Parlare di professioni del teatro senza discutere sulle meraviglie che si possono costruire con gli effetti luce è come voler dimenticare, nell’ingegnerizzazione di una automobile, di chi si occupa dell’intero impianto elettrico del veicolo: dalle luci di posizione all’impianto di ventilazione anche se oggi dovremmo dire, più correttamente, del sistema di condizionamento (mentre per l’impianto stereo o l’infotainment, come si dice oggi, dovremmo riferirci ad un tecnico del suono n.d.r.) ed è per questo che dedichiamo questo incontro ad uno dei più noti professionisti dell’illuminotecnica teatrale: Maurizio Fabretti.
Quando cominciai a studiare teatro, una delle immagini che più mi colpì sui testi che illustravano la tragedia greca fu il punto in cui l’autore (non mi ricordo esattamente chi) descriveva l’effetto che doveva presentarsi agli occhi degli spettatori, accorsi per proclamare il vincitore del “concorso” dedicato alle tragedie di quell’anno, nel teatro di Dioniso ad Atene. Le rappresentazioni terminavano al tramonto, poco prima che il sole scomparisse sotto l’orizzonte, quando i raggi di fine inverno regalavano, sul lato destro del palco, delle lunghe ombre e producevano riflessi d’oro sul mare che faceva da sfondo naturale al teatro creando degli effetti luminosi “magici”.
Maurizio, come d’uso in questa rubrica potresti presentarti ai nostri lettori parlandoci di te in generale e, più in particolare, di come hai cominciato ad occuparti di illuminotecnica teatrale?
Ho 63 anni e nella mia vita ho fatto diverse cose, tra cui il giovane rivoluzionario di sinistra negli anni Settanta, poi l’incontro con Nanni Moretti che mi ha dato la possibilità di fare l’attore in cinque dei suoi film, tra cui Ecce Bombo dove interpreto lo studente che fa l’esame di maturità, scena che è diventata un cult. Nel 2006 ho scritto un libro Più colla compagni, con il mio amico Piero Galletti, sugli anni Settanta considerati, da molti, anni di piombo, ma che invece per noi sono stati pieni di meravigliose cose: arte, cultura, rivolta.
La mia carriera teatrale è iniziata nel 1977, al Teatro Sistina di Roma, come collaboratore di palcoscenico, per lo spettacolo Aggiungi un posto a tavola, commedia musicale di Garinei e Giovannini e poi, nel 1978, ho proseguito con l’altra grande pietra miliare del musical italiano: Rugantino. Nella stagione 79/80 ho iniziato la mia carriera di elettricista teatrale. Devo essere sincero, non sapevo distinguere una spina da una presa, ma il mio grande maestro Giancarlo Bottone, light designer degli spettacoli di Garinei e Giovannini, mi ha insegnato tutto, persino come camminare in palcoscenico e da lì sono partito per questa meravigliosa avventura. Per quattro stagioni ho fatto l’aiuto elettricista, poi nel 1985 sono stato promosso capo elettricista in un musical, sempre della grande coppia del Sistina. Devo ammettere che per tutti ero una scommessa. Nel 1986 realizzai il mio primo disegno luci con la compagnia Attori e Tecnici (quello del Teatro Vittoria di Roma) al festival di Benevento, con il regista Attilio Corsini. Con loro sono andato in Argentina e lì mi sono convinto che era quella la mia strada: volevo disegnare le luci in teatro.
Ho lavorato quattro anni con il Teatro Vittoria, dove oltre a fare le luci ero anche il direttore tecnico. Successivamente sono stato due anni in giro per il mondo con i grandissimi Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thiérrée con uno spettacolo magico: le Cirque Invisible. Ritornato alla casa madre ho fatto il primo assistente alle luci di Giancarlo Bottone perché ancora dovevo imparare molto. Quella è stata una grande scuola di teatro. Nel frattempo, ho fatto diversi disegni luci con spettacoli che si allestivano d’estate. Lennon & John con la regia di Giancarlo Lucariello e Massimo Natale con Giampiero Ingrassia e Giuseppe Cederna è uno spettacolo che mi ha particolarmente emozionato. Le luci hanno creato delle atmosfere magiche su un testo decisamente commovente. In quegli anni ho fatto il disegno luci, al Teatro Brancaccio, dello spettacolo di Gigi Proietti Serata d’onore, per i suoi 40 anni di carriera. Nel 2006 ho smesso di andare in giro in tournée, dove facevo il capo elettricista e il disegnatore luci, e ho scelto il mestiere di light designer.
