Quando le luci si spengono e l’orchestra comincia a intonare la musica di Kurt Weill, si ha la sensazione che ciò a cui si sta per assistere sia a tutti gli effetti un evento. Vedere L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht con la regia di Barrie Kosky portata in scena dal Berliner Ensemble, fondato da Brecht stesso, è un’esperienza epocale, capace di risvegliare in noi lo spirito di un tempo e di riconnetterci a un passato e a una storia che non abbiamo attraversato. Le musiche di scena di Weill, compositore a cui Brecht stesso si rivolse per il testo che lo consacrò definitivamente al pubblico, conferiscono un’incredibile potenza all’azione scenica. Ne è la massima espressione Mackie Messer, protagonista assoluto del dramma, interpretato da Nico Holonics, che nei movimenti, nel canto e nell’aspetto fisico dà vita, in modo impressionante, a una figura mefistofelica che spaventa e inquieta.
Il primo atto si apre con una tenda argentata e sgargiante da night club che separa il palco dall’orchestra, prefigurando il mondo brutale e losco dei bassifondi londinesi che sta per schiudersi davanti ai nostri occhi. All’improvviso spunta un volto di donna, che con un’allegria forzata intona la ballata di Mackie Messer, di cui una strofa recita così: «Sul Tamigi verde e fondo molti a un tratto cascano giù. Non è peste né colera è Macheath che va su e giù». Quando finalmente anche noi possiamo accedere a quell’universo che fino a quel momento ci è stato precluso, ecco che una gigantesca impalcatura di ferro fa la sua comparsa, dominando il palco come la carcassa di un animale a terra. Ed è attorno a un vuoto che questa struttura si regge, forse perché è presagio di una morte – quella di Mackie Messer – che verrà annunciata più volte nel corso del dramma per essere infine evitata? Su questo desiderio di eliminare Mackie, l’uomo diabolico capace di tutto, la tensione drammaturgica a mano a mano si costruisce. Quella struttura di ferro, però, è anche lo specchio dell’ingegnoso congegno che si nasconde dietro alle diaboliche azioni di Mackie e del signor Peachum, padrone di un’importante ditta e strozzino, ma soprattutto padre di Polly, ragazza che Mackie sposa senza il consenso paterno. È su questo scontro che tutto il dramma si regge. A lottare però non sono due uomini ma due mondi, quello rappresentato da Mackie, il delinquente, e quello del signor Peachum, il capitalista.
Quella che infatti Brecht porta avanti attraverso quest’opera, di cui il regista Barrie Kosky riesce a restituire magnificamente l’essenza, è una violenta critica al sistema capitalistico, a un mondo in cui viene meno il confine tra l’aristocrazia e la delinquenza, in cui il denaro guida e definisce le azioni umane. Anche l’amore è trasfigurato, divenendo a tutti gli effetti mezzo e fonte di guadagno. E così, quando Polly e Lucy si contendono Mackie, in realtà stanno lottando per una merce, non per l’uomo che amano. D’altronde la signora Peachum nel primo atto lo aveva profeticamente annunciato: «Il denaro regge il mondo». È su questa legge non scritta che L’opera da tre soldi si dispiega. E ecco che quell’impalcatura di ferro su cui funambolicamente tutti i personaggi si muovono creando nello spettatore un senso di vertigine è, ancora una volta, l’immagine perfetta del dramma, rappresentando il denaro stesso, l’unica e immensa macchina infernale su cui tutti desiderano salire.
L’opera da tre soldi
drammaturgia di Sibylle Baschung
regia di Barrie Kosky
con Nico Holonics, Cynthia Micas, Tilo Nest, Constanze Becker, Kathrin Wehlisch, Sonja Beißwenger, Bettina Hoppe, Josefin Platt, Julia Berger, Julie Wolff, Dennis Jankowiak, Timo Stacey
direzione musicale Adam Benzwi
progetto illuminotecnico Ulrich Eh
palcoscenico Rebecca Ringst
costumi Dinah Ehm
orchestra Adam Benzwi, Doris Decker, Stephan Genze, Lorenz Jansky, James Scannell, Ralf Templin, Otwin Zipp.
Romaeuropa Festival, Teatro Argentina, Roma, dall’11 al 15 ottobre 2022.