di un’unica collana indossata dall’artista, che la fa splendere sotto i riflettori, essendo credibile e rendendo l’operazione di make-up vincente.
In casi molto particolari, come la creazione del naso di Cannavacciuolo nel Cyrano (è anche disponibile un bellissimo video su YouTube) il trucco sconfina nel mondo della pura creazione. Come è noto al di là della logica enormità del naso stesso, la forma, come insegnano le maschere, dona anche una specifica caratteristica “mentale” del personaggio che viene trasmessa allo spettatore. In casi come questi si concorda con il regista e l’attore l’aspetto finale da dare all’“orpello”?
Credo che l’attore debba mantenere una neutralità e mettersi a completa disposizione della chiamata a interpretare un ruolo ben preciso da parte di un autore e un regista. È fondamentale che sia preparato a superare il disagio del vedere il proprio volto trasformato. Molti attori vogliono mantenere un’immagine e una riconoscibilità delle loro fattezze ma questo va in contrasto con ciò per cui sono scelti. L’attore è un manichino, una maschera neutra che deve affrontare età, deformazioni, esasperazioni, bruttezze, abbellimenti artificiali, cambiamenti genetici e di sesso, senza avere difficoltà identificative. Solo se riesce a fare questo può donarsi, con il divertimento di un bambino che sta giocando con nuove facce e forme, immergendosi in maniera catalizzante in un personaggio avvincente, che il pubblico dovrà riconoscere come unico e credibile. Detto questo, normalmente mi interfaccio soprattutto con il regista, al quale presento delle proposte cercando di allinearmi al suo linguaggio e alla sua visione. Nel caso del Cyrano ho avuto la possibilità di collaborare con Bruno Garofalo che, oltre ad essere un regista, è anche un brillante scenografo e costumista. Lui ha fatto dei disegni, ha voluto seguire la parte realizzativa; sapeva esattamente cosa desiderasse in scena. La sfida era creare un naso importante non goffo ma nobile, espressione della nobiltà di pensiero del protagonista. Per riuscire ad affrontare una situazione del genere è importante ascoltare molto, cogliere le sfumature, imparare a leggere tra le righe quando i registi e i costumisti parlano ed entrare nel loro immaginario per restituire l’immagine più coerente possibile.
Da vari anni hai e dirigi una scuola nell’area del napoletano per coloro che desiderano imparare la tua professione. Per una ragazza o un ragazzo desiderosi di avventurarsi nel mondo del trucco per lo spettacolo, la fotografia, la moda, qual è il percorso formativo ed esperienziale che suggeriresti?
Ho aperto questa scuola perché avevo bisogno di assistenti che avessero la mia stessa idea di make-up. Molte volte mi sono imbattuto in collaboratori anche bravi, la cui formazione però era lontana dalla mia visione del trucco. Era asettica, distaccata, fatta di sola tecnica. Il trucco non è una attività unicamente tecnica. Io non ho fatto una scuola di make-up, ho avuto una formazione da autodidatta che ha fuso i miei studi artistici con l’esperienza di tanti anni sul campo. Sapevo che non avrei potuto offrire un percorso di nove anni, dunque ho preso gli insegnamenti accademici che mi sono stati più utili e li ho condensati all’interno di un unico percorso. Questo è il momento del “trasferimento dati” alle nuove generazioni, senza il quale il mio percorso personale avrebbe forse meno senso. I ragazzi di oggi sono pieni di tecnologia ma carenti di ciò che mi è servito a diventare quello che sono. Questa professione ha sanato molte ferite, non è stato un lavoro ma una grande gioia che appartiene alla mia voglia di creare continuamente. Nel guardare questi giovani collaboratori ho pensato che sarebbe stato necessario aprire loro nuovi orizzonti al mondo dell’arte, per fornire le basi su cui costruire la loro professione. Noi dobbiamo occuparci delle fondamenta perché ci permettono di affrontare l’innovazione con l’istinto di sapere. Non si può parlare di questa professione lontani da un percorso artistico vero e proprio. Mi sono messo in discussione. Ho fermato delle produzioni per alcuni anni per formare giovani dando loro gli strumenti del disegno, del colore, della calligrafia. È un percorso anomalo, come lo sono io. Nulla è casuale, il mio fare centro è nei ragazzi che amano il trucco ma che pensano di essere incapaci di affrontare certe sfide tecniche. Nel mio percorso ci sono step tecnici molto forti che riescono a mettere in crisi gli allievi, ma da cui risorgono migliorati con una nuova luce negli occhi. È così emozionante vedere il loro talento sbocciare! Tutto dev’essere sudato rispetto a quanto amore hai verso questo tipo di professione. La gavetta comincia sui banchi, non facendo dei make-up presi dai tutorial in rete. Tutto parte da una conoscenza approfondita e dall’allenamento della mano, che raramente è abituata a scrivere, a dipingere o a disegnare ma solo a digitare sullo smartphone. Tutti devono fare i conti con l’allenamento. Come i ballerini alla sbarra, i cantanti con la respirazione diaframmatica, i truccatori, con il mio metodo, allenano anche la mano. Questo non è l’unico metodo ma è una delle visioni possibili.
Per terminare, ci racconti di un lavoro di un incontro con un’attrice, o un attore, che ha particolarmente “segnato” il tuo percorso artistico, magari raccontandoci qualche aneddoto avvenuto prima di una messa in scena importante?
Ho avuto il piacere di lavorare in numerose produzioni con Luca De Filippo, una persona meravigliosa che mi ha insegnato tanto. Era un uomo d’altri tempi, carismatico e coerente. Parlava poco, in modo lento e pacato. Ammiravo la sua capacità di trasmettere, con grande precisione, le indicazioni a ogni reparto. Aveva una grande abilità organizzativa, probabilmente ereditata da suo padre. Nel suo camerino aveva la sua personale borsa del make-up e, prima della prova generale degli spettacoli, mi chiedeva di truccarlo per mostrargli come farlo poi da solo, fase in cui dovevo controllare che tutto fosse perfetto. Un giorno mi mandò a chiamare. Aveva commissionato una costosa parrucca ad una nota azienda romana, cucita capello per capello sul calco della sua testa. Mi mostrò la parrucca e mi chiese di tagliarla. Io deglutii e gli risposi che ci sarebbe stato bisogno di un barbiere e io ero un truccatore. Nonostante la mia titubanza, nei set precedenti aveva studiato ogni mio movimento e aveva deciso che non avrebbe affidato a nessun altro quel compito. Si fidava delle mie mani e m’incoraggiò al punto da farmi vincere ogni resistenza nel tagliare quel prezioso gioiello artigianale. E ancora oggi la conservo con affetto, per ricordo di quell’artista, che prima di tutto fu un uomo straordinario.