Sasha Waltz, l’ininterrotta opera di liberazione di Alessandra Bernocco

Foto di Sebastian Bolesch

Una nuvola di vapore si alza dalla scena. Avvolge tre corpi con il capo protetto da caschi che nascondono il volto e avanzano, lentamente. Paiono dolenti, sotto sforzo, rettili che si sono sollevati da terra perché la terra si è fatta inospitale. Creature sopravvissute a una devastazione.  A una catastrofe naturale, civile, culturale. Un paesaggio lunare, o postatomico, una landa brulla dove tutto è azzerato. È questa la prima immagine di Beethoven 7, lo spettacolo di Sasha Waltz presentato in due parti all’Auditorium della Conciliazione venerdì 13 e sabato 14 settembre per la trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival. La sensazione è di smarrimento, di abbandono in un luogo senza contorni, dove nessuno è immune, nulla è incolume e tutto può essere attaccato.
Si intuisce bene dal prosieguo, quando la coreografia estesa a tredici danzatrici e danzatori, privi di maschera, si fa frenetica, quasi violenta, come se i corpi superstiti volessero liberarsi da aggressioni esterne, virus, forse, o insetti molesti, provocazioni dalle quali difendersi  involvendo nel bozzolo, arretrando verso uno stadio larvale  che la magnifica coreografia che chiaramente confida nella memoria del corpo, rappresenta con un groviglio fitto e informe di  arti e tronchi che si confondono. Prima di liberarsi nuovamente da costrizioni da essi stessi create, impendendosi, sostenendosi, rincorrendosi e poi scartando di lato fino a scacciare come in un rito collettivo da sotto la pianta dei piedi qualcosa che torna a dare fastidio. Il fondale che si è improvvisamente colorato di rosso e l’associazione con un nucleo di fuoco in cui rigettare ogni residuo cattivo mi viene immediata. Chissà. Certo che i movimenti da sincopati si fanno più fluidi e i tremiti a mano a mano si placano. Il rapporto dei corpi con i suoni e le musiche dal vivo di Diego Noguera è intimo, viscerale, tale per cui ogni piccolo gesto appare partorito da un suono.

Foto di Sebastian Bolesch

Più strutturata, la seconda parte vede gli stessi danzatori confrontarsi con la settima sinfonia di Beethoven nella versione diretta da Teodor Currentzis e muoversi secondo una coreografia geometrica, che trasmette gioia, irrequietezza, allegria turbolenta, fatta di allineamenti e diagonali perfette ma anche di movimenti convulsi che si arrestano nei silenzi improvvisi, dove la musica cessa e lascia spazio al brusio di voci registrate fuori campo.
“Le persone reali sono schiave dell’ambiente in cui vivono, o possono dirsi libere?” A questa domanda, che Beethoven poneva a sé stesso e al mondo nel 1812, Sasha Waltz ha provato a rispondere e il risultato è uno sforzo ininterrotto di liberazione: dai confini del corpo e oltre l’involucro che protegge e conforta.

Beethoven 7

ideazione e coreografia Sasha Waltz
musica Ludwig van Beethoven, Diego Noguera (live)
costumi Federico Polucci, Bernd Skodzig
luci Martin Hauk, Jörg Bittner
drammaturgia Jochen Sandig
ripetizioni Jirí Bartovanec
danza e coreografia Rosa Dicuonzo, Edivaldo Ernesto, Yuya Fujinami, Tian Gao, Eva Georgitsopoulou, Hwanhee Hwang, Sara Koluchová, Annapaola Leso, Jaan Männima, Sean Nederlof, Virgis Puodziunas, Sasa Queliz, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodriguez
assistenza regia e produzione Steffen Döring
tour management Karsten Liske
direzione tecnica Reinhard Wizisla
assistenza direzione tecnica Moritz Hauptvogel
assistente alle luci Olaf Danilsen
sound Carlo Grippa
assistenza direzione costumi Nadja Herklotz
sartoria Manja Beneke
capelli e trucco Kati Heimann
direttore finanziario Stephan E. Schmidt
direzione generale Sasha Waltz, Jochen Sandig, Bärbel Kern, Reinhard Wizisla.

Romaeuropa Festival, Auditorium Conciliazione, Roma, 13 e 14 settembre 2024.