Una partita a tennis con i “desideri”: Biancofango rilegge “Lolita” di Laura Novelli

Foto di Piero Tauro

Un giovane corpo femminile e un più maturo corpo maschile nuotano nudi sott’acqua cullati dolcemente dal ralenty della ripresa video e dalle struggenti note del Lamento della Fanciulla di Claudio Monteverdi, madrigale con testo di Ottavio Rinuccini (conosciuto anche come Lamento della Ninfa) per la cui esecuzione il compositore emblematicamente annotò: «Va cantato a tempo dell’affetto dell’animo e non a quello della mano».
Inizia con questa poetica e forte immagine di smarrimento lo spettacolo About Lolita che, dopo il debutto alla Biennale Teatro del 2020 e un periodo di stasi causa pandemia, ha ripreso le sue repliche in giro per la Penisola ed è finalmente approdato a Roma (Teatro India) qualche settimana fa. Uno smarrimento diluito in un significativo ritorno al mare: elemento primigenio della nostra condizione umana, ma anche luogo simbolico di contatto profondo con noi stessi, con ciò che realmente (intimamente) ci attraversa, con l’“affetto dell’animo” di cui parla, appunto, Monteverdi.
Il bel lavoro della compagnia Biancofango vuole essere, infatti, proprio un affondo tragicomico dentro l’affannosa ricerca di quella sintonia armoniosa con i nostri desideri che, complici la fragilità stessa dell’esistenza e il trascorrere inesauribile del tempo, finisce spesso col rivelarsi una partita persa ancor prima di essere giocata. Non è d’altronde un caso che questa nuova produzione di Francesca Macrì (drammaturga e regista) e Andrea Trapani (drammaturgo e interprete), ispirandosi al celebre romanzo di Vladimir Nabokov (1955) e all’omonimo film di Stanley Kubrick (1962), assurga a spazio d’elezione un arioso campo da tennis in terra rossa, riferimento esplicito a uno dei tanti luoghi del libro ma soprattutto recinto di “agon”’ sportivi che molto hanno a che fare con i conflitti intimi e relazionali dei tre egregi attori protagonisti: Humbert Humbert trova in Francesco Villano un interprete schiettamente in equilibrio tra le sue ossessioni erotiche e un certo infantilismo svagato; a Clare Quilty Trapani regala l’energia malinconica di un rinunciatario a tratti nostalgico ma in perpetua – accesa  – lotta con se stesso (tanto da ricordare le declinazioni più torbide del magnifico Uomo senza nome di Porco mondo) e la sprintosa Lo di Gaja Masciale, ventitreenne attrice pugliese nota al grande pubblico anche per la serie Tv Fino all’ultimo battito di Cinzia TH Torrini, è un connubio perfetto di sensualità (in)consapevole e marcature ingenue proprie di una preadolescenza lieve e scanzonata.

Foto di Piero Tauro

Nella prima parte della pièce la ninfetta perturbante e vezzosa viene tuttavia solo evocata. La partita iniziale riguarda dunque le due figure maschili e riguarda, tanto più, le biografie personali degli attori. La trama del romanzo appare sin da subito disarticolata, contaminata con materiali “altri” (Il gabbiano di Anton Čechov e Il soccombente di Thomas Bernhard, in primo luogo), trasformata alla luce di una visione del tutto originale del mito di Lolita, che prende le mosse da presupposti ben più ampi rispetto al tema strettamente sessuale: «Lolita è una parola sul vocabolario» – scrive la regista – «una ragazzina che ciascuno di noi ha conosciuto, almeno una volta, nella vita è un mito, un modo di dire, una proibizione, un fatto scabroso (…). Lolita è un verbo: è giocare con il fuoco, è inciampare, è fraintendere, desiderare fino a rimanere senza fiato (…). Lolita è più di ogni cosa, nel quotidiano, un giudizio, ma per noi è innanzitutto un dialogo con l’arte che per sua natura, per essere tale, non può che accogliere in grembo, insieme, dolore e piacere. Lolita è roba da censura. Ma si può censurare il piacere? O il pensiero del piacere? E che differenza esiste tra il piacere pensato e quello agito?».
A tali quesiti About Lolita risponde con un linguaggio scenico di intensa fisicità, maturo, coeso, che fa del fatto teatrale, del suo meccanismo di contrasto, il perno propulsore dell’azione. Come da sempre capita negli spettacoli della compagnia romana, la materia originale si insinua nelle pieghe di una drammaturgia leggibile a livelli diversi e traducibile in uno stile molto preciso: il corpo dell’attore è personaggio e al contempo è semplicemente il corpo dell’attore. Un corpo che suda, che corre, che cade, che divora gomme americane e cibo spazzatura chiedendosi – e chiedendoci – che senso dare ai propri desideri, alla propria creatività, ai propri sogni, alle proprie (dis)illusioni. Di uomini e di artisti.
Quilty e Humbert sono perciò anche Andrea e Francesco. E qui fanno i conti con la loro scorretta pulsione erotica nei riguardi della suadente adolescente, ma soprattutto riflettono ad alta voce (non senza vigorose declinazioni ironiche) sulla loro età, su certi ricordi, sul percorso professionale che li ha portati fin lì e sulle opere che vorrebbero ancora interpretare. Lolita è anche questo: un labirinto da esplorare alla ricerca di sé. Come lo erano del resto gli intensi personaggi dei precedenti Fragile Show, Non ho mani che accarezzino il viso, I poeti maledetti_ n.1. Io e Baudelaire. Autobiografia e poesia si accompagnano e il terreno da percorrere non può che essere liminare, fragile. Perché liminare e fragile è il teatro stesso. D’altra parte, anche per lo stesso Nabokov la giovane Dolly rappresentava un sogno proibito ma, più allegoricamente, l’America stessa, la controversa nazione in cui lo scrittore russo si era trasferito nel 1940 e, dunque, il suo rapporto intimo con quella realtà.

