Giorgio Strehler si è spento a Lugano la notte di Natale del 1997. Una morte improvvisa, la sua, che lo colse mentre preparava la regia di Così fan tutte di Mozart e mentre la sede storica del Piccolo si accingeva ad essere trasferita nella nuova struttura di Largo Greppi. Il fondatore del primo teatro pubblico italiano, il geniale artefice di messinscene apprezzate in tutto il mondo, il Maestro visionario e lirico che aveva creduto nella missione educativa del teatro non fece in tempo a concludere il suo ultimo spettacolo (l’onore toccò a Carlo Battistoni) né a prendere dimestichezza con quel nuovo spazio per il quale aveva speso così tante energie.
La sala di via Rovello rimarrà dunque la sua vera, unica casa. Fu d’altronde lì che Strehler trascorse – letteralmente – la sua esistenza. Lì aveva avviato, con Paolo Grassi, il suo ambizioso progetto di rinnovamento. Lì aveva messo a segno gli spettacoli più significativi, rivoluzionato la regia italiana, scardinato l’egemonia del “grande attore” di matrice ottocentesca. Lì aveva imbastito e nutrito i suoi legami affettivi e, tanto più, aveva trovato una famiglia di attori, tecnici, collaboratori di cui non poteva fare a meno.
Non fu un uomo facile né un regista docile. Tutt’altro. Luci e ombre ne hanno costellato la parabola umana e artistica ma senza dubbio il suo genio ha segnato in modo decisivo la storia dello spettacolo contemporaneo. E questa genialità, questa vis creativa rappresenta uno degli aspetti più significativi che emerge dalla visione del bel film Strehler, com’è la notte? di Alessandro Turci. Prodotta dalla Dugong Films e RAI Documentari insieme con il Piccolo Teatro di Milano (e una serie di altre pregevoli istituzioni), la pellicola è stata realizzata in occasione del centenario della nascita del regista triestino (avvenuta il 14 agosto 1921 a Barcola) e, dopo il felice debutto al 39° Film Festival di Torino e la proiezione al Cinema Anteo di Milano, sarà trasmessa su RAI3 il 1° gennaio 2022.
Ma nel docufilm di Turci (anche autore della sceneggiatura insieme con Antonia Ponti e Federica Miglio) non c’è solo Strehler. Quello che viene rievocato qui è, piuttosto, un clima culturale che oggi non esiste più. Il ritratto dell’artista si inquadra infatti in un racconto sociale e storico che senza pedanteria né manierismo fa da sottofondo all’avventura teatrale del grande regista e intercetta le diverse voci dei tanti testimoni (amici, attori, persone care) chiamati a ricordarlo. Questo ventaglio di memorie (vengono intervistati, tra gli altri, Giancarlo Dettori, Giulia Lazzarini, Ornella Vanoni, Pamela Villoresi, Andrea Jonasson, Rosanna Purchia, Ezio Frigerio, Maurizio Porro, Claudio Magris) è il “sovratono” del film: ciò che ci permette di entrare nella vita e nella creatività di Strehler con il necessario distacco e di cogliere anche gli aspetti più controversi della sua personalità. Gli aspetti cupi e quelli vitali. Quelli fanciulleschi e quelli malinconici. A completare il puzzle ci pensano poi le lettere autografe, i documenti conservati presso l’Archivio storico di Trieste, le immagini dello Strehler pubblico, certi oggetti personali cari e amatissimi. Un universo davvero complesso di cui abbiamo parlato con lo stesso Turci.
Un documentario su Strehler in occasione del centenario della nascita: una bella sfida. Qual è l’intento principale del suo film?
Innanzitutto, ci interessava ricostruire e far rivivere certi ambienti, certe atmosfere di quella Milano che non c’è più. Abbiamo lavorato molto sulla ricerca delle varie locations. Direi che ci siamo concentrati su alcune persone che potessero raccontarci Strehler ma anche sui luoghi, sugli spazi attraversati dalla sua personalità. Oltre a Milano, Trieste ci sembrava molto significativa in tal senso. Così abbiamo intervistato l’archivista che si è occupata di sistemare il corposo Fondo Strehler (Franca Tissi ndr) e sono emersi aspetti molto interessanti. Alla fine, credo che si delinei un ritratto umano e al contempo filologico del grande uomo di teatro ma anche il sapore di un’epoca inesorabilmente finita. Nel film c’è molta cronaca. C’è lo Strehler politico. Ci sono i ruggenti anni Settanta, tangentopoli. Un pezzo di storia italiana.
Quanto tempo avete impiegato per realizzare Strehler, com’è la notte?
Il film ha richiesto circa un anno di lavoro. La maggior parte dei materiali proviene dall’Archivio della RAI e ovviamente abbiamo dovuto (e voluto) studiare molti più documenti di quanti ne siano stati effettivamente utilizzati. Molto è andato scartato ma era ovvio che ciò succedesse. Poi abbiamo puntato molto sulle interviste dirette. Come si noterà guardando il film, le testimonianze sono tutte piuttosto lunghe. Abbiamo dedicato molto tempo a questa raccolta di memorie personali perché abbiamo voluto lasciare a tutti il tempo necessario per far riaffiorare ricordi e aneddoti in modo sereno, senza imposizioni o condizionamenti. Infine, siamo intervenuti con un montaggio sostanzialmente lineare e organizzato in modo cronologico, dagli esordi fino al funerale e al debutto postumo di Così fan tutte. Anche se poi ovviamente all’interno del film ci sono tante elissi, tanti slittamenti cronologici.
Ad esempio?
