Nel 1959 il regista Roger Corman, basandosi sulla sceneggiatura di Charles B. Griffith, realizzò con un budget di soli 30.000 dollari e a tempo di record (si narra in soli due o tre giorni), la pellicola noir The Little Shop of Horrors (La piccola bottega degli orrori) con Jonathan Haze e con un giovane Jack Nicholson dall’inquietante sorriso.
Il film ridicolizzava il genere cinematografico dell’horror a basso costo, tanto amato dalla gioventù dell’epoca, ed è la storia del tentativo di conquista della Terra da parte dell’intelligenza vegetale.
Seymour, un giovane ambizioso e disadattato, lavora dal fioraio Mushnik assieme all’avvenente Audrey (di cui è segretamente innamorato) fidanzata del sadico e violento dentista Orin Scrivello. Al negozio, però, gli affari vanno male e il titolare minaccia di cessare l’attività licenziando il personale. Seymour per convincere Mushnik a non chiudere, propone un espediente pubblicitario: mettere in vetrina una pianta «diversa ed accattivante» (ribattezzata Audrey 2) che ha acquistato, dopo un’improvvisa e imprevista eclissi di sole, da un bottegaio cinese. L’idea ha successo e il locale si riempie di clienti, mentre allo scopritore del nuovo vegetale arrivano notorietà e amore. Il ragazzo, tuttavia, non tarderà ad accorgersi che è la “strana” pianta (che ha anche iniziato a parlargli) ad esaudire i suoi desideri; in cambio, però, vuole essere nutrita con sangue e carne umana e in quantitativi proporzionali alle sue, sempre maggiori, dimensioni. Al termine della vicenda, per soddisfare l’appetito della sempreverde, sarà costretto a sacrificare la vita sia del dentista che del fioraio.
Il finale lo lascio in sospeso cosicché i lettori siano stimolati a recarsi a teatro (ne vale la pena) a vedere lo spettacolo. Posso solo segnalare, a chi ha visto i film o altre messe in scena del musical, che si riscontreranno delle sostanziali differenze.
The Little Shop of Horrors – musical – è del 1982 e venne realizzato da Alan Menkel su libretto di Howard Ashman (che ne rimaneggiò anche la sceneggiatura). Il lavoro è andato in scena per molti anni nella Off Broadway per poi essere rappresentato a Broadway nel 2003. La commedia ritorna al cinema, in versione musicale, nel 1986 grazie a Frank Oz che affida il ruolo del protagonista a Rick Morain (il “mastro di chiavi” di Ghostbusters) ed a Jim Belushi quello del dentista sadico. Due i brani che hanno conquistato il favore del pubblico (di fatto i leitmotiv dello spettacolo): Skid Row e Suddenly Seymour.
La prima versione italiana è del 1988 e si deve alla Compagnia della Rancia, con la regia di Saverio Marconi. In scena Michele Renzullo nella parte di Seymour (successivamente sostituito – anche – da Giampiero Ingrassia) ed Edy Angelillo in quella di Audrey. Nelle riprese degli anni successivi protagonista fu pure il compianto Manuel Frattini.
Alessandro Longobardi, per la Viola Produzioni (in coproduzione con OTI – Officine del Teatro Italiano, e con Bottega Teatro Marche), propone oggi una “versione 2.0” della pièce decisamente molto rinnovata, con l’arguto adattamento del poliedrico attore e regista Piero Di Blasio.
Per La piccola bottega non è richiesto un cast numeroso e anche gli ambienti necessari per la messa in scena sono abbastanza pochi cosicché questo lavoro potrebbe essere definito un “musical da camera”: ciò non vuol dire, però, che per ottenere un buon risultato non sia necessario un grande impegno, soprattutto se si vuole “svecchiare” un po’ la narrazione. Lo spettacolo in scena al Teatro Sala Umberto di Roma, infatti, ha visto la rivisitazione di gran parte dell’opera con l’inserimento di molte battute d’attualità.
La scenografia su due piani (un livello “metropoli” e uno “strada”, dove si sviluppano anche gli spazi – creati su una pedana rotante apribile a “libro”), curata da Gianluca Amodio, è sicuramente uno dei punti forti di questa edizione, assieme ai fantasiosi e sgargianti costumi inventati dall’esperta mano di Francesca Grossi (particolarmente “smart” quello di Audrey 2). Le coreografie sono state ideate dall’occhio attento di Luca Peluso, mentre la direzione musicale è stata affidata al compositore e direttore d’orchestra Dino Scuderi.