Insieme al mio grande amico e collega Pietro Sperduti ho firmato le luci di due opere liriche al Rossini Opera Festival per la regia di Giovanni Agostinucci, poi lo spettacolo di Andrea Rivera, un reading teatrale su Edith Piaf con Catherine Spaak. Nel 2007, l’incontro, che ha cambiato la mia vita artistica, quello con Massimo Ranieri. Con il maestro ancora oggi il rapporto è fortissimo anzi potrei dire con estrema sicurezza che è sempre più saldo ogni giorno di più. In questi 13 anni di collaborazione artistica con Ranieri ho avuto il tempo e il piacere di “illuminare” spettacoli di grande successo con artisti importantissimi, Loretta Goggi, Gianluca Guidi, Gino Landi, Marco Mattolini, Maurizio Scaparro, Renato Bruson, Lina Sastri, Luca De Fusco, Massimo Piparo, Paola Turci, Chiara Noschese, Giancarlo Sepe e anche spettacoli con artisti meno famosi ma altrettanto bravi che mi hanno dato la possibilità di esprimermi e di sperimentare nuovi modi di fare luci.
Ora sono in pensione e siccome non voglio fermarmi a vedere i cantieri, o sedermi su una panchina nei giardinetti, continuo a ideare e a disegnare luci per chi avesse desiderio di una mia collaborazione. Un uomo può andare in pensione ma le idee e l’arte sono sempre in movimento, sono sempre in attività.
Fare il light designer, oggi, è una attività molto più complessa di quella che vedeva il tecnico luci occuparsi soltanto del piazzamento dei fari e della loro gestione durante una rappresentazione; oggi spesso si tratta di affiancare il lavoro dello scenografo ricostruendo, con proiezioni, interi ambienti, esterni o interni, oppure sempre con gli effetti, rendere situazioni naturali come la neve o la pioggia o, ancora, lo spostamento di un veicolo nello spazio. Come ti è nata la passione per il lavoro che svolgi e come è cambiato l’approccio “tecnico” col tuo lavoro?
La passione mi è nata fin da piccolo, perché mio papà lavorava in teatro e ha fatto anche lui un percorso di gavetta teatrale. È passato dal suggeritore all’attore, al segretario amministrativo fino a diventare amministratore di compagnia teatrale. Grazie a lui ho conosciuto questo mondo quando avevo tre anni e fin da subito mi sono sentito attratto da questo ambiente e mi sono appassionato. Mi ricordo che i miei genitori mi regalarono un teatrino con le marionette per Natale e ci giocavo tutto il giorno. Poi una volta, entrato nel magico mondo della commedia musicale di Garinei e Giovannini mi sono reso conto che un sogno si stava realizzando. Ovviamente ancora non sapevo cosa mi potesse interessare però era già bello esserci. Una scelta quasi casuale è stata quella di diventare elettricista e da lì poi è stato facile appassionarsi perché quello di cui mi occupavo era talmente bello, era talmente affascinante e magico. La passione per questo mestiere non finisce mai, anzi cresce sempre di più, giorno dopo giorno. Cosa c’è di più bello nel vedere realizzate le idee e i sogni che hai nella testa quando si progetta uno spettacolo? Ovviamente, per tornare alla tua domanda, prima era più facile appassionarsi al teatro e al mestiere di teatrante e, quando parlo di teatrante, intendo parlare di tutte quelle forme di spettacolo che si fanno su un palcoscenico, nessuna esclusa, perché il teatro è una delle arti “visive” più antiche e affascinanti.
Negli anni, l’approccio con il mio lavoro è cambiato notevolmente, la tecnologia ha stravolto tutto il nostro modo di lavorare. Passare dal sistema analogico al digitale ha senz’altro velocizzato il modo per realizzare gli “stati luminosi”, ma nel frattempo si sono ristretti i tempi per la realizzazione degli spettacoli e quindi, nonostante la velocizzazione del sistema digitale, i problemi rimangono e solo un grande impegno della conoscenza di queste tecnologie, attraverso lo studio accurato dei nuovi prodotti e delle nuove tecnologie, può darti la possibilità di affrontare il lavoro nel modo più giusto. Tra l’altro, i prodotti che oggi si usano cambiano con la velocità del suono e quindi bisogna informarsi e studiare continuamente. Queste nuove tecnologie, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle lampade, dal passaggio dall’incandescenza alle lampade a scarica e poi ai led ha trasformato il “calore” e il “colore” stesso della luce. L’uso di nuovi apparecchi illuminotecnici con mixer sempre più sofisticati ci danno la possibilità di creare dei disegni luci che solo qualche anno fa erano impensabili.
La nostra rubrica si rivolge non solo a coloro che sono curiosi di conoscere quali sono le varie professioni che permettono la realizzazione di uno spettacolo ma anche – e in particolare – a quei giovani che vorrebbero entrare nel mondo del lavoro. Quali sono i consigli che ti sentiresti di offrire a coloro che volessero occuparsi di illuminotecnica teatrale? Ti sentiresti di suggerire dei corsi di studio oppure ritieni che la classica “gavetta” sia il modo migliore per imparare i segreti del mestiere?