Beh, pensiamo ad un lavoro come l’Arlecchino servitore di due padroni: accompagna Strehler dal ‘47 in poi e ancora oggi è un titolo del repertorio del Piccolo. Nel film occupa uno spazio molto sostanzioso. Stesso discorso per gli allestimenti brechtiani, perché il teatro epico è centrale nella produzione strehleriana e non si limita ad un ristretto arco di anni. Altro sguardo importante è quello che posiamo sulle donne con cui il regista ebbe relazioni importanti o che sposò. Questo filone attraversa tutta la sua vita e si intreccia con la narrazione del suo lavoro; basti pensare alla Vanoni, a Valentina Cortese oppure ad Andrea Jonasson.
Il suo film “parla” con un linguaggio molto esplicito, chiaro: a che tipo di pubblico si rivolge?
Non volevamo fare un film colto o d’élite; al contrario, abbiamo cercato di dare al docufilm un ritmo e una verità che si lasciassero guardare da chiunque. Di contro, abbiamo cercato di evitare il rischio del medaglione celebrativo. A ben vedere, nessuna delle voci che intervengono parla di Strehler come di un mito. Semmai, tutti lo raccontano come un artista, un genio se vogliamo, fatto di luci e ombre. Se, per esempio, poniamo attenzione alle parole di Frigerio o di Dettori, ci accorgiamo che entrambi, mentre parlano del “mito” Strehler, lo smitizzano con affetto, lo umanizzano, perché sono persone che hanno fatto parte della sua famiglia. Ecco credo che non ci sia niente di manierato nel film e questo è un pregio.
Attraverso la ricca raccolta di documenti e testimonianze fatta per il film, lei personalmente che idea si è fatto di Strehler?
Sono convinto che lo Strehler più vero, più vitale, sia quello che dirige le prove. Mentre lavora e guida gli attori nelle varie interpretazioni, emerge infatti chiaramente quel complesso processo di creazione artistica, a volte del tutto istintivo, che era capace di innescare. È stato un artista quanto mai generoso con il pubblico, non si è mai risparmiato. Senza dubbio aveva un forte ego ma era anche un uomo molto magnetico. La classica persona che riesce laddove gli altri non riescono. Un genio appunto. Inoltre, possedeva una forte etica del lavoro, era instancabile. Sono poi convinto che la presenza di Paolo Grassi, intellettuale di altissimo profilo, abbia giocato un ruolo essenziale nella carriera di Strehler e ci è dispiaciuto non poter approfondire questo aspetto nel film.
Film che ha un titolo emblematico: da dove nasce l’idea di questa citazione?
Come è noto, si tratta delle ultime battute di Vita di Galileo di Brecht. Strehler lo allestì nel 1963 e nei panni dello scienziato pisano c’era il grande Tino Buazzelli. Alla fine del dramma egli chiede: «Com’è la notte?» e Virginia, affacciata alla finestra, risponde: «Chiara». In questa risposta si annida dunque uno slancio di fiducia, di ottimismo realista. Ci sembrava perciò significativo restituire questa idea positiva del teatro e della vita, per cui abbiamo scelto quella battuta come titolo del film. D’altronde, il Galileo è assolutamente centrale nel percorso di Strehler.
Cosa si aspetta dalla messa in onda del film su RAI3?
Credo sia importante che il film venga divulgato e ci tenevamo che fosse il servizio pubblico a farlo. Tanto più che RAI Documentari ha coprodotto l’opera. Come ho detto prima, si tratta di un film per tutti i pubblici, per cui spero davvero che venga guardato da quanta più gente possibile e soprattutto dai giovani. A Torino ha raccolto ottimi consensi e a Milano i lavoratori del Piccolo, dopo la proiezione, ci hanno detto: «Grazie, perché non ci avete tradito». Ciò ci ha resi molto felici perché il film è anche un omaggio a loro. Strehler stesso aveva enorme rispetto dei lavoratori del suo teatro.
A tal riguardo, la risposta di Turci ci fa venire in mente una lettera – l’ultima – pubblicata nell’affascinante volume Lettere sul teatro (Archinto, 2000) in cui il regista si rivolge proprio ai dipendenti e ai collaboratori del Piccolo. È datata 5 dicembre 1997 e vi si legge: «Miei cari! Sta per iniziare una nuova entusiasmante ma difficilissima avventura, fra tanti problemi e fatiche, prima fra tutte questo violento e doloroso, ma forse inevitabile, abbandono delle mura di via Rovello. All’inizio di un mio nuovo lavoro Vi ho sempre visti numerosi alla prima lettura, cosa a me sempre cara. Oggi siamo di fronte a un qualcosa di diverso. Così fan tutte ha bisogno, per nascere nel breve tempo che ci siamo dati, della massima concentrazione e calma. Vi aspetto dunque come sempre quando cominceremo le prove in palcoscenico. Ancora una volta abbiamo dimostrato, visti i successi dei nostri avvii di stagione, quale è la nostra forza e la nostra determinazione. Io non ne ho mai dubitato, altri sì. Ho bisogno del Vostro entusiasmo e della Vostra vicinanza. Buon lavoro a tutti!».
Solo venti giorni dopo se ne sarebbe andato per sempre.
Strehler, com’è la notte?
regia Alessandro Turci
sceneggiatura Federica Miglio, Antonia Ponti, Alessandro Turci
cast Ornella Vanoni, Franca Cella, Franca Squarciapino, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Pamela Villoresi, Vittoria Crespi Morbio, Franca Tissi, Rosanna Purchia, Ezio Frigerio, Giancarlo Dettori, Stefano Rolando, Maurizio Porro, Claudio Magris.
Produzione Dugong Films, RAI Documentari
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Museo Teatrale Carlo Schmidl, Comune di Trieste, Fondo Giorgio Strehler della Fondazione Cineteca di Milano e dell’Archivio storico del Teatro alla Scala.
Anno 2021, durata 105 minuti, in onda su RAI3 il 1° gennaio 2022.