E alla fine arriva quel colpo di vento che spazza via cattive abitudini e buone confortanti maniere, inutili contrapposizioni tra teatro cosiddetto di tradizione e teatro cosiddetto di ricerca, tra teatro brillante e teatro impegnato, tra la sfera del comico posta sempre un po’ in basso e il drammatico che invece è prerogativa delle anime nobili. Arriva Massimiliano Civica con Neil Simon e manda tutto, allegramente e serissimamente, all’aria. Presentato in prima nazionale al Teatro Vascello di Roma, all’interno della trentanovesima edizione del Romaeuropa festival, Capitolo due può considerarsi lo spettacolo della maturità del regista rietino (non a caso, ha da poco compiuto 50 anni), dal 2021 direttore artistico del Metastasio di Prato: elegante, minimale, infallibile nel ritmo, fantasioso e divertente nella forma. Dalla geometria di una scena “agita” in ogni suo elemento, fino alla recitazione, misuratissima, solo apparentemente atonale degli interpreti (ci sono, in realtà, così tante piccole vibrazioni-variazioni nelle loro voci non amplificate, da chiamarci a un ascolto maniacale, così come maniacale è la direzione-orchestrazione d’attore), Capitolo due si presenta fin dalle prime battute come un’occasione di gioia, e non di afflizione, per lo spettatore. Evitando deliberatamente l’afflizione, Civica sa di correre un pericolo. Magari qualcuno potrebbe incontrarlo per strada e chiedergli, a brutto muso: «Ehi tu, ma fai o non fai teatro d’avanguardia? Sono confuso. Dove ti devo collocare? Neil Simon non era da mettere nella casella “teatro brillante/commerciale?”».
In Italia, Neil Simon non fa più parte da tempo degli autori preferiti dai grandi attori (con l’eccezione di Orsini e Branciaroli, che stanno portando con successo in giro I ragazzi irresistibili, regia di Popolizio). Ignorato dal cosiddetto “teatro di regia” che conferisce autorialità solo al metteur en scène, lasciando spesso che il materiale drammaturgico affiori dalle pagine di romanzi insistentemente e violentemente adattati per la scena, come se gli autori teatrali fossero una razza estinta, il repertorio classico americano (se vogliamo ora limitarci a quello) attrae soltanto sul versante drammatico. Arthur Miller passa l’esame, Neil Simon no. Il pregiudizio è radicato, duro a morire, fondandosi su quel sentimento di vergogna che si prova ogni volta che si ha a che fare con la battuta. Ridere di una battuta, per quanto intelligente, raffinata, rovinosa come quella di Simon, è giudicato alla fine un gesto un po’ sconveniente, incontrollato. Meglio andare sul sicuro, abbracciando grandi temi sociali e politici (anche se non sono quelli di casa nostra, anzi meglio se non sono quelli di casa nostra) che si sciolgono in riti sacrificali in cui il corpo può entrarci, ma solo a costo di essere torturato in diretta.
Massimiliano Civica ha sempre preferito confrontarsi con la scrittura teatrale dei mai morti – Euripide, Shakespeare – e di Armando Pirozzi, drammaturgo che ha la sfrontatezza di essere addirittura vivente, con il quale ha creato un patto di ferro dagli esiti spesso felici. Non considera, insomma, pura opinione, se non un vero e proprio fastidio, l’idea di una drammaturgia intesa come: composizione di un testo che abbia personaggi, dialoghi creati per la parola a voce alta e non per la lettura interiore, disseminazione sapiente di indizi da collegare solo alla fine dell’investigazione, movimenti e capovolgimenti continui, finali non annunciati. Ancor meno ama riferirsi a quei modelli di autofiction che vanno tanto di moda, quelle cose del tipo «sono solo nella mia cameretta e penso, e se quello che penso diventasse ora proprio il soggetto di uno spettacolo da farsi che non si farà mai e di cui mostreremo ovviamente solo le prove anzi nemmeno le prove ma solo quello che io penso, dalla mia cameretta, debba essere il teatro che si interroga, inutile dirlo, sul mondo orribile che sta lì fuori…?».