Foto di Piero Tauro

È pur ovvio però che, non appena Lolita entra in scena con il suo completino da tennis bianco, la pelle chiara, i capelli rossi e lo sguardo ammiccante, la partita si sposti su un più definito terreno sessuale/sensuale. L’energia costruita in scena delimita ora un campo magnetico di forze opposte; un continuo palleggio emotivo a tre e poi a due attraverso cui lo spettacolo ci parla di infanzia violata, di spregiudicatezze enfaticamente tali, di universi infantili capovolti ma, proprio per questo, irrinunciabili. Gaja/Lolita mastica un chewing gum dopo l’altro, si muove ora come un’adolescente qualsiasi ora come una donna sexy; ingurgita schifezze e snack in serie quasi fosse una famelica bambina viziata (una bulimia di cibo-spazzatura, questa, che evoca per certi versi il geniale lavoro di Rodrigo Garcia La storia di Ronaldo. Pagliaccio di Mc Donald’s). Poi gioca a tennis e gioca a tennis e gioca a tennis.
Anche lei palleggia insomma con i suoi desideri profondi. Anche lei combatte i suoi demoni, le sue paure. Però lo fa con la sfrontatezza disinvolta propria dei ragazzi. Motivo per cui la sua partita è ben diversa da quella dei due uomini adulti che la fronteggiano. Questa lunga sequenza-match dello spettacolo – sorretto, nel suo complesso, da una regia compatta e lucida, dove entrano anche le splendide immagini video curate da Lorenzo Letizia che spostano la drammaturgia su un piano immediatamente più lirico e metaforico – sembra imporsi come un nodo centrale dell’intero percorso di Biancofango perché il rapporto tra teatro e sport, già così ben espresso in lavori quali In punta di piedi e Romeo e Giulietta, ovvero la perdita dei Padri, intercetta qui anche un altro filone caro alla compagnia: il lavoro intorno (about), con e per gli adolescenti.

Foto di Piero Tauro

Dimostrazione ne sia il fatto che About Lolita vuole essere solo il primo passo di un dittico che verrà completato con un secondo lavoro, Never Young il titolo, in cui Macrì e Trapani intendono indagare l’universo sessuale ed emotivo dei giovanissimi del terzo millennio partendo, ancora una volta, da domande fondative quali: dove troviamo Lolita oggi? Chi è Lolita oggi? Come è diventata alla luce dei tanti cambiamenti che la televisione, il berlusconismo, il consumismo esagerato e i social media hanno provocato nella nostra società? «La seconda parte del progetto» – spiega ancora la Macrì – «prevede una fase preliminare di contatto diretto con i ragazzi di scuole diverse in varie regioni d’Italia, format già sperimentato con il progetto Romeo e Giulietta e su scala più ridotta con Muro di gomma. Ci interessa studiare il rapporto che i ragazzi hanno con la sessualità. Credo che gli adolescenti e i preadolescenti stiano attraversando un’epoca di grande rivoluzione e forse anche di forte confusione; la fluidità con cui essi affrontano l’esperienza sentimentale ed erotica ci racconta qualcosa di nuovo, molto emblematico del loro mondo. Personalmente li reputo dei Peter Pan al contrario perché spesso sono bambini troppo desiderosi di diventare grandi, incapaci di restare nel confine ristretto che dà l’infanzia. Dunque, in Never Young il nostro sguardo si sposterà dalla relazione tra desiderio e individuo di About Lolita (prossime repliche al Kilowatt Festival 2022, ndr) a quella tra desiderio e società. Le suggestioni sono già tante e in parte mi sono state ispirate da un illuminante libro della giornalista Marida Lombardo Pijola (prematuramente scomparsa qualche tempo fa, ndr) intitolato Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamo Principessa (Storie di bulli, lolite e altri bimbi). Un saggio che consiglio a tutti di leggere».  E che ci invita a posare lo sguardo sui nostri fragili, spaesati, ragazzi per accoglierli nel loro estremo bisogno di – tornando ancora una volta a Monteverdi – comprendere e gestire gli “affetti dell’animo”.

 About Lolita
un progetto di Biancofango
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
con Gaja Masciale, Andrea Trapani, Francesco Villano
regia Francesca Macrì
aiuto regia Andrea Milano
luci Gianni Staropoli
video Lorenzo Letizia
direzione tecnica Massimiliano Chinelli.
Produzione Teatro Metastasio di Prato e Fattore K
in collaborazione con TWAIN Residenze di spettacolo dal vivo.

Teatro India, Roma, dal 26 al 30 aprile 2022.
Kilowatt Festival, 20 luglio 2022.

Altre info:
trailer:
http://www.biancofango.it/about-lolita-2/
backstage:
https://www.youtube.com/watch?v=U4OSgzhtuBs