Il senso comune vuole che “sogno” indichi qualcosa di falso e immaginario. A prescindere che si intenda il termine come un riferimento alla concreta attività onirica, oppure come una metafora per indicare un’utopia e un progetto di dubbia o impossibile realizzazione, esso allude pur sempre a un contenuto privo di corrispondente reale e che sfugge a ogni logica razionale. Sotto l’influenza di Freud, inoltre, il senso comune vuole che il sogno sia una maschera della violenza e dell’anarchia. Il contenuto onirico nasconderebbe, infatti, alcune pulsioni violente che vengono frenate dalla ragione durante la veglia e la vita cosciente. Il senso comune sostiene con forza che il sogno incarna, insomma, tutto ciò che è non scientifico e immorale.
Come spesso accade, tuttavia, la questione è ben più labirintica e ingarbugliata di quanto il senso comune – anche alimentato da grandi intellettuali come Freud – faccia apparire. È infatti possibile, a mio avviso, sostenere con buoni argomenti che può esistere una scienza e un’etica del sogno. In altri termini, anche l’attività onirica mostra delle leggi che possono essere individuate e spiegate, dunque una traiettoria disciplinata e ordinata. E anche nell’apparente brulicare delle pulsioni violente si può individuare una precisa volontà etica. Se infatti una persona fantastica nel sonno di sodomizzare i propri genitori o di compiere altre atrocità, è perché ritiene desiderabile questi atti anche nella veglia e opina che la loro realizzazione sia un bene. In altri termini, non esiste un presunto istinto innato del vivente alla violenza: ciascuno sogna quel che vuole sognare. La prova empirica di questo punto è che, in altri dormienti, la fantasticheria onirica immagina persone nell’atto di realizzare la virtù, la ragione, il meglio.
Il conflitto tra il senso comune e questa prospettiva diventa ancora più marcato, nel momento in cui si cerca di interpretare l’enunciato «La vita è sogno» del drammaturgo Calderón de la Barca. Il primo lo leggerebbe come l’affermazione che l’esistenza è un caos in cui non ci si orienta. La concezione avversa al senso comune sosterebbe, invece, che un tale enunciato sottintende forse un’affermazione scientifica (= vivere è sognare) e una dichiarazione etica (= le azioni belle o brutte che facciamo nella vita sono analoghe a quelle che facciamo nel sogno).
Tale prospettiva apre allora il problema che segue. Di che tipo di scienza e di che tipo di etica stiamo parlando? E poiché Calderón era un drammaturgo che diffondeva la sua visione del mondo mediante la poesia della scena, si può specificare ancora meglio la domanda. Quale forma di scienza e morale è promossa dal teatro che dice che «La vita è sogno»?
Le risposte che si possono dare variano molto, a seconda del modo in cui si concepisce il senso e i metodi dell’attività scientifica, etica, teatrale. La messa in scena de La vida es sueño di Lenz Fondazione cerca a sua volta la sua personale soluzione all’enigma dell’enunciato «La vita è sogno» di Calderón, modificando in punti decisivi l’opera originale del drammaturgo spagnolo. Vale la pena indicare i cambiamenti principali, prima di analizzare brevemente le loro ricadute sul piano scientifico, etico e teatrale.
Lenz Fondazione cerca, anzitutto, di rendere più astratto e universale il contenuto dell’originale di Calderón. A tal proposito, la compagnia non parte dalla versione de La vida es sueño del 1635, che mette in scena dei personaggi in carne ossa (Sigismondo, Rosalba, il re Basilio, Clarino, Clotaldo, ecc.), bensì dall’auto sacramental omonimo di circa quarant’anni successivo. In questa seconda versione, il dramma viene spogliato di tutti i personaggi e dei loro personalismi, lasciando che sulla scena agiscano delle pure allegorie. Ora, Lenz Fondazione riscrive a sua volta questa riscrittura. Non vediamo ad esempio degli esseri umani, bensì l’Uomo e l’Uomo-Bambino. Né osserviamo Sigismondo che intende affermare liberamente la propria potenza contro il fato e l’autorità paterna, la cui virulenza viene arginata solo dall’amore per Rosalba e dalla comprensione intellettuale che, forse, l’intera vita è un sogno illusorio. Vediamo, invece, la creazione dell’Uomo da parte del Potere e il suo cattivo uso del Libero Arbitrio, che solo Amore, Intelletto e Devozione cercano invano di correggere. Infine, al posto del re Basilio che vuole saggiare l’indole di Sigismondo per decidere se consegnargli o no il governo della Polonia, ci è raccontato un dramma più grande. Si narra la creazione dell’Uomo da parte di Dio e il tentativo del primo di rovesciare il secondo sulla nuda terra.
