Una piccola grande rivoluzione, per il loro lavoro e per le loro vite. È la scelta coraggiosa e anticonvenzionale fatta dalla Piccola Compagnia Dammacco che dal 10 novembre scorso ha deciso di trasferirsi in una stessa casa ai bordi di un paese molto piccolo e molto bello: Mondaino. Con i suoi circa 1.400 abitanti, questo borgo si trova in provincia di Rimini su una collina a 420 metri sul livello del mare. Per molti, del mondo del teatro e della danza, Mondaino è il paese dell’Arboreto. La Piccola Compagnia Dammacco è Serena Balivo, Mariano Dammacco, Erica Galante e Stella Monesi. Tutti assieme hanno intrapreso questo ennesimo percorso che inizia con lo stupore dei loro occhi che riscoprono le cose semplici, dimenticate nella vita frenetica delle città. Un doppio isolamento, per Covid e per lavoro, sicuri che il secondo renderà più lieve il primo. E dal tavolo attorno al quale sono riuniti guardando la bellezza del bosco che entra in questa loro nuova casa con prepotente splendore, ci raccontano questa esperienza, pieni di entusiasmo e pronti a lasciarsi sorprendere dalla vita.
Come procedono questi primi giorni di convivenza?
Mariano Dammacco: La convivenza è iniziata molto bene. Il luogo nel quale ci siamo trasferiti è talmente diverso dal nostro quotidiano vissuto nelle città che siamo tutti accomunati da una forte sensazione di stupore nei confronti di questo luogo, degli animali, della natura in generale. Una bellezza tale che ci restituisce quasi una condizione di fanciullezza.
Da dove nasce questa scelta, attuata proprio in questo particolare periodo storico?
Mariano Dammacco: La scelta è precedente alla crisi dovuta al Covid perché è frutto di quasi 10 anni di dialogo tra noi come compagnia e l’Arboreto Teatro Dimora, il suo direttore artistico Flavio Biondi e tutto il suo gruppo di lavoro. La decisione di trasferirci qui a Mondaino è il risultato sia di scelte di lavoro che di vita. Come Piccola Compagnia Dammacco abbiamo da subito scelto di lavorare sedimentando una compagnia il che significa che tutti noi lavoriamo solo per la compagnia spendendoci totalmente in questa esperienza. Quando trenta anni fa ho iniziato questo mestiere c’erano diverse compagnie storiche che portavano avanti un certo tipo di ricerca. Oggi non è più così perché in questi anni tutta la nostra società è cambiata e anche le compagnie sembrano non essere più lo strumento principale attraverso il quale fare teatro.
Quello che manca oggi è dunque una affinità più elettiva da portare avanti assieme…
Mariano Dammacco: Esatto, per andare a fondo, non nel senso di una nave che imbarca acqua ma per andare a fondo nella nostra ricerca come compagnia il che significa trovare un equilibrio e una fusione tra il lavoro più tecnico, il lavoro dell’attore e quello della regia e che poi si concretizza nella capacità di mettere insieme per esempio una mia composizione drammaturgica con il modo di stare in scena di Serena Balivo con, ancora, la realizzazione tecnica di Stella Monesi. Anno dopo anno andiamo quindi a sedimentare un’esperienza e un obiettivo comuni talmente approfonditi da riuscire a offrire un lavoro di qualità. Ciò ovviamente non significa avere la presunzione di pensare che sia l’unico modo per fare teatro di qualità. Semplicemente è il nostro modo di fare ricerca di qualità teatrale. Per questo motivo abbiamo scelto di condividere anche una casa perché si tratta di un ulteriore passo in avanti come esperienza di compagnia.
In che modo la collaborazione con l’Arboreto Teatro Dimora ha influenzato la vostra scelta di trasferirvi a Mondaino?
