Una luce si fa spazio lentamente nel buio della sala, come irradiandosi tra le foglie degli alberi, espressione a cui la cultura giapponese ha trovato una parola – komorebi – intraducibile nella nostra lingua. Così si apre Tre sorelle, ultimo lavoro della compagnia teatrale Muta Imago e risultato di una lunga ricerca e di diverse residenze artistiche. Dopo Ashes, lo spettacolo con cui nel 2022 la regista Claudia Sorace e il drammaturgo e sound designer Riccardo Fazi hanno vinto il premio Ubu per il miglior progetto sonoro, Muta Imago porta in scena uno dei più noti drammi cechoviani, di cui restituisce tutta la bellezza e la profondità. Maša, Irina, Olga osservano con uno stupore quasi infantile la luce che entra nella loro casa: le loro risate e i loro sospiri ci riportano a quelli dei bambini che nel buio della notte rincorrono le lucciole. È la geometria perfetta di un cerchio quella disegnata a terra dalla luce e in cui le sorelle si trovano raccolte, simbolo di un legame familiare che segna un confine con il mondo, che protegge ma che allo stesso tempo isola. Sì, perché casa Prozorov è uno spazio in cui rimbomba solo l’eco di ciò che accade fuori, in cui la vita si osserva attraverso la finestra e le esistenze degli altri. Come sottolinea Péter Szondi, nei drammi di Čechov gli esseri umani vivono nel segno della rinuncia, la rinuncia alla felicità in un vero incontro, la rinuncia al presente. Il presente delle tre sorelle è oppresso dal passato e dall’avvenire e l’unica possibilità che intravedono per ritrovare una propria dimensione è tornare a Mosca, patria perduta, come lo è Combray per Marcel nella Recherche di Proust. Entrambe le opere, infatti, sono costruite intorno all’impossibilità di un ritorno. Non si può tornare a Mosca né a Combray esattamente come non si può tornare alla propria infanzia. Quello che le sorelle vivono, più che all’esistenza, somiglia a una sua ripetizione, a una serie uguali di giorni in cui l’unica dimensione possibile è quella del ricordo: il giorno in cui si apre il dramma, il 5 maggio, coincide non solo con l’anniversario di Irina, ma anche con la morte del padre. Il presente non esiste se non come specchio in cui si riflette ciò che è già stato.
Oltre alla luce, è il suono il vero protagonista di questa messa in scena. Il suono desta lo spettatore, lo tiene vigile, esattamente come mette in allarme le tre sorelle. È il segno della realtà esterna che incombe, dei pericoli che al di fuori di quello spazio protetto continuano a esistere. Come scrive Gerardo Guerrieri, Čechov era molto affascinato dal problema dei suoni, tanto che quando vide nel 1902 le Tre sorelle rappresentato a Mosca, rimase talmente deluso dal suono della campana d’allarme durante l’incendio del terzo atto che decise di rimediare. Stanislavskij racconta così quell’episodio: «Arrivò in teatro con la carrozza piena di casseruole, catini e barattoli di latta. Diede disposizione ai macchinisti per tutti questi strumenti, corse su e giù dal palcoscenico alla scena, affannato, eccitato». Di fronte a quella cacofonia di suoni, che coprì le parole degli attori, il pubblico cominciò a brontolare prima contro il suono, poi contro la commedia, poi contro l’autore.
In questa rappresentazione il suono d’allarme scelto per l’incendio non è quello di una campana ma di una sirena, presumibilmente la sirena dei vigili del fuoco. Il modo violento con cui si propaga improvvisamente nello spazio crea un cortocircuito nelle sorelle e nello spettatore. Esattamente come nel dramma, dopo quel momento nulla sarà più come prima. Quell’incendio, pur non arrivando a casa Prozorov, segnerà profondamente le sorelle Prozorov tanto che all’indomani Irina dirà: «Ho perduto dieci anni di vita, stanotte…».
Le figure maschili del dramma, poi, rappresentati dalla brigata dei militari che ronza attorno alla casa, riescono, nella loro assenza sulla scena, a far emergere il senso di ciò che rappresentano: fantasmi e proiezioni più che personaggi reali. L’adattamento di Muta Imago riesce fino in fondo a restituire l’essenza del testo cechoviano ovvero la sua natura corale. Le tre sorelle, pur avendo temperamenti, caratteri e aspirazioni diverse, finiscono per diventare un unico individuo a più voci, come se ciascuna di loro rappresentasse una parte diversa della coscienza della stessa donna. I loro movimenti variano, seguendo il ritmo degli impulsi e dei desideri che le abitano: dai gesti lenti e sinuosi dei passi di danza a scatti improvvisi e ripetitivi, come se il corpo fosse stato improvvisamente colpito da una scossa. La stanza che attraversano, a ritmi diversi, è quasi vuota fatta eccezione per pochi oggetti di scena, di cui il telefono rappresenta l’unico collegamento con l’esterno e il giradischi il ricordo di un tempo perduto. Ma l’ambiente è comunque affollato: di ricordi, di rimpianti, di incontri incompiuti, di desideri mai appagati. Solo alla fine comprendiamo che quella luce iniziale, che tanta somigliava per la sorpresa con cui veniva accolta al rincorrere le lucciole, che poi sono solo ricordi, non era altro che un abbaglio.
Tre sorelle
di Anton Čechov
regia Claudia Sorace
drammaturgia/suono Riccardo Fazi
con Federica Dordei, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli
musiche originali eseguite dal vivo Lorenzo Tomio
disegno scene Paola Villani
direzione tecnica e luci Maria Elena Fusacchia
costumi Fiamma Benvignati
amministrazione, organizzazione e produzione Grazia Sgueglia, Silvia Parlani, Valentina Bertolino
ufficio stampa Marta Scandorza
coproduzione Index Muta Imago, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, TPE/Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024. Capitale Italiana della Cultura.
Teatro India, Roma, dal 9 al 14 maggio 2023.