Ciò significa che la scelta consapevole di far rappresentare la vicenda ad alcune allegorie mira alla narrazione di un’“antropogonia”. Quel che interessa Lenz Fondazione è narrare la nascita, il crescere e il morire dell’Uomo, ponendo agli spettatori convenuti alcune questioni fondamentali, assai più grandi di loro. Sapete che cos’è il Libero Arbitrio e il Potere? Se no, come potete acquisire questa Sapienza (altra allegoria che fa la sua apparizione sulla scena)? Ma se conoscete l’essenza del Potere e del Libero Arbitrio, sapete anche come utilizzarli con Amore e Intelletto, oppure li sprecate senza realizzare niente di significativo e perciò fate ricadere questi doni divini nell’Ombra, vale a dire nel nulla da cui tutti veniamo?
Un’altra variazione significativa della riscrittura rispetto all’originale è poi rappresentata dall’ambientazione. La reggia del re Basilio e la caverna in cui era imprigionato Sigismondo vengono sostituite, rispettivamente, da una corsia con 15 letti di ospedale e un ammasso di stracci, rammendando i quali Dio crea l’Uomo. L’opulenza dell’originale di Calderón viene così coscientemente impoverita, per mostrare che sotto il fasto della vita vi è poca cosa. Benché stupendo e variopinto, il mondo rimane una corsia ospedaliera, in cui persino Amore e Intelletto sono ricoverati d’urgenza. E l’Uomo che viene posto da Dio all’apice della creazione è additato come un ammasso di polvere confusa, senza forma. Il quadro è dunque quello di un pessimismo cosmico, redento solo sul finale della rappresentazione. Si osserverà, infatti, a un abbraccio tra l’Uomo-Bambino che ha preso consapevolezza del suo essere nulla e la Devozione, che rivela «d’essere un enigma» che sintetizza le contraddizioni e la complessità dell’esistenza. Il pessimismo viene in questo modo inteso non come una via breve verso il nichilismo, bensì come un percorso mistico verso quella che è forse l’unica felicità possibile per noi. Anche se il mondo è una malattia e l’umanità poltiglia, l’uno e l’altra contengono un mistero vitale, che attrae l’intelligenza e la sprona a cercare di esercitarsi al meglio nel breve tempo che le è concesso.
A partire da queste osservazioni, possiamo dunque tornare alla domanda posta all’inizio: che tipo di scienza, etica, teatro promuove l’affermazione «La vita è sogno» interpretata da Lenz Fondazione? Per ciascuno di questi punti, si possono fornire le brevi osservazioni che seguono.
La scienza che propone Lenz Fondazione con il lavoro La vida es sueño è che l’umanità sia un sogno convulso di Dio. Lo spettatore vede nei primi quattro quadri la veglia della divinità che si accinge alla creazione. Osserva poi, nei successivi cinque, al sogno dell’Uomo che viene portato alla luce e crede di essere un qualcosa dotato di Potere / Intelletto / Libero Arbitrio. Infine, contempla nei tre quadri finali al riscuotersi dell’Uomo dal suo sognare e il suo già citato incontro col mistero della Devozione. L’affermazione scientifica di Lenz Fondazione è, insomma, che la distinzione tra veglia, sonno e sogno non ha ragione di esistere. Sognare significa vivere senza riconoscere il mistero dell’esistenza, che Dio forse guarda faccia a faccia in veglia perenne e che l’Uomo tocca quando rinuncia ai suoi deliri di onnipotenza, onniscienza, onniveggenza.
L’etica di Lenz Fondazione è invece figlia di questa concezione scientifica. Il suo spettacolo La vida es sueño ribadisce quello che molti moralisti intelligenti dicono dagli albori della storia: che potere, sapienza e libertà non sono veri beni, se manca un fine concreto cui destinarli. Questo obiettivo è a sua volta identificato nel sogno della poesia. Un essere umano è tanto più potente, sapiente e libero non se ha soldi, libri o possibilità di movimento, ma quanto più è poeta e riesce a catturare il mistero della vita, che si nasconde dietro le sue evidenti e frequenti miserie.
Il teatro di Lenz Fondazione consiste, infine, nella ricerca di visioni che veicolano questa visione etico-scientifica. Il teatro è infatti poesia, anzi poesia in azione che esprime la ricchezza di senso delle allegorie attraverso i corpi degli attori. Questi ultimi riescono così, almeno per il breve tempo della rappresentazione poetica, a diventare qualcosa di più che polvere tra gli stracci. Essi si fanno fugace tramite della Devozione per la bellezza. In modo paradossale, dunque, gli attori mostrano come il riconoscimento della nostra pochezza sia la premessa per l’accesso al divino e all’assoluto. Il teatro suggerisce che la forza sia l’impotenza, che l’autentica libertà sia l’abbandono, che la sola sapienza sia l’illusione del bello.