Primavera che ritorna, tiepida. Dal vetro opaco, un timido raggio di sole ferisce di vita il primo bocciolo. La seduta è comoda, i piedi sono poggiati sul piccolo tavolo sotto la finestra. Tra le mani un libro, immagine di uno spazio performativo insolito. La copertina/sipario è color magenta e da una foto in bianco e nero sfocata emerge la risata fulgida del volto immortalato. Il titolo è Enzo Cosimi. Una conversazione quasi angelica – 10 oggetti per uso domestico a cura di Maria Paola Zedda, esperta di danza, performance e arti visive. Il volume, primogenito del progetto Portraits per la collana Spaesamenti, non vuole essere un saggio, ma scommette sull’ipotesi di consolidare uno strumento di altra natura: un muro affrescato attraverso una scrittura in forma di dialogo. Racconti inediti, immagini, oggetti, vita privata e pubblica, spettacoli. Anime da scavare, “scena dopo scena”.
Mezza sala. Buio. Sipario. Un ritratto, schizzato da Eric Pujalet-Plaà, campeggia sulla prima scena. Pochi segni in bianco e nero catturano tratti della personalità di Enzo Cosimi, il protagonista. Nelle prime pagine è descritta una casa/capanna sempre illuminata, dove Tempo è abitato con equilibrio e le Memorie convivono. In questo luogo magico s’incontrano Riflessione ed Erotismo, Apollo e Dioniso, personaggi chiave per la ricerca dell’individualità e la creazione di visioni in contrasto. L’esplorazione della sfera sessuale diventa il leitmotiv della vita artistica del coreografo. Piacere orizzontale. Buio. La seconda scena racconta del legame di Cosimi con Warhol e Pasolini: Vinyl (1965) e Porcile (1969). Pagina dopo pagina si susseguono i ricordi: i primi anni della formazione e l’incontro con Tere O’Connor, i rapporti di collaborazione e le amicizie. Feticismo del gesto, ossessione dello sguardo. Glamour, coprotagonista. Poi, il primo manifesto della danza d’autore e l’interdisciplinarietà del Lab:oratory engines.
A pagina 29, tra i colori caldi dell’opera di Laura Grosso, si apre la terza scena. L’intenzione è portare la danza “alta” in luoghi non convenzionali. Siamo al Piper di Roma: nasce Repertori d’amore (1982). Tra le suggestioni dell’apprendistato, il Mudra di Bruxelles, New York e il maestro Merce Cunningham, le scene diventano accattivanti e consecutive. Cambio d’atmosfera repentino e primo piano sul ritorno a Roma, DNA del protagonista: un cono di luce sul ruolo di Nico Garrone, Franco Cordelli e, con sonorità più intime, di Giuseppe, “Beppe”, Bartolucci. Debutta Calore (1982). Pagina successiva. La scenografia della quarta scena è una fotografia/dono di Cristian Dorigatti che traghetta lo spettatore nella casa/mondo del coreografo. Gli interpreti sono Sadomaso, Horror, Grottesco e Glamour ma è Musica ad avere il ruolo fondamentale affiancata da Cinema, Arti visive e Video. Sottrarre la narrazione tradizionale, drammatizzare. Lo spettatore ha la percezione di uno sfondamento e, violentemente, risaltano temperamento e temperatura del segno coreografico: la dinamica esplode e l’indagine sulla figura dell’eroe trova il giusto scenario nella quinta scena in cui è raccontata la collaborazione con l’artista Luigi Veronesi e l’interesse per un fondo astratto che non fa più paura. Il patrimonio segnico è nutrito. I danzatori partono dall’architettura del balletto e attraversano la tecnica contemporanea. Il corpo memorizza e custodisce come una traccia solcata, dentro. Poi, ancora oltre: dimenticano, sottraggono imponendo la presenza. Oggi, il ritmo del silenzio: questo rimane delle due vite di Coreografia vissute da Enzo Cosimi. Distolgo lo sguardo, il sole è alto. Penso alla reclusione forzata di questi giorni, poi torno alle pagine porose e alla foto di un paio di corna, parte di un grande cavallo a dondolo realizzato da Daniela Dal Cin, compagna artistica di mille avventure. Il corpo nella sesta scena diventa barocco, mostruoso, inoculato di comicità nera. Pop ha il ruolo principale. Micro partiture complesse entrano in contrasto