Finché si mette in scena Euripide o Shakespeare il rischio è relativo. La bomba potrebbe chiamarsi proprio Neil Simon. Ma è proprio in questa prova ardita che Civica dà il meglio di sé. Composto dal drammaturgo statunitense sulle tracce lasciate dal suo stesso vissuto, Capitolo due (Chapter Two), debutta all’Imperial Theatre di New York il 4 dicembre 1977 con la regia di Herbert Ross. Due anni più tardi viene realizzata una versione cinematografica firmata da Robert Moore, con James Caan nel ruolo del protagonista.
Di questo testo letteralmente fantastico, Civica riesce a leggere ogni sfumatura, lasciando che il potenziale anche drammatico dell’opera affiori dalla recitazione degli infallibili interpreti. George (Aldo Ottobrino) è uno scrittore di gialli che pubblica usando uno pseudonimo. Come letterato, invece, ha poca fortuna. Lo incontriamo di ritorno da un viaggio doloroso: ha dovuto seppellire l’amata, inseparabile moglie. Accanto a lui, il fratello Leo (Francesco Rotelli), addetto stampa a Broadway, che cerca in tutti i modi di consolarlo: tenterà di organizzargli qualche incontro galante che possa far uscire George dalla cronica malinconia in cui è caduto. I risultati sono comicamente disastrosi. Finché, con la complicità di Faye (Ilaria Martinelli), Leo fa in modo che George incontri Jennie, una donna splendida sopravvissuta a un divorzio (Maria Vittoria Argenti). Quello che accade tra di loro ha bisogno di un intero secondo atto per prendere forma. È un tempo apparentemente lento ma necessario in ogni suo passaggio, per far sì che la materia esistenziale della commedia esploda senza ovvietà, lasciando che elaborazione del lutto e costruzione di una nuova possibilità di vita (il capitolo due del titolo) crescano nello stesso organismo vivente: ecco un esempio luminoso di drammaturgia.
Ha ragione Civica a paragonare Simon ad Euripide e Menandro. Nelle note di regia, il regista parla anche di Mario Monicelli, del film Un borghese piccolo piccolo che ha dato a Sordi il più bel ruolo drammatico della sua carriera: «È un film tremendo, che mette fine alla commedia all’italiana. Nemmeno Kubrick arriva a quel livello di violenza, a una tale denuncia della società. Eppure, è comico». Ma non dimentichiamo che prima dell’opera cinematografica c’è la scrittura sofisticata di Vincenzo Cerami, che con Un borghese piccolo piccolo fa, nel 1976, il suo vigoroso ingresso nel mondo letterario (lo stesso mondo che oggi lo ignora). All’origine di ogni opera memorabile, c’è quasi sempre una scrittura di ferro.
Composto dopo la morte della moglie, Capitolo due procede come una sinfonia in due movimenti che scioglie in dialogo dolore e gioia, malinconia e speranza: una partitura quasi matematica in cui niente può essere lasciato al caso o all’improvvisazione. Il lavoro metodico, paziente e fortemente creativo che Civica ha condotto assieme ai suoi attori ha fatto sì che di questa composizione drammatico-musicale emergesse ogni singola nota. Poca astrazione, solo un mostruoso allenamento. In direzione della vita.
Capitolo due
di Neil Simon
regia Massimiliano Civica
con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli
scene Luca Baldini
costumi Daniela Salernitano
luci Gianni Staropoli
produzione Teatro Metastasio di Prato.
Romaeuropa Festival, Teatro Vascello, Roma, dal 12 al 17 novembre 2024.
Altre date:
Teatro Gobetti, Torino, fino al 24 novembre 2024
Teatro Gustavo Modena, Genova, dal 16 al 19 gennaio 2025
Teatro Storchi, Modena, dal 30 gennaio al 2 febbraio 2025
Teatro Strehler, Milano, dall’ 1 al 6 aprile 2025.