Mariano Dammacco: In questi ultimi dieci anni con l’Arboreto abbiamo organizzato numerose residenze di Piccola Compagnia Dammacco. Alcune erano residenze creative per cui gli spettacoli prodotti da noi hanno avuto una prima tappa di studio presso l’Arboreto. In altri casi siamo stati all’Arboreto per progetti slegati dalle nostre creazioni come per esempio Quale teatro per il XXI secolo del 2014 in cui abbiamo organizzato un momento di studio e riflessione insieme ad alcuni ospiti che amiamo molto e che sono di ispirazione come lo stesso Fabio Biondi ma anche Renata Molinari e Marco Martinelli, con i quali abbiamo condiviso temi e domande sulle pratiche teatrali centrate sul lavoro dell’attore e sulla composizione di drammaturgie originali. Oppure Finestre, progetto del 2019 con cui abbiamo realizzato un percorso di condivisione delle nostre pratiche di lavoro attraverso momenti di laboratorio, non inteso come luogo di insegnamento, di trasmissione di un sapere o scuola o corso di formazione, bensì come luogo e tempo di condivisione dei processi creativi della Compagnia, come momento di studio e di incontro. O ancora abbiamo organizzato ripetuti incontri con la comunità di Mondaino dove c’è un gruppo di studio composto da spettatori guidati dalla studiosa Francesca Giuliani che spia, guarda, osserva le residenze delle numerosissime compagnie che di anno in anno si alternano all’Arboreto. E poi ci sono i progetti con i bambini delle materne e delle elementari e quando arrivano loro a vedere gli artisti al lavoro è sempre molto emozionante. Sono quelli gli incontri più belli! Poi tutto questo lavoro, in modo assolutamente naturale, ha portato l’Arboreto a chiederci di trasferirci qui e noi a scegliere con altrettanta naturalezza di farlo.
Mi descrivete la vostra casa e il posto in cui siete?
Mariano Dammacco: In questo momento siamo attorno a un tavolo e accanto a noi c’è una vetrata che dà su un bosco che ci regala un panorama fantastico. Vediamo cinghiali, daini, volpi, scoiattoli. Durante il giorno ma soprattutto durante la notte c’è un silenzio inimmaginabile, e la quantità di stelle che si vede nel cielo, quando non ci sono le nuvole, è una quantità vista solo nei film o nelle foto e non in una vita in città. La nostra è anche una scelta di metterci in un ritmo, in un’esperienza di vita che abbia questo respiro.
In questo particolare momento storico di confinamento dovuto al Covid (Mondaino si trova in Emilia-Romagna che ad oggi è zona arancione ndr) come affronterete questo doppio isolamento?
Mariano Dammacco: Crediamo che questo secondo livello di isolamento nel quale ci siamo volontariamente messi, ci proteggerà dal primo. Ci siamo fatti l’idea che potrà essere di minore sofferenza stare chiusi per le restrizioni del Covid in questo posto, insieme, potendo lavorare o uscire in giardino, piuttosto che se fossimo rimasti in città. Per cui se la scelta di venire a vivere tutti insieme qui è anteriore al Covid, la conferma che l’avremmo fatto sul serio l’abbiamo data a Fabio Biondi proprio quando erano già state prese le misure per il contenimento del contagio.
Serena Balivo: Alla luce di questo secondo momento di chiusura io credo che sia una vera fortuna avere avuto il coraggio di compiere questo passo e venire qui. Stare chiusi a casa a causa dell’emergenza sanitaria in qualche modo è stato vissuto a marzo in un modo un po’ più difficoltoso perché eravamo in città separate. Ora invece la vivremo, non dico in modo più leggero perché è impossibile, ma di sicuro diversamente anche perché siamo immersi in questa dimensione più naturale e a stretto contatto con la natura. È la prima volta che non vivo in cattività, diciamo così, perché sono cresciuta a Milano e poi per la compagnia mi sono trasferita prima a Brescia e poi a Modena. E se da un lato osservare questo bosco, ascoltarlo, genera una distensione del pensiero dall’altra ci sembra di avere un po’ più la possibilità di calarci nei ritmi più lenti del paese. Diciamo che non mi sento più in cattività come durante il lockdown di marzo e adesso vediamo cosa accadrà.
