Questo incontro di Professioni del teatro è dedicato ai servizi di comunicazione. Tali servizi, molto affini agli uffici stampa, non si limitano alla diffusione e alla promozione dei lavori affidati alla loro cura ma si dedicano anche a “lanciare” o a tener vivo l’interesse di singoli attori, registi o personaggi pubblici nei confronti della stampa in primis ma anche, più direttamente, al loro pubblico di riferimento.
Questa volta incontriamo Silvia Signorelli “magister” della SiSi communication.
Ciao Silvia e ben trovata. Come per tutte le interviste realizzate in precedenza per questa rubrica sarebbe interessante che ci parlassi di te, della tua vita, dei tuoi studi e del come ti sei ritrovata ad occuparti di comunicazione.
Ben trovati!
La mia passione per il teatro inizia da bambina prima come appassionata di danza classica e poi come spettatrice grazie alla passione di mia madre per l’opera lirica che mi portava a vedere al teatro dell’Opera di Roma. Ho fatto anche dei corsi di teatro alle medie ma io ero capace a coinvolgere gli altri e a scrivere, ma recitare non era proprio nelle mie corde.
Ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in lettere con indirizzo demo-etno-antropologico.
Quando ancora studiavo ho iniziato a lavorare come segreteria per l’ITI (Istituto Internazionale del Teatro) e poi come ufficio stampa al Teatro Argot insieme a Serena Grandicelli.
In questo periodo travagliato per i teatri e lo spettacolo in genere cosa vuol dire impegnarsi nel promuovere delle attività che, purtroppo, sono praticamente azzerate?
Vuol dire mantenere vivo il teatro, parlarne e lavorare per questo spesso senza essere pagate. Ma vuol anche dire reinventarsi e trovare altre strade, altri percorsi. Mettersi in gioco. Aprirsi anche a cose mai sperimentate prima. Abbiamo fatto tantissime trasmissioni dal Brancaccio e dalla Sala Umberto, urlato il nostro disagio e la nostra voglia di ripartire.
Una delle maggiori qualità della SiSi communication è quella di occuparsi, anche, di affiancare personaggi noti dello spettacolo al fine di promuovere le loro performances e la loro immagine; quanto è diverso il lavoro destinato, ad esempio, alla promozione teatrale e quello, invece, dedicato al sostegno della “celebrità”?
Noi come società seguiamo solo attori e personaggi pubblici con cui condividiamo la passione per il proprio lavoro. I nostri artisti si sono sentiti improvvisamente messi da una parte e non considerati (a parte qualche fortunato che fa molta televisione). Abbiamo cercato di far avere loro il più possibile voce e visibilità attraverso interviste, programmi televisivi, dirette, canali social e radio affinché si sentissero ancora protagonisti e importanti come persone oltre che come professionisti.
Per tutti noi è stato difficile ma, per chi fa teatro, questa pandemia è stata drammatica perché improvvisamente è stato tutto cancellato: spettacoli, tournée, concerti, prove, stagione… ma soprattutto il rapporto con il pubblico, fondamentale per chi lavora in palcoscenico.
L’agenzia che dirigi è, di fatto, una piccola azienda e molti dei nostri lettori provengono dall’ambiente accademico-universitario. Se un giovane desiderasse entrare in questo “mondo” e dovesse sostenere con te un colloquio per una possibile collaborazione quali sarebbero le qualità principali che ti piacerebbe riscontrare in un ipotetico candidato?
Flessibilità, curiosità, passione e cultura. Quest’ultima non è solo quella imparata sui libri, ma quella che ti fa scoprire ogni giorno una storia diversa, che ti fa essere capace di analizzare e capire l’altro, devi essere un ponte tra te, l’artista e la stampa, capire e scegliere quello che è meglio per tutti. Qui l’antropologa che è in me esce fuori!
Da donna è difficile relazionarsi con un mondo in cui la prevalenza della figura maschile, intendo dire quella dei registi e dei produttori, è decisamente preponderante? Al di là della tua indubbia professionalità ritieni che se fossi alle “prime armi” saresti accolta con uguale fiducia da un ipotetico produttore in cerca di un ufficio di comunicazione?
Essere donna nel mio lavoro è una valenza in più, noi donne abbiamo una capacità di sintesi e una sensibilità che sono essenziali per la comunicazione e l’ufficio stampa. Forse nel caso di produzioni è diverso, c’è ancora un po’ di perplessità o comunque di pregiudizio. Nel teatro comunque, essendo ancora molto artigianale, c’è più possibilità di affermarsi in base alle proprie capacità. Io ho avuto dei maestri in questo senso. Da Maria Di Biase a Renzo Tian, a Maurizio Scaparro, a Giò Battista, da Maurizio Panici fino ad Alessandro Longobardi oggi.
Tra le tante manifestazioni che hai curato ne hai nel “cuore” una alla quale sei particolarmente affezionata?
Sicuramente il Festival de La Versiliana, il primo Festival importante che ho fatto da sola. Ma per arrivarci mi è servita tutta la gavetta del Premio Maratea, del Premio Ischia dedicato a Luchino Visconti e la mia primissima esperienza come ufficio stampa del Congresso di Filosofia della Politica all’Università “La Sapienza” di Roma.