con segni scenografici essenziali ma folgoranti e seduttivi. Tutto deve essere ancora scritto, addosso, e la vecchia, descrittiva e polverosa Scenografia è superata. Il periodo strutturalista di Cosimi ha inizio. Buio. Kiss the ghost! è il dipinto sulla parete della settima scena. La sua natura ribelle colpisce lo spettatore. Autore, Aldo Tilocca. Eliogabalo (1998) sancisce per Cosimi la collaborazione con l’artista e il legame con Artaud. In Roma (2001) si intravedono, trasformati, i segni iconici e pop della storia della città: un grande scorcio, primo esperimento d’istallazione. Entrano Amatori e Professionisti, i contesti si mescolano e la plastica ricercata è quella di corpi irregolari. La luce si spegne sulla bellezza del corpo tecnicamente perfetto e si accende su sculture inesplorate: siamo davanti a Corpus Hominis (2016) e, in controluce, Estasi (2016). Sessualità, alterazione e spiritualità. Ritratti visionari ed erotici creati da Lorenzo Castore, amico e artista. Cambio luce. Thanks for hurting me (2017). Corpi mutanti, infettati: uno squarcio nel rigore, interpreti che si perdono ma si osservano, vigili e irrazionali. Pagina 75, ottava scena: viaggio ad Amsterdam, 1978, prima mostra dell’artista Robert Mapplethorpe. Masochismo si mostra, Feticismo sempre presente. Potenza delle immagini: carnalità, delirio, astrattismo e raffinatezza estetica. Enzo Cosimi è solo in scena. Il terrore della perdita di Presenza provoca un brivido che non è paura ma equilibrio del doppio: tensione e rilassamento. La potenzialità coreografica del nervo diventa centrale, oltre il muscolo. Davanti agli occhi Bacon – Punizione per il ribelle (1999) e, in lontananza, una rievocazione dolorosa e dolce: la figura della madre che avanza con la sua gestualità barocca, verbosa. Donna del popolo, icona e guida: Sciame (1987) la ricorda.
Girando pagina, l’immagine di una bambolina, ricordo di un viaggio in Giappone: nono quadro, Hallo Kitty! (2002). Scrittura coreografica corposa in uno scenario costruito da testi narrativi, cinema e visioni pop. Buio. Si rintraccia l’importanza dei luoghi: New York anni Ottanta, Berlino, decennio successivo, città/laboratorio a cielo aperto. Sperimentazioni. Cambio scena. Visioni di I need more (2004). Personaggi stravaganti, disabili e homeless irrompono sulla scena riappropriandosi dello spazio visivo: libertà e forza di essere nuda vita, senza pietà. Poi l’incontro con il regista Bruce LaBruce, il porno d’autore e una sensualità senza sfumature, che da sempre pullula sotto il lavoro di Cosimi. Welcome to my world (2012): nervi allertati, movimento continuo in un corpo solo apparentemente morto. Scena vuota, lo spettatore naufraga, l’atmosfera è contaminata. Tutto è fumo. Movimento, testo, video, multidimensionalità. Hell… yeah (2006): un campanello, una bara specchiata, un sipario di catene sul fondo e il concetto di Vanitas nella società contemporanea. Fine decima. È l’imbrunire, la luce fioca della lampada prende il posto del sole. Secondo atto: 1982-2019 fast forward and rewind. Come in un susseguirsi di pas de deux e coreografie per trio, la curatrice lega i lavori firmati dal coreografo e, con un linguaggio denso e, a tratti poetico, racconta le metamorfosi di un vocabolario coreografico in divenire. Buio. Sipario. Applausi.
È notte. La luna, sospesa, inonda la stanza con la sua luce, disegnando il tempo e lo spazio. Tra le mani un compendio armonico e intelligentemente orchestrato, in cui i racconti e le riflessioni aprono ad una polifonia di echi/immagini che catturano il lettore/spettatore mettendolo di fronte a un’architettura di aneddoti, oggetti e vita vissuta, in cui corrispondenze e differenti registri sono equilibrati in una scrittura/drammaturgia organica, lungo un godibile e compiuto viaggio sensoriale-conoscitivo.
Enzo Cosimi. Una conversazione quasi angelica. 10 oggetti per uso domestico, a cura di Maria Paola Zedda, Editoria & Spettacolo, Spoleto (Pg), 2019, pp. 176, euro 18,00.