Voi affermate che “partirete dall’incontro che avverrà con le persone di Mondaino, incontro che ci cambierà”: in che modo?
Mariano Dammacco: Cambiare paese o città in cui vivere significa cambiare la comunità, la famiglia dentro la quale ti vai a inserire. Te la puoi scegliere oppure ti può capitare per necessità di lavoro. In realtà di fatto la qualità della tua vita, bella o brutta che sia, o il suo ritmo sono influenzati dalla comunità in cui vivi perché tu stesso sei fatto anche della comunità che ti contiene e alla quale appartieni. Per esempio: io sono il driver, l’autista della compagnia, e già sui tornanti che portano giù a Cattolica o nei paesi della zona ti accorgi della differenza perché cambia proprio il modo in cui le persone si relazionano guidando la macchina: niente più strombazzate o dialoghi a muso duro per uno stop non rispettato! Questo è un piccolo esempio per dire che la comunità in cui vivi ti cambia sempre, sembra un po’ retorico ma è così, per cui sicuramente stare qui ci cambierà.
Gli incontri di cui parlate saranno possibili date le restrizioni da Covid? In che modo porterete avanti la vostra esperienza di teatro coinvolgendo le persone del posto?
Mariano Dammacco: Noi continueremo comunque a fare degli spettacoli e quindi a ragionare in termini di oggetto artistico, di ricerca e di sperimentazione per arrivare a una nuova drammaturgia, a dei nuovi personaggi, a dei nuovi spettacoli. Rispetto a quello che accadrà con il territorio io credo che se non ci fosse stato il Covid avremmo già iniziato a proporre in questa zona alcune esperienze che abbiamo già approfondito in passato come compagnia, per esempio i laboratori teatrali per adulti o per le scuole materne ed elementari. In questo momento il Covid lo impedisce e, non sapendo per quanto tempo non ci si potrà incontrare fisicamente con le persone del posto, per noi diventa stimolante chiederci se ci sono delle forme altre per stimolare all’auto narrazione cioè per far accadere, al di là della tecnica teatrale specifica, il teatro di comunità. Poi rispetto ai modi in cui “accadrà” il futuro della compagnia e degli spettacoli è facile immaginarlo perché si trova proprio nel rapporto con il territorio. Mi piace quindi tornare a Fabio Biondi, il nostro preziosissimo compagno di viaggio, che assieme al suo gruppo di lavoro è uno sperimentatore, fa vera ricerca non agendo direttamente sul palcoscenico dell’attorialità o dei testi ma dando poi il compito di sperimentare artisticamente alle compagnie ospitate in residenza all’Arboreto. Per rendere bene l’idea uso proprio le parole di Fabio nel descrivere l’Arboreto ovvero una realtà che nasce in un parco naturale dove sotto la cura della Guardia Forestale che ha gestito il progetto, le piante della zona mediterranea sono state mescolate con delle piante portate da altre parti del mondo e, una volta terminata questa contaminazione, ci si è fermati a osservare quello che succedeva. Ecco io credo che il lavoro di sperimentazione e ricerca di Fabio Biondi e dell’Arboreto sia in analogia con questo. Ne è conferma il nostro trasferimento qui a Mondaino: io credo che Fabio non abbia un’idea precostituita ma che voglia vedere cosa accade, cosa nasce da questo nostro isolamento. Credo che lui si aspetti non tanto una funzione sociale quanto una presenza artistica sul territorio, credo che si aspetti che in qualche modo viviamo e restituiamo attraverso il filtro artistico e teatrale il fatto di stare qui in un modo che probabilmente né lui né noi sappiamo ancora e che sono sicuro ci sorprenderà.
Durante il primo lockdown avete realizzato una webserie in tre puntate “dedicata al teatro, a tutte le donne e a tutti gli uomini di teatro, e agli spettatori di teatro”: pensate di fare qualcosa di simile anche in questa occasione? In che modo pensate di utilizzare il web?
