La prima volta che ho conosciuto Salvatore Cardone è stato in un pomeriggio sul tardi a San Lorenzo. Il mio amico Tommaso seguiva il suo laboratorio di poesia e mi aveva invitato ad assistere. I ragazzi scandivano i versi che avevano composto e si muovevano nello spazio per dare corpo alle parole pronunciate, renderle visibili. Seduta in fondo alla sala, assistevo con curiosità a quel modo di fare teatro per me del tutto nuovo. Avevo seguito diversi corsi ma in nessuno di questi mi era mai capitato di soffermarmi sulla poesia, mai l’avevo immaginata come “oggetto” teatrale. C’è un altro aspetto che mi colpì subito e che Cardone aveva ribadito come centrale: la memoria. L’importanza di sapere i versi a memoria. Un rito che gli alunni di questo maestro conoscono bene. Se ho usato il termine maestro per definire la sua figura è perché credo sia quello più adatto ad esprimere il suo lavoro. Chi è il maestro se non colui che mette a disposizione la propria esperienza, trasmettendo i fondamenti e il senso più profondo di una disciplina? Non definiamo maestro colui che si fa portavoce di una ritualità?
Tra le diverse esperienze di insegnamento che Cardone ha portato avanti nel corso degli anni ve n’è una in particolare che ha subito catturato la mia attenzione. Dal 2013 al 2018 ha condotto per la Scuola di Medicina dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli il laboratorio teatrale dal titolo La strategia del silenzio. L’idea di creare questo laboratorio venne al professore Ciro Gallo, che conosceva già il lavoro di Cardone sulla pedagogia teatrale. Gallo si rese conto che nella Facoltà di Medicina vi era un problema a livello formativo mai affrontato prima. Mancava uno spazio-tempo di riflessione sulle dinamiche che entrano in gioco nella relazione medico-paziente. Gli studenti non avevano la possibilità, durante il loro percorso di studi, di esercitare l’ascolto, raccontare le storie, imparare a mantenere la distanza necessaria e a non farsi travolgere emotivamente e fisicamente. Ed è proprio a partire da questa constatazione che è nato il laboratorio de La strategia del silenzio, con la convinzione che l’esperienza teatrale favorisca il coinvolgimento sia sul piano cognitivo sia sul piano emotivo. Ho avuto modo di incontrare alcune delle studentesse che hanno partecipato a questo laboratorio durante una serata di poesia dal titolo Quando la lampada è accesa, che si è tenuta al Teatro dei Documenti di Roma. In particolare, la testimonianza di una di loro mi ha dimostrato quanto quell’esperienza si sia rivelata salvifica anche durante la quarantena, a dimostrazione che quando un maestro è in grado di trasmetterti il senso di una disciplina, quel senso si mostra nei momenti più inaspettati.
Tra le diverse esperienze che Cardone porta avanti da anni vi è Studio Orale, un progetto che ha avuto inizio nel 2011 e che continua ancora. Dopo aver ideato e diretto per sei anni presso l’Accademia Silvio D’amico il primo corso istituzionale di Pedagogia teatrale, Cardone si è reso conto di voler continuare anche fuori il lavoro cominciato in Accademia. Ed è su questa scia che ha preso vita Studio Orale, con l’intenzione di creare una comunità con cui ragionare sulla realizzazione di alcuni progetti teatrali. In questi laboratori il teatro e la poesia sono pensati insieme. Proviamo a riflettere a partire da queste domande: cosa diventa un endecasillabo sulla scena? Cosa significa trasporre dei versi sul palco? Uno degli esercizi che Cardone propone per lavorare sulla contaminazione di queste due arti per esempio è quello di domandare all’allievo di fermarsi alla fine di ogni verso. Qual è il senso di quella interruzione? Di essere la trasposizione scenica di una struttura poetica. Il risultato di questi anni di insegnamento è ora condensato in un volumetto dal titolo Breviario di Pedagogia Teatrale, pubblicato dall’Editoriale scientifica con l’introduzione di Alessio Bergamo.
Ogni capitolo è concepito come una breve lezione, in cui vengono chiariti i principi generali che una pedagogia che ha per oggetto il teatro deve seguire. Ciò che da subito caratterizza questa disciplina, spiega Cardone nelle prime pagine, è il fatto che alla base della sua azione ci sia sempre un’idea di teatro a cui aderire come atto iniziale. La pedagogia teatrale rende l’atto recitativo un atto responsabile grazie al suo imprinting filosofico. Lì dove c’è un’idea di teatro c’è anche un preciso modello drammatico. Capiamo forse la vera natura di una pedagogia teatrale attraverso la comparazione con la regia, che Cardone affronta nel capitolo Pedagogia e messa in scena. C’è una prima differenza fondamentale tra il pedagogo e il regista. Ciò che li distingue innanzitutto è la direzione. Entrambi sono leader di un gruppo ma, mentre il regista costruisce un linguaggio in vista di una comunicazione rivolta fuori, il pedagogo costruisce un linguaggio da parlare dentro. Il primo ha come destinatario ultimo lo spettatore, il secondo l’attore. La regia, secondo Cardone, è prescrittiva, dà delle indicazioni su come mettere in scena, mentre con il teatro pedagogico l’attore viene invitato a fare liberamente. Solo in un secondo momento viene analizzato insieme ciò che è successo. La differenza quindi tra il teatro pedagogico e quello tradizionale non è negli esiti ma nel processo. Breviario di Pedagogia Teatrale è un ottimo strumento per essere introdotti al lavoro teatrale di Cardone, poiché ci permette di entrare nel vivo del suo modo di intendere la formazione dell’attore, il rapporto con il testo e le complesse dinamiche della messa in scena, in una prospettiva nuova, che ci permette oggi, in un momento buio per il teatro, di rileggere e ripensare questa arte sotto una nuova luce.