Questa è una domanda interessante ma è difficile rispondere. In questo momento, così delicato per l’Italia e direi per tutto il mondo per colpa di questo Covid 19, il nostro lavoro ha subìto uno stop inatteso e non sappiamo ancora quando e come riprenderemo a fare spettacoli, però cercando di essere ottimisti e vedere il “bicchiere mezzo pieno”, diciamo che nel momento in cui le cose torneranno alla normalità, il consiglio che posso dare ai giovani che si avvicinano a questo mestiere è quello di capire quanta voglia e quanta passione hanno per questo lavoro. Compreso ciò bisogna, poi, capire quanta voglia hanno di sacrificare i loro interessi personali. Chi desidera entrare nel mondo dello spettacolo, soprattutto per chi vuole occuparsi di illuminotecnica, deve sapere che non è facile; è un lavoro duro, difficile, e bisogna fare tanta attenzione e avere tanta determinazione. Intanto cominciamo col dire che in Italia non ci sono scuole professionali per i mestieri teatrali, quindi la cosa più importante è cominciare con una sana gavetta, come quella che ho fatto io, anche se per la mia generazione è stato più facile perché le produzioni erano più ricche, più serie, e soprattutto per realizzare uno spettacolo i tempi erano più lunghi e quindi per chi cominciava c’era più tempo per imparare e anche per sbagliare. Adesso i tempi per l’allestimento si sono accorciati notevolmente e quindi c’è sicuramente meno tempo per insegnare ai ragazzi, che entrano in questo mondo, le tecniche e i trucchi del mestiere. Detto questo ci sono dei corsi di illuminotecnica seri tenuti da professionisti importanti del settore. Mettere insieme un giusto mix tra gavetta e studio è sempre un consiglio che posso tranquillamente dare. Perché all’esperienza sul campo bisogna sempre aggiungere un importante studio della materia di illuminotecnica. Per chi volesse diventare un light designer è importante andare a vedere le mostre dei grandi pittori, studiare la luce dei tramonti, i colori delle albe; deve avere un occhio attento a quello che accade intorno a lui perché la luce che ci accompagna giornalmente sarà, poi, la luce che possiamo, dobbiamo, riprodurre per uno stato luminoso in teatro.
Io non ho fatto una scuola per imparare il mio mestiere; la mia è stata tanta gavetta sul campo e ho avuto la fortuna di incontrare degli ottimi maestri. Ora che sono in pensione sto pensando seriamente di mettere a disposizione il mio sapere, magari, iniziando a fare dei corsi di illuminotecnica e chissà sarebbe bello regalare al teatro dei bravi light designer.
È noto che sei il light designer preferito da Massimo Ranieri ma anche per aver realizzato gli effetti luce per commedie musicali del Sistina come, negli anni Novanta: Aggiungi un posto a tavola, Rinaldo in campo e Poveri ma belli. Tra i tuoi tanti lavori, quale ritieni sia quello che ti ha creato più difficoltà ma, proprio per questo, ha finito per darti la maggiore soddisfazioni quando ne hai visto i risultati?
Partiamo dal presupposto che non ci sono spettacoli più semplici o più complicati, ma ci sono spettacoli sempre diversi. Però se devo pensare ad uno spettacolo che mi ha creato molte difficoltà e che, allo stesso tempo mi ha regalato più soddisfazioni, parlerei del musical, prodotto dal teatro Sistina nel 2008, Poveri ma belli con la regia di Massimo Ranieri. È stato il primo spettacolo che ho realizzato al Sistina come light designer. Era il teatro nel quale ho iniziato il mio percorso professionale tanti anni prima e che mi ha visto crescere e maturare per poi allontanarmene, per mettermi alla prova in altri lidi. È inevitabile che sentimentalmente ed emotivamente è il Teatro a cui sono più legato. Forse per questo ho sempre ritenuto questo spettacolo la sfida più difficile e più importante nella mia carriera di light designer. Quando Massimo ha accettato di fare la regia di questo musical mi ha subito coinvolto e responsabilizzato sull’importanza dell’evento. Ci furono molteplici riunioni con lo scenografo Marco Calzavara e il costumista Giovanni Ciacci per studiare bozzetti e “definitivi”. Passammo ore ad ascoltare la musica di Gianni Togni e ad assistere alle prove delle coreografie di Franco Miseria. Restammo chiusi dentro al Teatro Gentile di Fabriano per un mese intenso di prove; nottate a fare luci e giorni interi a mettere insieme scene, balletti e recitazione. Un lavoro certosino, non sempre tutto quello che avevo in testa funzionava alla perfezione però, poi, più i giorni passavano e più mi convincevo che le scelte che avevo fatto erano quelle giuste. Finalmente quando il sipario si è aperto e tutto ha funzionato come un orologio e le molteplici atmosfere che avevo creato risultarono apprezzate dal pubblico e soprattutto dal regista Massimo Ranieri, ho compreso che tutto quel lavoro sacrificato non era stato vano. Alla fine, quando il sipario si è chiuso, sono esploso in un pianto liberatorio e ovviamente ho abbracciato i miei collaboratori perché senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile. Questo è senza dubbio lo spettacolo a cui sono più legato e che mi ha dato la soddisfazione maggiore ma che mi ha fatto combattere tra tante difficoltà, però allo stesso modo ho un pensiero bellissimo per tutte le mie creazioni di luce che mi hanno regalato tante emozioni e tanta gioia.
