La rubrica Professioni del teatro di questo mese è dedicata alla costumista Teresa Acone.
Gli abiti, o meglio i costumi, che si indossano durante una rappresentazione sono, salvo rarissimi casi, frutto di ore di studio, preparazione, aggiustamenti e continue correzioni. Spesso è necessario che l’interprete possa sostituirli in brevissimo tempo e senza rischi come accade negli spettacoli di trasformismo (basterà pensare a Fregoli o, ai nostri giorni a Brachetti) o nei musicals. In altri casi si richiedono studi storici accurati per non far indossare, ad esempio, un cappello o un orologio da taschino in una epoca differente da quella in cui si svolge la narrazione scenica.
Anche il pur semplice abbinamento “jeans e maglietta”, per quanto possa apparire banale, in scena, può nascondere delle profonde insidie. Il regista potrebbe volere, infatti, tramite l’abbinamento degli abiti con i colori della scenografia o della mobilia (o associandoli al carattere o agli stati emozionali dell’attore), decidere di porre in risalto o far scomparire il personaggio interpretato. Per rendere un soggetto “banale” o “eccentrico” basta, spesso, fargli indossare anche solo un dettaglio come un bracciale, un capello un foulard, troppo scontato o inusuale in rapporto all’ambiente che agisce.
Per aprire questo incontro è opportuna una breve presentazione: Teresa parlaci di te, della tua vita, dei tuoi studi e di come sei arrivata ad occuparti di costumi per il teatro e il cinema.
Ho sempre considerato il disegno come una forma di espressione, di linguaggio necessario e naturale, mentre ritengo la fantasia il mio mondo privato dove rifugiarmi e perdermi.
La passione è alla base del mio percorso professionale e forse di tutta la mia vita. Passione che mi ha dato una tenacia infantile, che mi ha portata giovanissima all’Accademia Costume & Moda di Roma che mi ha regalato incontri insperati e fortunati. Dopo gli anni dell’Accademia ho iniziato a lavorare come assistente ai costumi, riuscendo così a frequentare le maggiori sartorie e vari laboratori artigianali. Per me era come entrare in una favola. Ed è grazie a questa favola che è iniziato il magico legame con la fantastica Teresa Allegri e con la sua “Annamode”. Da lì a poco, anche se giovanissima, ho iniziato a firmare, come titolare, i costumi per vari spettacoli teatrali, televisivi e cinematografici.
Amo la ricostruzione storica e amo approfondire i particolari, vestire i “sentimenti” andando, a volte, oltre l’epoca stessa cosa che ho fatto, ad esempio, in uno degli ultimi lavori teatrali: Madre Courage con la regia di Paolo Coletta, nel quale mi sono divertita a mescolare le epoche e i colori per descrivere il misero grigiore della guerra che non conosce tempo.
Molti credono che il lavoro del costumista sia creare, di sana pianta, un “prodotto finito” cioè facendo, prevalentemente un lavoro di sartoria. In realtà, gli addetti ai lavori ben sanno che non è proprio così in quanto, spesso, il costumista è l’ideatore delle mise degli attori ma che, spesso, questo è un lavoro di “assemblaggio” e “trovarobe”. Ci puoi spiegare, con maggiore dettaglio come si svolge la tua l’attività?
Ogni lavoro è un viaggio nuovo e comunque diverso. Si parte dalla lettura del testo o della sceneggiatura, passando, poi, per lo studio dell’epoca e dei personaggi andando alla ricerca dell’ispirazione che permetta di “vestire” i sentimenti della storia attraverso le pieghe del costume.
A volte questa ricerca si basa su materiale costumistico preesistente che, creativamente, è comunque una esperienza interessante e stimolante. Nulla, nella realizzazione di un costume, deve essere casuale ma deve sempre nascere da una scelta dettata da un’esigenza che può essere sia di natura creativa che funzionale.
Senti Teresa qual è il percorso di analisi creativa che usi, prevalentemente, per giungere a determinare il miglior abito da far indossare ad uno specifico personaggio?
Accade tutto dentro di me. La lettura, lo spoglio e lo studio diventano una “passeggiata” interiore di ricerca che si traduce in bozzetti, colori, tessuti senza mai dimenticare l’attore, la regia e la scenografia. L’abito deve sottolineare la parola, i colori dell’anima ed i suoi mutamenti; deve raccontare il momento storico, il ceto sociale e l’individuo. Tutto questo deve trovarsi in perfetta armonia con la scena e l’idea di regia.
Quali sono le differenze cui occorre porre attenzione nel caso in cui venga commissionato un lavoro per il cinema oppure per il teatro?
Teatro, opera, cinema e televisione richiedono tecniche e linguaggi diversi sia a livello pratico che a livello espressivo. Non cambia però la creatività che dedico perché in me tutto nasce sempre dal profondo amore che ho per questo mestiere. Il costume, nei diversi casi, rimane per me, comunque, un gioco meraviglioso.
Quale potrebbe essere il percorso formativo che potrebbe seguire una ragazza o un ragazzo interessato a fare la tua stessa attività?
Questo lavoro ti assorbe totalmente. Non ha orari, non conosce riposo ed è per questo che lo si può fare solo se lo si ama in maniera profonda ed infinita. Porterà con sé grandi emozioni ma certamente anche grandi delusioni, oltre alla consapevolezza che non esistono traguardi. Amandolo, però, diventerà la passione della tua vita. È un percorso di dedizione, di sensibilità e soprattutto di studio. La conoscenza del passato diventa fondamentale e funge da vocabolario per raccontare il costume attraverso la storia. Ogni epoca porta in sé una precisa emozione. Nel costume tutto è già stato ma si ripete in maniera diversa. Ogni lavoro è un nuovo maestro.
Quali sono le realizzazioni che ti hanno impegnata in maniera particolare? Ci puoi raccontare qualche episodio che ti è caro perché ti ha permesso di vedere tua professione sotto un punto di vista differente da quello usuale?
Le opere liriche sono state di certo quelle che più hanno richiesto, da parte mia, impegno e cura. Fra tutte ricordo in particolar modo l’Ernani di Giuseppe Verdi, realizzata per l’opera di Montecarlo e che contemplava oltre 500 costumi. Mi ha dato grandi emozioni. Partire dalla musica, arrivare alla parola, studiare l’epoca in ogni minimo particolare, interiorizzarla, focalizzarla per poi trasformarla creativamente, seguirne la crescita nella realizzazione di ogni singolo costume. Che cosa meravigliosa!
Per concludere una domanda quasi scherzosa. Molto spesso gli attori, più che i registi, tendono a non concordare sulle scelte proposte dal costumista (e dal regista) in quanto non si trovano a loro “agio” nell’abito propostogli; capita quindi che, per non offendere le “intime resistenze” di costoro sia necessario trovare un compromesso tra la mise perfetta per il personaggio e ciò che può essere accettato dall’interprete. Ci puoi raccontare di qualche escamotage usato per far “digerire” un abito poco gradito?
Nel mio caso ho avuto la fortuna di lavorare, quasi sempre, con grandi registi e grandi attori che mi hanno permesso di esprimere liberamente le mie sensazioni. Quando questo non è accaduto ho cercato in me una risposta mettendo in discussione la mia visione e trovando infine, con loro, il giusto compromesso. Lo spettacolo è fatto di alchimie comuni che, se non condivise, ne vanificano il risultato. La messa in scena è da considerarsi come vivesse con una sola anima.