Mariano Dammacco: Se c’è una cosa che ho imparato da questa immane disgrazia del Coronavirus è proprio l’utilizzo del web. Mi spiego: non ho uno smartphone, non frequento i social e quindi non c’era niente di più lontano dal mio immaginario personale di poter essere coautore, organizzare e realizzare una webserie. Questo invece è accaduto lo scorso maggio ed è una lezione importante che prendo dalla vita perché non si smette mai di imparare e di scoprire quanto possano essere infinite le vie della volontà di espressione di un individuo anche attraverso le tecniche artistiche. Per questo credo che potrebbe ricapitare. La prima webserie intitolata Mi manchi è sbocciata quasi come un fiore selvatico. A un certo punto è nata l’idea, poi è stata realizzata e messa sul canale YouTube dell’Arboreto. Attenzione però a non confondere il teatro con altre forme di espressione. Il teatro è in compresenza con lo spettatore, c’è poco da fare, però è un momento storico dove chi ne ha voglia può in qualche modo aspettare senza aspettare cioè aspettare in un modo attivo, e non passivo e irritante, magari interrogandosi nella pratica e in concreto su altre forme che in questo momento possono essere veicolate proprio dal web.
Dai vostri racconti si evince la bellezza di questo posto, la sua calma, la sua tranquillità, lo stupore che riempie i vostri occhi. Partendo da questa esperienza vi chiedo allora cos’è per voi la bellezza?
Mariano Dammacco: C’è una frase famosa nel nostro ambiente: <<io non so dire cosa sia il teatro ma quando vedo del teatro lo so riconoscere, so dire: questo è teatro>>. Parafrasando direi che la bellezza è sicuramente qualcosa che a un certo punto semplicemente la vedi e pensi “è bella!”, che è poi quello che ci capita di pensare guardando il bosco o ancora in questo momento mentre stiamo parlando dalla veranda ci sta osservando un bellissimo gatto rosso, lo guardi e pensi che sia un pezzo di bellezza del mondo che se ne va in giro nella tua veranda.
Serena Balivo: Per me la bellezza è qualcosa da cui non si può distogliere lo sguardo, è una calamita, un magnete. E qui a Mondaino la bellezza è questo bosco che è bello perché muta. E questo suo mutare è conseguenza del mutare del sole, delle nuvole. Tu stai lì e lo guarderesti per ore e ore e diventa quasi un compagno d’avventure.
Erica Galante: Per me la bellezza è qualcosa di irresistibile, nel senso che è qualcosa che contamina tutto quello che fai. E quindi anche fare le cose più semplici come uscire di casa per andare a fare la spesa o una passeggiata improvvisamente assumono un aspetto che non avevano mai avuto. Anche io vengo da una grande città, Roma, e qui a Mondaino mi sembra di riscoprire cose che facevo ma in una veste completamente diversa.
La riscoperta di un mondo altro, lontano dalla frenesia della città vi ha quindi messo in una situazione di predisposizione all’ascolto, e si sa che nel momento in cui ci si predispone all’ascolto qualcosa arriva. Cosa vi aspettate che arrivi?
Mariano Dammacco: Delle sorprese! Mi viene in mente la parola rigenerazione cioè in questo periodo sto riflettendo sui corsi e ricorsi storici. Io credo che questo sia il momento per noi di fare un profondo respiro per compiere un altro pezzo di strada sia personale che di compagnia.
Serena Balivo: Io credo che in realtà noi siamo qui perché già da un po’ di tempo ci siamo messi in un ascolto particolare sia di noi stessi come individui che dell’esperienza di compagnia. Questo ascolto in qualche modo ci ha già dato un primo frutto che è appunto il trasferimento qui a Mondaino e questa bellezza di cui ti abbiamo parlato. Ora vediamo cosa raccoglieremo dagli altri alberi.