Nel corso di altre interviste ho chiesto quale sia il rapporto lavorativo che si instaura tra il professionista intervistato ed il regista e lo scenografo dello spettacolo che si è in procinto di mettere in scena per raggiungere una reciproca soddisfazione “artistica”. Ripropongo il medesimo quesito anche a te. Quale sono le difficoltà che si incontrano quando ti si presentano delle indicazioni troppo stringenti o, al contrario, quando ti si lascia troppa libertà nella realizzazione degli effetti luminosi soprattutto nelle grosse produzioni?
Ritengo sia fondamentale il rapporto professionale che si instaura tra il regista, lo scenografo e il light designer perché il nostro è un lavoro di équipe. Immagina una piramide dove il regista è il suo vertice e le altre figure artistiche e creative sono posizionate sotto di lui a cascata. Quando questo sistema scricchiola e il regista non ha le idee chiare e non ti sa dare le indicazioni giuste il mio lavoro diventa molto difficile perché le mie scelte saranno sempre approssimative e non legate al progetto e alla drammaturgia del testo. Per fortuna mi è capitato pochissime volte di incontrare registi che erano confusi e con poche idee. In questo caso ho cercato di essere il più elementare possibile con la grammatica della scelta illuminotecnica per non creare confusione e per non dare alle luci una importanza che avrebbe creato solo distrazione. Se in uno spettacolo la gente apprezza solo le luci mi ritengo sconfitto perché, credo, il valore di uno spettacolo deve essere globale anche se, devo essere sincero, a volte è successo. Non amo avere la totale libertà di scelta perché ritengo la luce un elemento complementare alle scelte registiche e allo stesso modo non amo essere costretto dalle scelte scenografiche a dover rinunciare a degli apparecchi illuminotecnici per motivi di spazio; spesso sono situazioni che potrebbero essere risolte in fase di costruzione e di allestimento.
Per questo penso che il lavoro preventivo e le riunioni che si fanno tra il regista, lo scenografo e il light designer siano fondamentali per la riuscita di uno spettacolo, come ritengo importantissimo vedere tutte le prove fin dall’inizio, dalla prima lettura a tavolino e alle prove in piedi. È lì che si costruisce la “luce” dello spettacolo.
Farsi raccontare un aneddoto che ha caratterizzato l’attività professionale del nostro ospite è sempre una maniera piacevole per terminare una intervista; lasciaci con un ricordo a te particolarmente caro.
Un ricordo particolare, che porto nel mio cuore, è di tanti anni fa. Ancora non facevo il light designer, anzi ero alle prime armi, era il 1986 e da un anno ero diventato capo elettricista nella compagnia di Garinei e Giovannini e il mio maestro Giancarlo Bottone mi chiese se potessi sostituirlo per fare il disegno luci di uno spettacolo della Compagnia Attori e Tecnici, con cui lui collaborava. Giancarlo era impegnato e io accettai con molta incoscienza e con altrettanta paura. Avevo voglia di mettermi alla prova. Lo spettacolo lo facemmo al Festival teatrale di Benevento e feci un bel lavoro tanto che la compagnia che doveva presentare lo spettacolo, pochi giorni dopo, in Argentina mi propose di andare con loro. Lo chiesero a Giancarlo e partii per Buenos Aires. Si trattava de I due sergenti, un piccolo musical e io non sapevo neanche di cosa si trattasse. Prima di partire vidi una cassetta ma la visione non mi aiutò molto. Mi ricordo che in aereo non facevo altro che leggere il copione e vedere la pianta luci; durante le prove feci molto di testa mia e alla fine fu un successo e su una critica di uno dei quotidiani argentini più importanti della capitale trovai scritto: «las luces manejadas con maestria por Maurizio Fabretti», in quel momento capii che forse avrei potuto fare il light designer.