Per quanto riguarda la parte recitativa una modifica sostanziale è stata l’umanizzazione della pianta che non è più un “pupazzo animato” ma un attore in carne ed ossa che ne interpreta la figura. È sicuramente l’intuizione registica più brillante e riuscita che, da sola, giustificherebbe la visione dello spettacolo. Audrey 2 è fatta vivere da Lorenzo Di Pietro (in arte la drag queen Velma K) in un continuo e ben articolato cambio di tono vocale e espressività.
La parte di Seymour è stata affidata a Giampiero Ingrassia. Ingrassia è sciolto, valido nel canto e ben calato nella parte, pronto a creare una maschera surreale dai ritmi comici ben scanditi. Mushnik è interpretato da Fabio Canino. Forse non eccelso nei “gorgheggi” ma ammirevolmente “sincero” in scena con una recitazione “frizzante”. Alla prima romana, cui ho assistito, era evidentemente emozionato e ha mostrato una “fragilità” che lo ha reso particolarmente simpatico. Audrey è la bella, giovane, elegante, e vocalmente impeccabile Belia Martin. Sonoramente domina il palco senza esitazioni. L’accento spagnolo rende ancora più credibile il suo personaggio che, se contrasta con ciò che è stato proposto in passato, ben si allinea con la contemporaneità sociale degli ispanici negli Stati Uniti (e non solo).
Emiliano Geppetti offre il suo talento a Orin Scrivello (ma anche ad altre figure minori come ad esempio al giornalista e all’affarista), portando oltre il limite del delirio la figura del dentista sadico con dei risultati veramente esilaranti.
La “soundtrack” narrativa, come è noto, è affidata a tre scatenatissime “nullafacenti” del distretto di Skid Row, dove si svolge la storia. Crystal (Giovanna D’Angi), Chiffon (Stefania Fratepietro) e Ronnette (Claudia Portale). Le ragazze, oltre ad essere delle perfette vocalist, hanno una presenza scenica “importante” e costruiscono la base “spettacolare” del musical assieme ai quattro ragazzi dell’ensemble: Michele Anastasi, Lucrezia De Matteis, Rosita Denti, Mario Piana, sempre scattati e armonici.
Alla prima si è notata qualche indecisione non “strutturale” durante le coreografie (tutti gli spettacoli, del resto, necessitano di rodaggio) e una eccessiva amplificazione in sala (le basi musicali, a volte, sovrastavano le voci, seppure potenti degli attori/cantanti).
Complessivamente la “versione 2.0” de La piccola bottega degli orrori è un lavoro ottimo il cui successo è da assegnare parimenti alla regia, agli attori e all’affiatamento di “squadra”. Le frequenti e spontanee risate e i numerosi applausi a scena aperta sono un ottimo metro di valutazione aggiuntivo per chi cerca di riportare, scrivendo con obbiettività, l’efficacia delle soluzioni proposte durante la realizzazione di un’opera teatrale. In questo caso si può affermare che il giudizio della critica e del pubblico è coincidente perché è impossibile uscire da un teatro insoddisfatti quando una “bottega” (nel doppio senso di creazione artigianale e Piccola bottega) elargisce molte risate e pochi orrori.
La piccola bottega degli orrori
testi e libretto Howard Ashman
musiche Alan Menken
basato sul film di Roger Corman e la sceneggiatura di Charles Griffith
con Giampiero Ingrassia, Fabio Canino, Belia Martin
e con Emiliano Geppetti, Lorenzo Di Pietro in arte Velma K, Giovanna D’Angi, Stefania Fratepietro, Claudia Portale
ensemble Michele Anastasi, Lucrezia De Matteis, Rosita Denti, Mario Piana
scene Gianluca Amodio
costumi Francesca Grossi
coreografie Luca Peluso
direzione musicale Dino Scuderi
realizzazione basi Riccardo Di Paola
disegno luci Oscar Lepore
disegno Suono Luca Finotti
adattamento e regia Piero Di Blasio
foto di scena Massimiliano Fusco.
Teatro Sala Umberto, Roma, fino al 22 dicembre 2019.