“Too late”: è troppo tardi per ribellarsi? di Alessandra Bernocco

Foto di Federico Pitto

Che fine ha fatto Nora Helmer? La protagonista di Casa di bambola che grazie alla penna di Henrik Ibsen fece scandalo nella Norvegia perbenista di due secoli fa? “Vietato parlare di Nora”, pare si scrivesse così sugli inviti ai ricevimenti ufficiali. Discettare sull’inopportunità di mollare su due piedi figli e marito non è gradito né conveniente. Siete avvisati. Sì, ma che ne è stato di lei? Ibsen rimette la risposta al lettore/spettatore che a seconda di cervello, umore, sentimento, e forse anche di genere, prova a darsene una.  Qualcuno ha ipotizzato un viaggio in Italia in cerca di allori e limoni, così, per precedere di una decina d’anni i sogni della signorina Giulia dello svedese, qualcuno una vita da single a due passi da casa, pochi la capitolazione tra le braccia di quel povero idiota che di lei e del suo gesto non ha capito un accidente, qualcun altro persino il suicido. Piuttosto che morta tra le mura domestiche, meglio il suicidio.

Invece Jon Fosse. Jon Fosse prova a rispondere in un testo del 2013, quando il Nobel era ancora di là da venire. Too late, nato come libretto d’opera, ritrae Nora dopo la fuga, un po’ di anni dopo, non proprio pacificata ma più liberata sì. E incline a riflettere sulla sua condizione. Non la chiama per nome, un po’ perché questo è proprio il suo stile, un po’ perché la storia, incominciata con un abbandono, qui diventa tutt’altra storia. Se non proprio la storia di tutte, certamente la storia di tante.

La ribellione di una donna dai vincoli familiari e non solo familiari verso quella che da un po’ di anni si chiama autodeterminazione.

Qualcosa che ha anche a che fare con la solitudine, i ricordi che si affollano con prepotenza disturbando un’esistenza rinnovata ma non incolume, gli immancabili sensi di colpa. Perché quelli mica spariscono con una fuga e una parvenza di autonomia in uno spazio franco, soltanto tuo, dove sei libera di dipingere quadri bruttissimi, appenderli alle pareti che sono soltanto tue senza aspettarti il favore di nessuno, dove puoi svegliarti addormentarti entrare e uscire quando ti pare perché in casa sei sola e non c’è anima viva a cui dover rendere conto.

Foto di Federico Pitto

Però ci sono anime in stand by che prendono vita, pronte a intromettersi, a osservarti, spiarti, magari darti pure consigli. Ci sono i ricordi che si alzano in piedi, prendono corpo, fanno domande, spuntano fuori dal caos di un armadio e cascano a terra, pesi morti e respiri invadenti, punitivi e impuniti, corpi che dormono e fanno l’amore nel letto sfatto della tua stanza. Che magari è proprio uguale alla stanza di prima, con lo stesso letto ugualmente disfatto. Coppie che si baciano incuranti di essere viste. Pianti di neonati e simulacri di figli che irrompono come palloni lanciati come frecce, calci di rigore parati a fatica. Gambe di donna che sbucano fuori da una coperta e poi come ti volti sono sparite.

Dove chissà. Nei nascondigli della coscienza, lì ricacciate dalla memoria. Fino al prossimo giro, alla prossima volta, fino al prossimo clic della mente pronto a generare un nuovo fantasma.

A poco serve sfuggire, cancellare, rimuovere: la memoria non si controlla e se ci provi ti si ritorce contro.

Ecco, tutto questo Fosse – sintetico, lapidario, velatamente tombale e altrettanto velatamente illuminato da lampi di speranza e riscatto- emerge dallo spettacolo diretto da Thea Dellavalle con Anna Bonaiuto nei panni di una non più Nora che è divenuta pittrice. Una donna matura che si aggira sulla scena abitata dalle ombre del suo passato compresa l’ombra di lei stessa giovane, incarnata da Irene Petris.

Foto di Federico Pitto

Tra le due un dialogo fatto di lunghi silenzi, sguardi, rispecchiamenti e poche parole che pesano, ingombrano e lasciano solchi nei quali andarsi a cacciare quando resti da sola. Quando i fantasmi se ne vanno e la loro funzione è provvisoriamente adempiuta: inoculare il tarlo del dubbio, sollecitare il ripensamento, preparare il terreno a una possibile disperazione.

Allora ti ritrovi a rimuginare da sola, seduta su una panca qualunque della tua casa, a farti le solite estenuanti domande sull’opportunità della tua decisione. E della tua vita.

Nella quale naturalmente ricompare la causa prima della tua scelta, un Torvald come un altro, l’occasione più consona, una delle tante possibili occasioni per mollare tutto e ricominciare. Lui, la di lui probabile amante alla quale dire come a tutte le altre “io sono te”, la sua coscienza poco ascoltata che forse due dritte gliele avrebbe sapute dare.

Nei ruoli Giuseppe Sartori, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, tutti giusti e ben diretti nel calibrare il peso individuale e quello dei rapporti, fatti di proiezioni, evocazioni, non detti, slittamenti di tempi e giustapposizione di spazi.

Uno spettacolo pulito, tratteggiato con precisione geometrica, chiaro negli intenti fin dalle prime battute, in cui Ibsen si ascolta soltanto attraverso una radio che trasmette un programma dedicato, ma Fosse è presente nella sua architettura minimale, che riesce a fendere l’aria.

Foto di Federico Pitto

Too late

di Jon Fosse
un progetto Dellavalle/Petris
traduzione e regia Thea Dellavalle
con Anna Bonaiuto, Irene Petris, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, Giuseppe Sartori
scene Francesco Esposito
costumi Marta Balduinotti
musica e sound Franco Visioli
luci Aldo Mantovani
assistente alla regia Carla Carucci
sarta Irene Barillari
produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Lido51.

Spettacolo visto al Teatro Gustavo Modena di Genova il 13 marzo 2025.

Prossima data:
Teatro Astra, Torino, dal 25 al 30 marzo 2025.

Condividi facilmente: