“Qui Som?”: fingere che il mondo non stia finendo davvero di Carolina Germini

Foto di Christophe Raynaud de Lage

Quando si apre la scena dello spettacolo Qui Som? della compagnia franco-catalana Baro d’avel si sente subito che c’è aria di festa. È come essere ipnotizzati, agganciati a un pendolo che oscilla in direzioni diverse. Questa magia ci riporta a quando, da bambini, dal cilindro vedevamo sprigionarsi piume, fazzoletti, conigli senza spiegarci come fosse possibile che tante cose potessero stare dentro un cappello. Ci sentiamo così anche quando gli attori sul palco cominciano a modellare l’argilla. Quella materia, pronta ad assumere le forme più strane, è la metafora di un teatro che cambia continuamente, che mescola diversi elementi, dando vita a un caleidoscopio di immagini. Musicisti, danzatori, acrobati, attori, clown, cantanti e un ceramista si incontrano sul palco e le loro azioni si fondono insieme in un unico movimento.

Foto di François Passerini

La domanda esistenziale ed universale a cui siamo chiamati, Chi siamo? che dà il titolo allo spettacolo, è solo una spinta, uno slancio vitale. Non ci vengono date risposte. L’invito è a perdersi e confondersi, ad abbandonare per quel tempo a disposizione ogni riferimento, ogni pretesa di avere a tutti i costi il controllo di quello che accade. Anche la scenografia manifesta questa continua trasformazione, quest’immagine di una materia informe che cambia ogni volta che entra in contatto con qualcosa di diverso. In quella che potrebbe essere la tenda di un circo – ma che ha anche la forma di un Mammut, creatura estinta che si risveglia – si schiude un mondo. In quell’involucro sembra esserci posto per tutti. Da lì si entra e si esce in continuazione. Su quella superficie ci si arrampica, ci si lancia, come fosse un gioco che cambia sempre le sue regole. Da quella bocca che all’inizio sembrava inghiottire ma soltanto per rigenerare chi ne veniva intrappolato, dandogli una nuova vita, escono alla fine detriti, rifiuti, come fosse il giorno dell’apocalisse, come se tutta quell’energia si fosse consumata e avesse lasciato i resti, come alla fine di una festa, quando tutti gli invitati sono andati via e restano solamente le tracce nei bicchieri sporchi di vino. Così, tutte quelle bottiglie di plastica su cui gli attori si tuffano – la discarica in cui sono immersi – ci portano a interrogarci su quello che è stato e finiamo per pensare che forse non è mai accaduto niente.

Foto di Jérôme Quadri

Ma quando poi la compagnia scende in platea abbracciando gli strumenti e, in un’ennesima evoluzione, ci trascina con sé fuori dal teatro sulla scia di una musica festante, capiamo che tutto quel rumore, quei movimenti di danza e quell’argilla che hanno segnato i volti degli attori e i loro corpi, altro non erano che un gioco, un tentativo di arginare la realtà e di fingere che, mentre il mondo finisce, noi come bambini possiamo ancora una volta nasconderci dietro una tenda e salvarci, esattamente come nel ventre di quel Mammut. Magari, prima o poi, qualcuno viene a prenderci.

Qui Som?

autori Camille Decourtye e Blaï Mateu Trias
con Lucia Bocanegra, Noëmie Bouissou, Camille Decourtye, Miguel Fiol, Dimitri Jourde, Chen-Wei Lee, Blaï Mateu Trias o Claudio Stellato, Yolanda Sey, Julian Sicard, Marti Soler, Maria Carolina Vieira, Guillermo Weickert.
collaborazione alla regia Maria Muñoz – Pep Ramis / Mal Pelo
collaborazione alla drammaturgia Barbara Métais-Chastanier
scenografia e costumi Lluc Castells
disegno luci Cube / María de la Cámara et Gabriel Pari
collaborazione musicale e creazione del suono Fanny Thollot
collaborazione musicale e composizione Pierre-François Dufour
ricerca sui materiali e sui colori Bonnefrite
ingegnere delle percussioni in ceramica Thomas Pachoud
direzione tecnica Romuald Simonneau
ceramista Sébastien De Groot
direzione di scena Mathieu Miorin e Benjamin Porcedda
gestione delle luci Enzo Giordana
gestione del suono Cholé Levoy
produzione Baro d’evel.

Roma Europa Festival, Teatro Argentina, Roma, 26-28 settembre 2024.